Era il 2012 quando nelle sale cinematografiche usciva l'adattamento del primo capitolo della trilogia scritta da Suzanne Collins nota con il nome di Hunger Games. Un adattamento cinematografico che riuscì in un duplice obiettivo: consacrare definitivamente al grande pubblico il talento di Jennifer Lawrence (già dimostrato con il reboot degli X-Men e che culminerà l'anno successivo con la sua prima collaborazione con David O. Russell, che la porterà a vincere l'Oscar come miglior attrice) e riuscire nell'impresa di diventare l'erede di Twilight come nuovo titolo di punta per un pubblico di adolescenti. Non solo: forte del successo di critica (ben poco allietata dai cinque film dedicati a Belle e Edward di Stephenie Meyer), Hunger Games portò a un incremento delle versioni cinematografiche di altre saghe letterarie, come Maze Runner o Divergent, che però non ebbero il successo sperato. La saga di Katniss Everdeen è quasi un unicum di incredibile qualità (nonostante gli ultimi due film non particolarmente brillanti) per il genere, capace di risultare interessante sotto vari aspetti e per un pubblico quanto più vario possibile. Più stratificata di quanto possa sembrare a prima vista, ecco perché la saga di Hunger Games è il miglior Young Adult del decennio.
Il gioco della morte
Alla base di Hunger Games c'è uno show televisivo. Il Presidente Snow, capo di Capitol City, pretende che, ogni anno, ognuno dei dodici distretti di cui è composta la nazione Panem scelga due tributi: un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che saranno i concorrenti di un violento gioco, in cui tutti loro dovranno combattere fino ad avere un unico sopravvissuto e vincitore. Un gioco istituito come punizione verso i tentativi di rivolta avvenuti in passato (esiste un tredicesimo distretto ormai distrutto da cui era partita una ribellione) e che è arrivato alla 74esima edizione. Raccontare l'adolescenza, quel passaggio di crescita tra l'infanzia e l'età adulta, significa raccontare caratteri rabbiosi sia verso sé stessi che verso il mondo esterno e non sorprende il fatto che la violenza abbia un ruolo centrale, sia intesa come sfogo adolescenziale all'interno dell'Arena, nei meccanismi del gioco, sia come motore di controllo del governo di Capitol City (i soldati vengono chiamati Pacificatori come se ciò che non riguarda l'ordine sia per definizione un atto di guerra). Rendere così manifesto l'atto di uccidere, parlare di morte e non filtrare la violenza (si parla di ragazzini che si uccidono tra di loro, ma anche di adulti che non si fanno scrupoli a uccidere ragazzini solo per donare uno spettacolo migliore) rende Hunger Games un'opera sincera che tratta fin da subito il suo pubblico come un adulto intelligente e instaurando un dialogo perfettamente inserito nel tempo. Rivolgendosi, infatti, alla generazione dei millennials e alla generazione Z, generazioni che sentono parecchio la divergenza del loro mondo con quello dei loro antenati, Hunger Games mette in mostra la più potente delle rivolte e la più potente delle domande: perché noi adolescenti siamo costretti a vivere in un mondo che non ci appartiene e dobbiamo pagare le conseguenze di qualcosa che non abbiamo voluto?
