È al solito molto interessante il lavoro di Dominique Abel e Fiona Gordon, tornati alla regia (oltre alla scrittura e all'interpretazione, come da prassi) di una nuova pellicola con I Misteri del Bar Étoile, presentato a Locarno Film Festival 2023 e arrivato in Italia con Academy Two. I due autori guardano alla tradizione del cinema muto per cercare una messa in scena in grado di accogliere un'impronta naturalistica, riscontrabile soprattutto nella loro mimica e in quella dei loro interpreti, per raccontare la storia e le emozioni che accompagnano le varie sequenze. Insomma, il loro cinema è una sorta di narrazione farsesca della natura umana.
I Misteri del Bar Étoile nello specifico pensa al noir come cornice da rileggere secondo un metro linguistico personale per arrivare a raccontare ciò a cui veramente i due autori tengono, non riuscendoci però appieno. La causa? L'incapacità del titolo di concludere una fusione totale tra forma e contenuto. Il dramma, il senso di spaesamento e il bisogno di comprensione rimangono sullo sfondo, come gli indizi distribuiti qua e là per la pellicola. Uno scarto emotivo e narrativo che dunque permane, facendo la differenza nella completa riuscita de I Misteri del Bar Étoile.
Un uomo entra in un bar con una pistola e una protesi
C'è un bar a Bruxelles che si chiama L'étoile filante gestito dalla coppia formata da Boris (Abel) e la sua compagna Kyoko (Kaori Ito). Loro sono sempre dietro il bancone, mentre fuori dall'uscio, a controllare il via vai dei clienti (piuttosto scarno in realtà), c'è un omone con un passato ultraventennale nell'esercito, Tim (Philippe Martz). Tutto procede con la solita routine fino a quando una sera nel locale entra un uomo sospetto (Bruno Romy) con un giornale, il quale, dopo avergli mostrato una sua foto in gioventù, accusa il barista di essere il colpevole di un attentato del 1986 in cui lui ha perso un braccio e, dopo aver inveito, gli punta una pistola in faccia. Nel momento dello sparo però la protesi si stacca, non permettendo al colpo di andare a segno. Tra lo stupore generale l'uomo scappa via, poi torna a prendere il braccio e infine si dilegua nella notte inseguito, invano, da Tim.
La frittata è fatta. Boris, attivista fuggitivo da più di 30 anni, è di nuovo in pericolo e deve ancora scappare insieme alla compagna e a Tim. Nella fuga però i tre si imbattono in Dom, uno spostato, depresso e senza lavoro che è la copia perfetta del barista. Nella mente dei nostri si profila allora un piano nuovo e decidono di scambiarli così da far uccidere il vagabondo piuttosto che il proprietario del bar. Quello che non sanno è che Dom non è proprio abbandonato da tutti, dato che l'ex moglie detective, Fiona (Gordon), tra una coca cola e una bottiglia di vino, ancora è su piazza.
L'artificio per raccontare la natura umana
I misteri del bar Étoile (in originale L'Étoile Filante) può essere visto come un proseguo naturale della carriera di Dominique Abel e Fiona Gordon, in quanto nuovo capitolo di una riflessione cinematografica da parte di una coppia di autori che ha sempre cercato nella commedia slapstick il Cavallo di Troia con cui smontare il codice linguistico di turno e mettere in scena le loro storie, piene di coreografie, situazioni assurde e a metà tra cinema e teatro.
Il genere che scelgono questa volta di destrutturare è il noir, da cui recuperano cliché, situazioni, archetipi, richiami sia narrativi che visivi, per ribaltarli, riproponendoli secondo la loro ottica personale, cercando la stilizzazione estrema, l'artificio, il surrealismo e l'ironia (a volte anche molto nera) per raccontare il dramma umano dei loro protagonisti. Boris è un uomo che fugge da sempre, ormai lontano dai movimenti politici e dagli ideali con cui ha cercato di costruire un futuro per il proprio Paese e costretto ad assistere al fallimento della propria missione personificato da manifestazioni e scioperi. Dom, dal canto suo, è un uomo ai margini della società, chiuso nella sua prigione sul canale, in sofferenza per un lutto che condivide con la sua ex moglie Fiona.
I colori, il tono e le riprese urbane de I Misteri del Bar Étoile ricordano il cinema di Aki Kaurismäki e così anche l'intenzione di adoperare un linguaggio cinematografico più artificiale per una rappresentazione autentica e profonda dell'animo umano, riuscendo però solo a tratti nell'intento. I passati dei personaggi del film di Abel e Gordon sono tutti traumatici, emotivamente spezzati come l'ambiente in cui vivono, più vicino ad un deserto dove vige l'antisocialità che ad una Bruxelles malinconica. Tutto ciò purtroppo rimane sullo sfondo, ma quando emerge allora la pellicola diventa una bellissima ode al bisogno di vicinanza, calore e speranza che ogni uomo cerca.
Conclusioni
Nella recensione de I Misteri del Bar Étoile di Dominique Abel e Fiona Gordon vi abbiamo parlato del nuovo capitolo di una poetica personalissima e sempre interessante. L'idea stavolta è quella di adoperare lo slapstick per destrutturare i cliché del noir fino a renderlo cornice in cui adoperare uno stile surreale e così indagare il dramma insito nella natura umana. La connotazione politica aggiunge uno strato di indagine ulteriore, che si dovrebbe accordare con una restituzione di una società "antisociale", espressione del vuoto di chi la vive. Purtroppo questi lidi rimangono troppo sullo sfondo, provocando una svuotamento contenutistico a fronte di una parte formale sempre molto curata.
Perché ci piace
- L'uso dello slapstick come chiave per destrutturare il noir.
- I momenti coreografati e l'uso dell'ironia.
- La mimica degli interpreti e i colori.
Cosa non va
- A volte la forma sembra svuotata di contenuto.
- Il mondo emotivo rimane sullo sfondo.