La rabbia e l'ignavia della società contemporanea sono sempre state al centro del cinema di Bonifacio Angius. Un cinema feroce, che mette sempre al centro l'individuo e affonda le sue radici in quella Sardegna ferina e assolata. Per il suo quarto lungometraggio, I giganti, Angius ha scelto di raccontare una storia in interni, un incontro claustrofobico tra cinque amici in una vecchia dimora di famiglia così come claustrofobico è stato il periodo che abbiamo vissuto e di cui il film è figlio. "I giganti sono i miei personaggi" ci spiega Bonifacio Angius prima della trasferta a Locarno 2021, dove il suo film è stato presentato in concorso. "Il titolo ha una duplice valenza: ironica, visto che in realtà sono uomini molto piccoli, ma è anche vero che la progressiva perdita di lucidità li renda, paradossalmente, davvero dei giganti. Sta al pubblico decidere".
I giganti racconta l'incontro di un gruppo di amici dopo un lungo periodo. Pur senza nominarla esplicitamente, si capisce da vari riferimenti che a separarli sono stati l'emergenza sanitaria e il lungo lockdown vissuto. "Ho vissuto molto male questa situazione e penso che sia necessario cessare di nasconderlo" confessa Bonifacio Angius. "Le nostre fragilità sono venute a galla più forti di prima. I giganti è nato perché avevo la necessità di raccontare la mia disperazione e la complessità dell'essere umano. Mi viene difficile descrivere i miei personaggi, ma sono convinto che questa storia poteva essere raccontata solo attraverso il cinema. Abbiamo usato generi classici come western e thriller per poi disfarcene e andare verso qualcosa di nuovo. Mi piace definire I giganti 'un'opera filosofica scritta da un cialtrone', il film è figlio di una libertà espressiva che in precedenza non ho mai avuto".
Controllo totale sull'opera
A detta del suo regista, I giganti strizza l'occhio al genere attingendo a piene mani dal western e al suo illustre antenato, la tragedia greca. I personaggi devono espiare una colpa, come se avesse tradito gli dei. Descrivendo il processo creativo, Bonifacio Angius parla addirittura di trance: "Per la prima volta avevo il controllo creativo e tecnico. Mentre giravo ero fuori di me. Ho rivisto certe scene al montaggio e mi sono detto 'Ma chi ha girato questo?' Ma sono contento che il film mi rappresenti e rappresenti il dolore che ho vissuto negli ultimi anni". Tra le tante novità de i giganti, c'è anche la presenza del regista davanti alla macchina da presa nei panni di un personaggio violento e irascibile, un moderno pistolero con tanta rabbia in corpo. Angius motiva l'esordio spiegando: "Ho iniziato con la recitazione. Durante la scrittura de I giganti il personaggio ha iniziato ad assumere le mie fattezze e il mio temperamento. Avevamo fatto dei provini, ma essendo un film molto rapido ho pensato che dovendo spiegare la complessità del ruolo a un attore avrei fatto prima a farlo io. D'altronde mi sono scelto il ruolo più negativo e vigliacco".
Presente davanti e dietro la macchina da presa, non solo Bonifacio Angius si è occupato anche della produzione, fotografia e montaggio, ma ha anche scritto tutti i testi delle canzoni della colonna sonora firmata firmata da Luigi Frassetto. "Nel film c'è un giradischi che ci permette di introdurre musica diegetica. Abbiamo ricostruito una vecchia discografia componendo brani di mambo, cha cha cha, bolero in stile anni '40-'50. Abbiamo realizzato un finto disco d'epoca, ma nelle proiezioni di prova le persone mi dicevano 'Ma questo brano lo conoscono, è famosissimo'. Non credevano che fosse opera nostra e così faremo uscire anche un disco".
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Un grado di dolore per raccontare le fragilità umane
Il lockdown della pandemia riecheggia nella grande casa semibuia in cui è ambientata la quasi totalità de I giganti. Una casa immersa circondata dalla solare campagna sarda di cui nel film non vediamo granché. "Volevo fare un film che distruggesse la mascolinità italiota alla maniera di certi film di Marco Ferreri e avevo la necessità di inserire i personaggi in un unico ambiente chiuso a cui contrapporre le aperture sulle vallate della Sardegna in stile western" chiarisce Bonifacio Angius. "Questa era la condizione d'obbligo per fare entrare i cinque amici in conflitto. Abbiamo trovato la casa nel paese di Thiesi e abbiamo ricostruito praticamente tutto perché era completamente vuota. Abbiamo arredato la casa con mobili d'epoca in modo da avere un controllo totale dell'ambiente e incredibili punti macchina per ricostruire la geografia dell'appartamento".
In questo ambiente così caratterizzato, a netta predominanza maschile, le poche donne che fanno il loro ingresso non vengono trattate granché bene, ma Bonifacio Angius nega che ci siano echi autobiografici in questa scelta. Tutt'altro. Il regista specifica che il film è "una dichiarazione d'amore alla figura femminile, centrale nella storia perché tutto è generato dalla sua mancanza. Da questa mancanza nasce il dolore. I giganti è tutt'altro che misogino, la critica implicita, in realtà, è nei confronti degli uomini. Stessa cosa nei confronti della droga che nel film è presente in modo massiccio, ma non viene mai esaltata". L'alone di morte che avvolge l'ambiente de I giganti viene stemperato grazie ai toni surreali e a una sottile vena di humor a cui il regista non ha rinunciato neppure in questa occasione: "Il cinema che amo cammina sul film del rasoio tra drammatico e ridicolo. Basta fare un passo falso e sprofondi da una parte o dall'altra. Per fare questo film mi sono sentito come un acrobata che cammina sul filo, ma non ho mai rinunciato all'ironia. Per me è un elemento imprescindibile".