Lo schermo, specchio del falso
Gli Hunger Games sono più che una punizione: sono uno show televisivo di successo dove tutto deve procedere secondo le regole di un perfetto reality show consolidato negli anni, capace di appassionare con le sue (finte) storyline, il suo glamour, i suoi personaggi preferiti votati dal pubblico e le sue dinamiche che trasformano la realtà in un film. Non è un caso che nella saga di Hunger Games una grande attenzione venga posta sull'utilizzo dello schermo, sull'importanza dei filmati, delle telecamere, dell'immagine costruita e divulgata (assisteremo nel terzo film a un vero e proprio set cinematografico per realizzare il messaggio di Katniss). Una scelta che ancora una volta centra l'obiettivo di parlare ai suoi spettatori di riferimento che sono cresciuti col digitale (televisione, computer, smartphone) portando così in primo piano, all'interno della narrazione, l'utilizzo dello schermo. Ed è uno schermo bugiardo, falsificatore della realtà, che trasforma la violenza in gioco, costringe Katniss a recitare una parte ben più benevola e amata, rende una punizione sanguinosa uno spettacolo luccicante. In un'epoca in cui tutto avviene attraverso uno schermo, dalle notizie di cronaca alle interazioni sociali, quello di Hunger Games è un invito a prendere coscienza della verità, a separare ciò che ci viene mostrato (la costruzione fittizia) da quella che è la verità e, di conseguenza, a distinguere l'immagine di noi (che ci viene creata o che ci creiamo noi stessi, i vestiti di fuoco di Katniss la rendono popolare, ma la costruzione della storia d'amore con Peeta è un modo per sopravvivere e ricevere affetto dal pubblico) con ciò che siamo realmente. Katniss è una ragazza solitaria, a tratti timida, poco incline a socializzare e dal carattere duro e forte, eppure la trasmissione televisiva di pre-show condotta da Flickerman la rende una ragazza popolare, alla mano, amata.
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Un linguaggio da documentario
Ecco la scelta vincente del regista Gary Ross per questo primo capitolo (elemento poi andato perso con l'arrivo di Francis Lawrence nei sequel): l'utilizzo della camera a mano che dona un senso di film-verità alla narrazione. Non solo accentua tutta la costruzione ansiogena nel momento in cui la 74esima edizione degli Hunger Games comincia (la camera a mano, lo ricordiamo, dona un senso di realismo facendoci sentire presenti nella situazione che sta raccontando), ma anche distingue ciò che è vero da ciò che è falso aumentandone di conseguenza tutti gli elementi più cupi e violenti del film. Non vuole edulcorare alcunché Gary Ross (anche se, va detto, le morti avvengono sempre off screen e non è presente - giustamente - così tanto sangue né un ostentato aspetto gore che in altri casi è avvenuto, pensiamo a Battle Royale), la sua scelta della camera a mano rende il film meno costruito, come se stesse accadendo in quel momento nonostante sia ambientato in un mondo e in un'epoca lontana dalla nostra. In un certo senso, Hunger Games vuole essere disturbante e non accomodante verso il suo pubblico sapendo benissimo che in questo modo, oltre a dimostrarsi unico e più maturo rispetto alla media dei prodotti di genere, risulterà memorabile.
La ragazza di fuoco e l'uomo di ghiaccio
Fuoco e ghiaccio, i due opposti che abbiamo trovato anche ne Il trono di spade, qui sono simboleggiati dal Presidente Snow (neve), deciso a tenere Panem sotto l'ordine falsificandone la realtà e Katniss, la ghiandaia imitatrice, la ragazza di fuoco, colei che simboleggerà una nuova rivolta. La focosa ribellione adolescenziale contro il glaciale ordine degli adulti, il calore della vita contro il freddo schermo digitale, i sentimenti puri e i vestiti sporchi di terra contro l'immagine asettica e la perfezione illusoria della ricchezza. E ancora il calore della maternità contro la freddezza paterna, l'emancipazione non solo giovanile ma anche femminile contro l'obsoleto sistema patriarcale. Hunger Games è un'opera complessa e stratificata, capace di rivolgersi perfettamente a una precisa generazione di spettatori che è capace di leggere tra le righe e identificarsi al meglio nei temi affrontati. Forse non una saga di quattro film perfettamente riusciti nella loro interezza, via via sempre meno sfaccettati seppur gli argomenti di riflessione continuino a essere presenti, ma sicuramente un'opera unica nel suo genere. A distanza di anni, il meccanismo degli Hunger Games continua a essere amato: il successo di videogiochi come Fortnite e PUBG tra gli adolescenti è emblematico anche se viene da chiedersi se i ruoli non si siano invertiti e abbia vinto il sistema controllato del Presidente Snow. O forse è un ennesimo gioco di schermi e specchi. D'altronde, prima di Katniss, ci sono state altre 73 edizioni del gioco.
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