L'ex poliziotto Olivier Marchal presenta a Roma il suo ambizioso 36 Quai des Orfèvres, film ispirato a una storia vera che svela il marcio della polizia parigina, teatro di corruzione e lotte di potere. Alla conferenza stampa è presente anche una parte del nutrito cast francese: Daniel Auteuil, Catherine Marchal e la nostra Valeria Golino.
A quali generi si è ispirato durante la lavorazione del suo film? Olivier Marchal: Il film si rifà ad un certo tipo di cinema che ha caratterizzato l'epoca durante la quale sono cresciuto e quindi a film che ho amato molto crescendo. La disperazione, la desolazione dei personaggi, per esempio, si ispira al cinema di Melville, alla sua dimensione tragica, in particolare a Le cercle rouge. I dialoghi si riferiscono invece a quelli di un certo tipo di polizia parigina di qualche tempo fa, di poliziotti che avevano dei contatti freddi con la malavita. Questo poliziesco, quindi, è sicuramente ancorato a una realtà parigina, ma d'altra parte ha anche le caratteristiche delle opere tragiche messe in scena da Sergio Leone. Sono sempre stato un grande ammiratore di Leone, soprattutto per il rapporto che riusciva a creare tra musica e immagini. Ho chiesto agli attori di interpretare questo film come se fosse il loro ultimo respiro, una frase che Sergio Leone aveva detto ai suoi attori sul set di C'era una volta il west.
Com'è avvenuto il passaggio dal lavoro di poliziotto a quello di regista e quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra le due parti? Olivier Marchal: Fin da quando ero un bambino sognavo di diventare un poliziotto perché amavo il cinema poliziesco e i grandi scrittori americani come Raymond Chandler. Ho partecipato ad un concorso per entrare in polizia, però al tempo stesso seguivo dei corsi di recitazione. Una volta entrato in polizia mi sono scontrato con la realtà brutale di questo lavoro, sia quella interna, sia quella che ero costretto a vedere sulle strade ogni giorno. A quei tempi di giorno lavoravo come poliziotto e di sera seguivo i corsi di cinematografia, facevo le mie esperienze sui set e ho imparato a riconoscere le paure e le difficoltà che incontrano gli attori durante la lavorazione di un film. Perciò, una volta passato dietro la macchina da presa, ho cercato di mettere a proprio agio i miei attori, di riportarli sullo schermo bene, in maniera non mediocre come fa molto cinema in Francia, perché io mi concentro molto su di loro, cercando di farli apparire belli.
Come ha scelto gli attori?
Olivier Marchal: Per interpretare i due capi della Polizia Giudiziaria di Parigi c'era bisogno di due grandi star dal carattere forte, che potessero essere all'altezza dei personaggi. La scelta però non è stata molto difficile visto che in Francia non ci sono poi così tanti grandi attori e quindi mi sono trovato a lavorare con due mostri sacri come Daniel Auteuil e Gérard Depardieu, grazie ai quali si è venuta a creare una certa attesa e una forte aspettativa nei confronti del film.
Valeria Golino mi è invece stata proposta dai produttori. Lei è una bravissima attrice, fragile, dolce ma con una grande forza, quella necessaria per incarnare al meglio la moglie del poliziotto. Catherine Marchal, mia moglie, all'inizio doveva essere Camille (personaggio poi interpretato dalla Golino, ndr) ma durante la lettura della sceneggiatura ha proposto di fare il provino per la parte di Eve, la donna poliziotto, tirando fuori un'enorme grazia e rendendo incredibile questo personaggio.
In questo film ho cercato di far vedere la stupidità degli uomini, il desiderio sfrenato di conquistare il potere. Alle donne invece è associato l'ottimismo, l'equilibrio. Le donne poliziotto in Francia sono molto forti, con grandissima dignità e non c'è mai stato un solo caso di donna poliziotto corrotta.
