I nipoti dei fiori, il documentario di Aureliano Amadei e quei ricordi “tra stranezza e normalità”

Tra libertà estrema, memoria e testimonianze. La nostra intervista al regista, che dice "Le generazioni precedenti hanno lasciato solo le briciole. Il concetto di hippie? Oggi potrebbe tornare". In sala in tour evento.

Un'immagine de I nipoti dei fiori

"Sono sommerso dagli eventi, ma è una bella fatica. La prima a Roma, ma poi si prosegue. È bello, perché il cinema è condivisione, è esperienza condivisa". Ci dice Aureliano Amadei, prima di partire per il tour evento del suo film, I nipoti dei fiori. Al cinema mancava da un po' (precisamente dal 2012, con Il leone di Orvieto), e per il nuovo documentario è (ri)partito da un racconto intimo, tracciato in un percorso di quei ricordi che ci riportando ad un'infanzia hippie. I nipoti dei fiori, infatti, si ricollega alle storie di molte persone che, come lui, sono nate e cresciute in un contesto "strano", segnato dall'assoluta libertà (a volte anche pericolosa) di quei genitori "figli di Woodstock". Un percorso quasi assurdo, contraddittorio, oggi impensabile.

I nipoti dei fiori: intervista ad Aureliano Amadei

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I nipoti dei fiori: una foto del documentario

"Ci sono varie ragioni per cui ho realizzato I Nipoti dei Fiori", ci dice il regista. "Alcune personali, altre legate al mio cinema. Partendo da qui, mi lego all'auto-biografia e una propensione per l'auto-fiction. Mi piace leggerla e fluirla. Nasco da una famiglia di cinema, e ho sempre vissuto il set. Sono immerso nel mondo del lavoro del cinema. In 20 Sigarette er molto legato alla mia storia personale, ma il film poteva portare a sminuire il mio lavoro perché partivo da un'esperienza che ben conoscevo. Mi sono staccato dal biografico, e per tante ragioni mi sono reso conto che cera molto interesse sull'argomento narrato".

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Una foto d'archivio

E prosegue, "Ho vissuto una vita fuori dal comune, evitando di inserire degli elementi nel film per renderlo un racconto condiviso. Per dire, da ragazzino sono stato preso dai Santoni Indiani, a Colonia mi hanno rapito i mafiosi, a dodici anni sono volato da solo in Brasile, con l'aereo che ha preso fuoco nel viaggio di ritorno. Una volta un elefante mi ha inseguito in Africa, con mia madre che mi scattava le foto. Avevo l'esigenza di raccontare queste cose. Dall'altra parte penso ai miei due figli adolescenti. Questo ha generato un grosso squilibrio in me. Mi sono interrogato. Del resto qualsiasi adulto pensa che gli adolescenti oggi siano omologati. Questo però mi fa stare male".

Un mondo che va indietro

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La libertà negli anni Settanta

Tra testimonianze e preziosi filmati d'epoca, I nipoti dei fiori ponte l'accento sul concetto di libertà, se vogliamo estrema, che hanno vissuto Aureliano Amadei e le altre voci da lui raccolte. Oggi sarebbe inaudito crescere senza nessun tipo di regola. "Non ci sono persone più adatte nel cercare un giusto equilibrio che noi nipoti dei fiori, invece, rappresentiamo. Non rinneghiamo, tranne in rari casi, ma proviamo a cercare la giusta misura", spiega il regista. Questo porta ad una riflessione generazionale. "È venuta fuori una riflessione articolata: i più lucidi vedono dei meriti ma anche dei fallimenti sulle generazioni precedenti. Studiando gli archivi, la cultura hippie aveva assorbito tutta la società. Addirittura c'era la Chicco, che commercializzava un'amaca per bambini per le automobili, con un discutibile concetto di sicurezza stradale. La società è stata influenzata, e oggi stiamo regredendo. Il mondo sta facendo passi indietro. È impossibile viaggiare in autostop da Bologna all'India, passando per la Siria e il Pakistan. Quello era un mondo più ricco, dal punto di vista naturale ed economico".

Un mondo che va indietro, secondo Aureliano Amadei, "Invece di progredire siamo tornati indietro, e allora pensi: la generazione precedente qualcosa c'entra, perché è diventata la classe dirigente. Steve Jobs era un'hippie, poi è diventato un manager tra i più agguerriti di sempre. Al di là degli hippie, quella generazione ha goduto di tutto, lasciando le briciole".

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Woodstock, ieri e oggi

Gli anni Settanta, periodo di forti cambiamenti, appare collegato con l'oscura contemporaneità che viviamo. "Ci sono molti paralleli tra il pre-68 e l'oggi. Non ultimo, la rivoluzione che ha spinto il consumo negli anni Cinquanta", continua il regista. "La grande spallata che ha fatto scoppiare tutto con Woodstock è stata la Guerra del Vietnam. E oggi con Gaza accade la stessa cosa. L'accessibilità all'informazione è prioritaria, e arriva alle persone come arrivavano le foto dei reporter dal Vietnam. C'è un'insofferenza viscerale verso ciò che accade in Medio Oriente".

La democrazia in pericolo

Il cambiamento, secondo Amadei, potrebbe arrivare di nuovo dagli Stati Uniti. "Non sono mai stato un filo americano, ma credo lì abbiano ancora delle sorprese. Trump si sta dando la zappa sui piedi, da Harvard alla Columbia. È una pentola che può esplodere portando ad un movimento mondiale che parte proprio dagli Stati Uniti. I Beatles sono pre Woodstock. Questo per dire che un fermento esisteva già, esplodendo quando la cultura hippie si è radicata negli Stati Uniti. A differenza di ieri il tempo stringe. Aspettare è rischioso, ma cerco di essere ottimista".

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Foto di gruppo

Meno ottimista, invece, sul sistema italiano, bloccato dalla tanto discussa Legge Cinema. "È difficile essere ottimisti perché siamo nel mezzo di qualcosa già attivo. Decine di famiglie attive nel cinema sono ferme a casa. È un danno compiuto. Ora c'è questo governo, poi ce ne sarà un altro, ma il problema principale risiede nel fatto che stiamo vivendo una crisi del sistema democratico. In Romania sono state annullate delle elezioni, ma il punto è il principio: non si può permette un candidato che va contro la democrazia stessa. Infiammare le folle contro i limiti della democrazia funziona, e quindi non vedo un'uscita dallo status quo attuale di prossima soluzione. È una situazione più che disperata. Bisogna rimettere in ordine il concetto di democrazia, altrimenti vengono fuori le falle di questo concetto imperfetto, ossia pilotare le opinioni libere delle persone".

In equilibrio precario

A proposito di persone, in chiusura, Aureliano Amadei racconta qual è l'elemento che accomuna le testimonianze che arricchiscono la narrazione de I nipoti dei fiori, "Ci sono persone diverse tra loro. Diverse anche in base alle regioni. Gli hippie del Lazio, per esempio, sono figli di famiglie borghesie, vivendo certe esperienze in modo scoppiato. Gli hippie romagnoli invece hanno il senso del lavoro, con la comune come luogo in cui condividere i campi e il biologico. In Piemonte viene fuori il movimento operaio, con una forte componente politica. Come elemento intrinseco, tutti abbiamo vissuto con esiti diversi una lotta tra stranezza e normalità, questo ha reso unica la nostra crescita e la nostra lotta interiore".