I Am Mother, la recensione: distopie “materne” su Netflix

La recensione di I Am Mother, film di fantascienza australiano disponibile su Netflix e interpretato da Rose Byrne e Hilary Swank.

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I Am Mother: una scena del film

Con la recensione di I Am Mother il clima si fa distopico ma a un livello ridotto, e non solo perché il film è andato direttamente su Netflix fuori dall'Australia (paese d'origine), fatta eccezione per la prima mondiale al Sundance all'inizio del 2019 (precedentemente era stato mostrato solo in versione provvisoria).
I Am Mother è un film volutamente girato in piccolo, limitato ad un'unica location e con un cast principale ridotto al minimo indispensabile: cinque attori per tre ruoli centrali (uno è condiviso da due attrici a seconda del periodo in cui è ambientata la storia, l'altro è un ibrido della performance fisica di una persona e della voce di un'altra). Il tutto al servizio di un racconto di fantascienza non propriamente inedito, ma senz'altro interessante per come affronta temi già esplorati altrove. È anche senza dubbio un biglietto da visita intrigante per il regista esordiente Grant Sputore, alle prese con un copione precedentemente incluso nella prestigiosa Black List americana (elenco annuale delle migliori sceneggiature non ancora portate sullo schermo).

Madre e figlia

Siamo in un non precisato contesto post-apocalittico, dopo un evento che ha portato all'estinzione della razza umana. Un robot chiamato Madre (voce di Rose Byrne in originale) osserva lo sviluppo di un embrione umano, e col passare del tempo cresce una bambina come se fosse sua figlia. Il mondo esterno è inaccessibile a causa degli agenti contaminanti che hanno devastato la superficie, e l'unico contatto che Figlia (l'unico nome con cui è identificata, titoli di coda inclusi) ha con un'altra persona è proprio quello con Madre, in attesa dello sviluppo di altri embrioni (il robot sostiene di dover prima sapersi prendere cura di Figlia, e solo allora potrà ripopolare il pianeta come si deve). Un giorno, però, una sconosciuta (Hilary Swank) arriva da fuori, con rivelazioni che potrebbero compromettere tutto.

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Partita a tre fra attrici

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I Am Mother: Hilary Swank in una scena del film

I Am Mother è principalmente una partita a tre fra attrici, con il caso particolare che è Madre: la sua doppiatrice non era presente sul set, dove il costume del robot, realizzato dalla Weta, era invece indossato da Luke Hawker, veterano della celebre società di effetti speciali e già attivo come attore in Krampus, dove interpretava l'omonima creatura. Il suo lavoro fisico unito a quello vocale della Byrne dà al personaggio la giusta qualità ibrida, una doppia componente umana per creare un'entità che umana non lo è affatto, e con un nome che, per quanto non sia un omaggio esplicito, non può non far pensare al computer di bordo in Alien. A loro si contrappone la Swank, sorta di guest star che aggiunge alla tensione narrativa un bagaglio di backstory efficace e non troppo invasivo, restituendo gli orrori del passato con poche parole e un attento gioco di sguardi e gesti. E tra le due litiganti c'è la giovanissima attrice danese Clara Rugaard, già interprete di Giulietta nella sfortunata serie TV Still Star-Crossed. Tre interpretazioni diverse, per tre gradi di umanità diversi in un mondo sterile, scientifico, claustrofobico dove la speranza è tinta di grigio come l'atmosfera generale della storia.

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I Am Mother: un'immagine del film

Piccola grande fantascienza

L'approccio volutamente minimalista dà a Grant Sputore la possibilità di concentrarsi su una precisione formale, quasi geometrica a causa dell'ambientazione, che compensa qualche piccola pecca strutturale (chi è abbastanza ferrato intuirà quasi subito dove andrà a parare il film, senza timore di sbagliare). Ne fuoriesce una piccola, potente distopia "materna" che proprio su Netflix dovrebbe trovare il pubblico giusto, mentre nel circuito dei multiplex, dove l'esigenza primaria da parte del pubblico è quella dello spettacolo mastodontico, il film sarebbe finito bruciato come gli elementi esterni che sporadicamente penetrano nel bunker. Da quel punto di vista Madre è quasi un'allegoria dello streaming, che si propone come entità in grado di salvare determinati progetti in via d'estinzione. Strategia nobile ma imperfetta, proprio come lo è la creatura artificiale del film, i cui piani non sempre vanno per il verso giusto.

Conclusioni

Arrivati al termine della nostra recensione di I Am Mother, l'operato di Netflix come distributore di opere di genere più piccole, destinate all'invisibilità quasi totale nelle sale tradizionali, continua a dare frutti degni di nota: l'opera prima di Grant Sputore, al netto di qualche sbavatura da esordiente (per lo più a livello di scrittura, e quindi non direttamente nel campo registico), è un buon pezzo di fantascienza le cui piccole dimensioni celano grandi idee.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • Madre è un personaggio volutamente anomalo, reso benissimo da due performance che si completano.
  • Le interpretazioni umane sono solide e coinvolgenti.
  • L'atmosfera post-apocalittica è impressionante nel suo piccolo.

Cosa non va

  • A livello narrativo alcuni elementi risultano troppo prevedibili.