Ci sono autori ed Autori.
Ci sono modesti artigiani della scrittura che procedono a tentoni nel labirinto delle parole cercando, e a volte fortunosamente trovando, una via d'uscita e ci sono quelli che il labirinto riescono magicamente a crearlo semplicemente descrivendolo con la loro arte.
Dei primi ce ne sono tanti, dei secondi un po' meno, ma di entrambi abbiamo avuto e stiamo avendo dimostrazione nell'ultima stagione di televisione americana.
Basta gettare una rapida occhiata a quello che è diventato Heroes date le premesse e potenzialità ben sopra la media, reduce da due stagioni in cui tutto il lavoro fatto nella prima sembra un miracoloso caso. Le storie sono confuse, gli intrecci forzati, i personaggi incoerenti e sconclusionati e a poco pensiamo che possa servire l'apporto del redivivo Bryan Fuller nello staff degli autori per poter rimettere in carreggiata la serie. Per saperlo dovremo aspettare la prossima, quarta, stagione a cui avrà la possibilità di lavorare fin dall'inizio, ma il guaio ci sembra troppo grande per poter essere risolto.
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Ci sono poi quelli che dal labirinto, o meglio dalla prigione, sono fuggiti ma continuano a tornarci, ormai senza scopo o motivo. Per loro il gioco si avvicina alla fine, con la Fox non più desideroso di vederli vagare a vuoto. A loro auguriamo che il finale di Prison Break, previsto per aprile, sia nonostante tutto a testa alta.
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Ma se stiamo scrivendo queste righe è perchè vogliamo parlare di quelli che, invece, la strada la conoscono bene la percorrono con sicurezza e grazia. In una stagione mediocre che per fortuna aveva già visto scendere in campo Alan Ball sulla HBO con True Blood e Diablo Cody sulla Showtime con The United States of Tara a confermare quanto di buono fatto dal canale con Dexter, due esempi lampanti saltano agli occhi guardando gli ultimi giorni di programmazione televisiva USA.
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Allo stesso modo il team di Ronald D. Moore porta a compimento l'opera più rappresentativa della nuova generazione della TV, Battlestar Galactica, con una compattezza, profondità e coerenza mai viste prima in una produzione televisiva di ampio respiro. Le tre ore di Daybreak sono un monumento al racconto televisivo e concludono la vicenda dando il giusto spazio a tutti i temi e personaggi in gioco. Nel corso degli anni la storia si è naturalmente evoluta, ma il team di Moore è cresciuto con lei senza perdere mai di vista i temi della serie, le sue atmosfere ed il suo passo, senza mai forzare o scendere a compromessi.
E non è da tutti.