Lei crede che il cinema possa restituire la dignità, possa rettificare gli sbagli della giustizia? Olivier Marchal: Questo film è stato visto alla prima parigina da duecento poliziotti e non abbiamo avuto nessuna ritorsione. Il Ministro degli Interni francese ha amato molto questo film e ne ha disposto una proiezione privata. Dominique Loiseau, che è l'uomo al quale ci siamo ispirati in fase di scrittura, grazie a questo film ha risolto forse in parte i suoi problemi. Lui è stato il primo avere il film e alla fine è scoppiato a piangere.
Quanti anni è stato in polizia e che ruolo aveva? Olivier Marchal: Sono stato in polizia per dodici anni, prima nella Brigata Anti-Terrorismo e poi in un'unità notturna. Ci occupavamo di tutto quello che può succedere in una grande metropoli di notte. Questo film è un omaggio a Christian Caron, il mio istruttore nell'Unità di Primo Intervento che è morto nell'ultimo giorno di servizio prima di farsi trasferire a un lavoro più sedentario.
Daniel Auteuil, quali sono state le sue emozioni e cosa le è rimasto dentro dopo l'interpretazione di questo film? Daniel Auteuil: Non mi faccio mai investire negativamente da un personaggio. Quando lascio il set mi libero del mio personaggio e torno alla vita normale. Questo è un lavoro di grande energia e di grande piacere, ma il vero lavoro avviene durante la lettura del copione. E' lì che bisogna capire se il ruolo ti interessa.
Olivier Marchal: Daniel è un attore che si immedesima veramente nei personaggi che interpreta. Sicuramente ha capito alla perfezione il dolore del personaggio, un personaggio ambiguo e brutale, ma anche molto umano. Sono riuscito a instillare questo dolore in lui raccontandogli quelli che sono stati gli effetti della vita di poliziotto su di me. Daniel ha la grande capacità di immedesimarsi completamente nel personaggio che interpreta, di immagazzinare tutte queste cose, e di tornare poi, una volta finito il film, la persona che era prima con tutta la naturalezza del caso e questa è una cosa straordinaria da parte di un attore.
Una domanda alle due attrici. Che tipo di sfida ha rappresentato per voi interpretare un film così complesso e drammatico? Valeria Golino: Se leggi distrattamente il copione può sembrare che questo sia un film molto maschile, in cui le donne potrebbero essere marginali, ma poi parlando con Olivier ti rendi conto che non è solo un film di genere, ma anche d'autore, nel quale anche i personaggi femminili sono trattati con grande attenzione e affettuosità. Nella lavorazione del film avevo paura di dover fare un ruolo piccolo ma importante, avevo poche scene per riuscire a donare un sentimento di amorosità, di dolcezza, tra l'altro in una lingua non mia. Poi, il primo giorno di lavorazione, mi sono subito resa conto che lavorare con Olivier era come entrare in un nuovo universo: lui sul set si muove come un ballerino e ha una specificità molto interessante da vedere. Grazie a lui sono riuscita a dare il meglio
Catherine Marchal: La vera sfida non era tanto la nostra quanto quella del regista che è riuscito a dare ai ruoli femminili una loro importanza. Io non dovevo fare altro che credere nella storia e riuscire a rendere al meglio questo ruolo. Non volevo fare la caricatura delle donne poliziotto che si vedono spesso al cinema e da quanto mi hanno credo di essermela cavata abbastanza bene.
Valeria Golino, quali sono i suoi progetti futuri?
Valeria Golino: Quest'estate ho girato un film con Antonio Capuano che è quasi pronto. Desideravo lavorare con lui da tanto tempo e così quando mi si è presentata l'occasione ho accettato subito senza aver bisogno di leggere la sceneggiatura. Il film, il cui titolo provvisorio è Solo un bambino, racconta una storia quasi d'amore tra una donna e un bambino durante il periodo di pre-adozione, una fase molto crudele durante la quale vieni perennemente giudicato. Non è un film sociologico, ma un film dei sentimenti.
Adesso mi appresto a girare Texas, un film con Fausto Paravidino, un giovane drammaturgo italiano al suo esordio come regista. E' la storia di una piccola comunità di giovani nel Nord Italia, in Piemonte, vicino Alessandria, in una zona suburbana che loro chiamano Texas. Il mio personaggio creerà uno scandalo in questa comunità determinando forti squilibri.