Personale, indisciplinato, delicato. Potremmo riassumere con questi tre aggettivi I Am Luke Perry il documentario che vuole raccontare il più possibile l'uomo dietro l'attore, a 6 anni dalla tragica e prematura scomparsa.
In prima visione su Sky Documentaries e disponibile in streaming su NOW, il lungometraggio mostra l'incredibile ascesa, da ragazzo di provincia ad icona di Hollywood. Per farlo però sceglie la parte più inedita, controcorrente, sovversiva, attraverso le testimonianze di alcuni colleghi e amici. Ma non quelli che vi aspettereste.
I Am Luke Perry: Jason Priestley ricorda l'amico, l'attore, l'uomo
Il doc è praticamente una lettera ad un amico che non c'è più. È prodotto non a caso da Jason Priestley, ex co-star in Beverly Hills, 90210 e infatti è la sua voce a guidarci alla scoperta di un talento che ha sempre fatto valere la propria posizione nell'industria hollywoodiana. Un giovane (poi uomo) che non si è mai accontentato, che non ha mai fatto quello che gli altri si aspettavano da lui, che non ha mai scelto un percorso facile.
Lui, anticonformista, nonostante la fama immediata ricevuta grazie al personaggio di Dylan McKay in quel fenomeno mondiale che è stata la serie FOX. È chiaro da subito quando Priestley tenesse a costruire questo ricordo imperituro - per se stesso e per il pubblico - di colui che venne definito "il nuovo James Dean", condividendone la fine prematura.
Non il solito documentario
Ciò che colpisce di I Am Luke Perry è la scelta degli intervistati. Non c'è l'intero cast di Beverly Hills, 90210, come sarebbe stato lecito aspettarsi. Bensì nomi che hanno formato il percorso del protagonista, e sono stati influenzati a loro volta da lui, tanto umanamente quanto professionalmente. Nel primo film dopo l'uscita di scena dalla serie FOX, in un episodio diretto proprio da Priestley, Perry consiglia e sostiene Kristy Swanson in Buffy l'ammazzavampiri. Ovvero il film flop di Joss Whedon del 1992, anticipatore della serie cult con Sarah Michelle Gellar.
Adrian Buitenhuis, che scrive e dirige il doc, sceglie questo ed un altro titolo non proprio lusinghieri: il film sul rodeo 8 Seconds, un altro insuccesso commerciale. Perché? Per far emergere come l'attore non abbia mai scelto la strada più facile e non sia limitato alla propria bellezza esteriore; Aaron Spelling ci aveva visto lungo durante il casting, insistendo per aggiungere un personaggio outsider e pagando di tasca propria il suo ingaggio. A consacrare finalmente il talento del protagonista il ruolo del Reverendo Jeremiah Cloutier in Oz della HBO, come racconta Dean Winters: "Attraversò nudo il set per ricordarci che era uno di noi". Tanto da raccogliere in preghiera i presenti senza che nessuno gliel'avesse chiesto, dimostrando al creatore Tom Fontana il suo impegno e la sua dedizione verso questo mestiere e verso i propri personaggi.
Uno spirito empatico, fino alla fine
Luke Perry si faceva amici non solo gli attori ma anche la troupe. Questo dimostra che di fronte alla sua apparente solitudine aveva una grande empatia. L'altro elemento infatti che colpisce del documentario sono i filmati inediti, anche familiari, che mostrano la sua incredibile crescita, e curiosi dietro le quinte. Azzeccate anche le scelte degli ultimi due intervistati: Timothy Olyphant, che con lui ha condiviso il set di C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino: sono stati due attori realmente esistiti nella serie western Lancer, rispettivamente James Stacy e Wayne Maunder.
L'ultimo ruolo è quello che coincide anche con la sua morte sullo schermo, ovvero Fred Andrews il padre di Archie in Riverdale. E quindi anche l'ultime testimonianza: Marisol Nichols alias Hermione Lodge, la madre di Veronica, con cui Fred aveva avuto una storia da ragazzi poi ripresa da adulti. Non riesce a non emozionarsi ricordando l'episodio-omaggio ad entrambi, attore e personaggio, dato che la morte era avvenuta durante una pausa della serie. Per arrivare ad un finale simbolico, ambientato tra i campi dell'Ohio che lo avevano visto nascere e crescere. Questo emerge: la capacità di costruire una carriera segnata da autenticità e dedizione. Oltre le etichette, oltre la bellezza, oltre l'icona.
Conclusioni
I Am Luke Perry è un documentario che sfida le convenzioni proprio come il suo protagonista. Adrian Buitenhuis e Jason Priestley (valore aggiunto del racconto) riescono ad utilizzare la cronologia "classica" dagli esordi in Ohio alla morte a Hollywood con un twist diverso. Ovvero la scelta di filmati e testimonianze inaspettati, inediti e soprattutto meno strombazzati, banali, prevedibili. Questo per ricordare l'uomo dietro l'attore, empatico come pochi e che metteva anima e corpo in ciò che faceva, capendo ben presto di voler essere molto più che un semplice "bel faccino".
Perché ci piace
- Jason Priestley come voce narrante.
- Filmati inediti anche familiari e giovanili.
- Testimonianze ricercate e meno mainstream.
- Marisol Nichols come ultima intervista.
Cosa non va
- L'impostazione un po' classica rimane.