Dobbiamo rassegnarci a un'idea sempre più evidente negli ultimi anni, dal finale di Harry Potter in poi: non solo il cinema si fa sempre più seriale, a dispetto di una televisione più cinematografica, ma i moderni franchise tendono a portare all'estremo questo concetto suddividendo anche singoli capitoli in più parti serializzate da un anno all'altro. Aveva iniziato il popolare mago della Rowling spezzando in due il settimo e ultimo libro, aveva proseguito Twilight, aveva portato all'estremo questo concetto Peter Jackson, rendendo la favola de Lo Hobbit una trilogia, lo fa ora anche Hunger Games dividendo in due parti il finale della sua trilogia letteraria, Il canto della rivolta (Mockinjay, nell'originale che si concentra sulla figura simbolica di Katniss).
Arriva quindi in sala, a distanza di un anno dalla Parte 1, anche quella conclusiva della saga ideata da Suzanne Collins, confermando per la terza volta consecutiva alla regia Francis Lawrence dopo l'avvio firmato nel 2012 da Gary Ross, e confermando, ovviamente, tutto il cast che ha dato vita alla storia attorno al triangolo composto da Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson e Liam Hemsworth. Per questo ritroviamo ancora il compianto Philip Seymour Hoffman, che ci ha lasciati proprio nel corso delle riprese di questo film costringendo la produzione a modificare alcune scene che ancora non aveva girato al momento della morte. Il suo Plutarch Havensbee riesce quindi a concludere il suo percorso in Hunger Games ed è un ovviamente un piacere poter dare un ultimo saluto all'attore sul grande schermo.
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Il peccato originale
Una storia è un organismo vivente, che si sviluppa dalla nascita alla morte, dall'inizio alle fine. È importante che ci siano entrambe perché la storia sia sana, forte e capace di camminare sulle sue gambe. Per questo non siamo fan delle recenti scelte citate in apertura, per quanto ne comprendiamo le motivazioni ed il senso puramente commerciale. Il principale difetto di Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 2, a nostro parere, è proprio in questa scelta iniziale e ci era sembrato evidente già lo scorso anno guardando la sua prima metà, che lasciava la sensazione di una lunga introduzione* a quanto sarebbe arrivato quest'anno. La speranza, però, era che invece la seconda potesse funzionare da sola, che potesse avere una vita autonoma ospitando, almeno, il finale della saga; purtroppo non è così, perché senza quella parte introduttiva ci si ritrova gettati nel mezzo della storia senza l'adeguata preparazione e costruzione emotiva, incapaci di immergerci fin da subito nella storia e nei suoi risvolti, e il film di Lawrence non fa nessuno sforzo per aiutarci, per reintrodurre la vicenda e il nuovo film. Come cominciare il secondo tempo di una partita senza rimettere la palla al centro, continuando esattamente dove l'arbitro aveva fischiato.
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Canto senza ritmo
La scelta della divisione in due parti, però, porta con sé un ulteriore problema: nel momento in cui si è deciso di realizzare due film, sarebbe stato necessario arricchire il materiale di partenza, creare altri momenti chiave e non diluire quelli già esistenti. È apprezzabile la fedeltà all'opera, ma si sa che la traduzione porta con sé un inevitabile tradimento: seguire fedelmente lo sviluppo di un unico romanzo dividendolo in due diverse opere porta con sé un naturale calo di ritmo, evidente lo scorso anno ma presente, seppur in misura minore, anche in una Parte 2 che rivela una mancanza di equilibrio nel suo sviluppo complessivo. Le pause tra i momenti più forti e drammatici rischiamo di stemperarne la potenza e l'effetto finale, tanto che viene il dubbio che un paio di situazioni finiscano per risultare più efficaci per chi già conosce i romanzi e quello che dovrà accadere piuttosto che per lo spettatore a digiuno dell'opera della Collins. La sensazione, infatti, è che gli ultimi capitoli di Hunger Games funzionino meglio per i fan letterari della saga, che però dal suo esordio del grande schermo aveva saputo coinvolgere un pubblico molto più ampio, come conferma il botteghino ed un incasso totale di un franchise che, finora, ha incassato in tutto il mondo due miliardi e trecento milioni.
Eroina per caso
Lo sviluppo narrativo della saga letteraria della Collins è interessante: debutta con gli Hunger Games, li ripete a sorpresa nel secondo capitolo per poi mutare ancora nel suo finale e condurre ad un terzo capitolo che porta in modo molto naturale e non forzato alla rivolta contro Capitol City con Katniss a farne da simbolo e manifesto vivente con il suo ruolo di Ghiandaia imitatrice. È questa rivolta ad essere raccontata in questo finale, con tutti i suoi risvolti politici e sociali e la capacità di far risuonare la nostra realtà attraverso la finzione, come solo la miglior fantascienza sa fare. Da questo punto di vista resta apprezzabile la saga di Hunger Games, che affronta un discorso complesso sui media, sul controllo delle masse, sullo stesso terrorismo che è purtroppo quantomai attuale negli ultimi giorni, attraverso una società futura distopica e ben costruita. E, grazie al suo genere Young Adult, lo fa in un'opera che si rivolge prevalentemente ad un pubblico di adolescenti e questo non è assolutamente da sottovalutare. Lo fa attraverso il suo simbolo, la Katniss Everdeen di Jennifer Lawrence, eroina per caso e moderna icona femminile.
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Benvenuti ai 76mi Hunger Games
Non ci sono i giochi nel doppio capitolo finale, ce li siamo lasciati alle spalle in Hunger Games: la ragazza di fuoco, quando l'edizione della Memoria che si tiene ogni 25 anni aveva richiamato in gioco i vincitori delle passate edizioni con una mossa a sorpresa del Presidente Snow. Non ci sono, eppure i pericoli e vari ostacoli che i ribelli devono affrontare sul loro cammino un po' ricordano quelli vissuti nell'Arena dei giochi condotti da Plutarch, in particolare un paio di sequenze tra le strade della capitale di Panem, tradendo la natura di blockbuster di un film che ha il compito di intrattenere lo spettatore. Ma l'azione presente nel quarto film, per quanto necessaria, non può distogliere l'attenzione dal principale momento drammatico che i lettori già conosceranno, e che ovviamente non anticipiamo per tutti gli altri, e dalla conclusione di un percorso che ha accompagnato gli spettatori per quattro film e che per questo non può non emozionare. Sono momenti parzialmente rovinati dai problemi su cui ci siamo soffermati in apertura e che lasciano il rammarico per la conclusione di una saga che abbiamo seguito con grande interesse e per un personaggio che, in ogni caso, lascerà il segno nell'immaginario collettivo contemporaneo, con la sua forza e il suo istintivo carisma.
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Movieplayer.it
3.0/5