Sei giorni lavorativi. Sei giorni, dal lunedì al sabato, che si fanno atti di un theatre-veritè durante il quale conoscersi, distanziarsi, insultarsi e riappacificarsi. Come sottolineeremo in questa recensione de I Tuttofare (titolo da non confondere con il nostrano Il Tuttofare di Valerio Attanasio) la commedia si congiunge in uno sguardo reale e oggettivo del mondo. Un ibrido tra finzione e documentario in cui il cinema si fa finestra sul mondo al di là della sua cornice per indagare i rapporti interpersonali, scovare dietro i pregiudizi e le distanze interrazziali che si inseriscono tra le vie di una Barcellona che si fa palcoscenico e platea, di attori e spettatori che si guardano e si scambiano i propri ruoli reciprocamente.
I TUTTOFARE: LA TRAMA
Barcellona. Valero e Pep sono i due operai di una piccola impresa di riparazioni idrauliche ed elettriche di cui la moglie di uno dei due è la contabile. Arriva intanto il momento per Pep di andare in pensione, rendendo necessario la ricerca di un sostituto che possa colmare tale lacuna. Ecco allora fare la sua comparsa Moha, un giovane marocchino da poco nella città spagnola, pieno di buona volontà e con qualche esperienza alle spalle. Senza neanche provarci molto, Valero non riesce però a nascondere la diffidenza nei confronti di questo immigrato con cui dovrebbe collaborare e gli concede sei giorni per dimostrare ciò che vale.
INSTALLARE LA REALTÀ
È figlia di un idraulico la regista Neus Ballús, ed è proprio per rendere omaggio a quel mondo così sconosciuto in termini cinematografici, che l'autrice scrive con trasporto ed emozione il suo nuovo saggio in termini filmici. Sulla scia di un Ken Loach meno impegnato, e più propenso al sorriso agrodolce, la regista pone la sua macchina da presa al centro dì quel mondo a lei così vicino per restituire un senso di realtà, ritrovando lo straordinario nell'ordinario. Già perché ne I Tuttofare l'arco narrativo può sembrare a prima vista una linea piatta, senza evoluzione o risvolti improvvisi, quando è proprio nell'ordinarietà del racconto che si ritrova l'essenza speciale e unica di quest'opera. Opera suddivisa in sei quadri dalla durata divergente (più rapidi i primi quattro, più distesi gli ultimi due), il film della Ballús segue e tratteggia i propri protagonisti così agli antipodi, senza abbellimenti od orpelli retorici, per entrare nelle case di sei personaggi altrettanto idiosincratici, e stabilire così un rapporto altalenante e umano per mostrare le diversità, le pazzie, e l'unicità di un campionario antropologico preso in prestito da una realtà così stramba e per questo così vera.
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RIPARARE UNA RETE DI SGUARDI
È un gioco di sguardi quello che sottende il mondo de I tuttofare: quelli della regista che indugia sui primi piani dei propri protagonisti per cogliere un vortice di emozioni incapaci di trasformarsi in parole; quelli di Moha che, curioso, tutto scruta e assimila, nella speranza di cogliere l'essenza di coloro che lo circondano; quelli lontani, di quartieri che portano avanti una quotidianità fatta di gesti apparentemente poco interessanti, ma proprio per questo facilmente riconoscibili a un pubblico più propenso a immedesimarsi con questo mondo colto dalla Ballús.
Cartoline dell'anonimato di una città che, ignara del lavoro dei due protagonisti, continua a vivere sullo sfondo, i campi lunghi colti dall'obiettivo della Ballús sono i perfetti contraltari del ruolo di portavoce e rappresentanti dell'universo operaio che vive dento e fuori dallo schermo cinematografico. Valero e Moha non hanno nulla di speciale. A immortalarli non c'è una fotografia armoniosa, bensì del tutto naturale, che li avvolge con un'aura ancor più reale e ordinaria. I loro gesti nascono dal cuore del proprio istinto, e non certo da uno studio interpretativo compiuto in precedenza. I loro personaggi non sembrano pertanto il risultato di una performance studiata a tavolino, quanto di una ripresa diretta della realtà. Perfino il rapporto scricchiolante instauratosi tra i due commuove e colpisce per la sua resa realistica, tra un uomo che dal Marocco tenta di rifarsi una nuova vita in una terra a lui straniera, e di un catalano restio a modificare il proprio punto di vista, tanto quanto si dimostra poco incline a cambiare il proprio abbigliamento durante i giorni di lavoro.
VIVERE AL RITMO DI SEI GIORNI DI PROVA
Quelli messi a disposizione a Moha sono sei giorni di prova; sei giorni durante i quali dimostrare le proprie capacità lavorative, convincere i suoi colleghi circa la sua bravura; sei giorni in cui sentirsi accettato, come collega e come persona. Eppure, giorno dopo giorno, atto dopo atto, chi sembra essere messo sotto indagine, costantemente alla prova, non è solo il protagonista, ma tutto il corollario umano che lo circonda. L'esplorazione di sei casi così straordinari nel loro essere così anonimi (un vecchietto salutista, due gemelline pestifere, una fotografa particolare e la domotica impazzita nella villa di uno psichiatra) sono altrettanti livelli da superare in un gioco programmato dal software della vita. Sei ostacoli da superare così da acquisire ogni volta nuovi punti sotto forma di comprensione umana, e avvicinamento reciproco tra universi così distanti. "Ogni giorno entriamo in casa di qualcuno di diverso" afferma Moha, ed è in questa esplorazione che si ritrova il vero accrescimento personale; è dall'incontro/scontro con ciò che ci è lontano che conosciamo noi stessi, scendiamo a patti con i nostri vizi e le nostre virtù; ma allo stesso tempo l'intrusione in altre esistenze può interpretarsi come lo sdoppiamento di un'altra azione come quella compiuta dallo spettatore in sala, pronto a entrare nel cuore di altre vite, altri mondi, per imparare qualcosa di diverso, su se stesso e sugli altri.
Viaggio picaresco tra tubi e cavi elettrici, I tuttofare ritrova nella propria semplicità la propria carta vincente. Una settimana lavorativa faticosa, tra sguardi, risate e incomprensioni restituite con una leggerezza mai banale, ma avvolta da un senso profondo di umanità e realismo che tutto prende, coglie e riveste, come tubi di gomma che fanno da protettori a perdite di emozioni ora esaltate tra silenzi e occhi parlanti. Il tutto nell'attesa di un settimo giorno di riposo, di messa in pausa prima che tutto riparta, ora in maniera diversa, ora sempre uguale.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de I tuttofare sottolineando come la commedia di Neus Ballús si inserisce nel sostrato della vita reale per raccontare uno spaccato poco conosciuto come quello degli operai idraulici per parlare di emozioni, pregiudizi e incomprensioni umane.
Perché ci piace
- La regia di Neus Ballús.
- Le performance naturali degli interpreti.
- La realtà colta nel suo farsi.
- La pazzia dei personaggi incontrati nel corso dei sei giorni.
Cosa non va
- Il poco spazio dedicato a volte al rapporto tra Valero e Moha.