"Stagione filler", "stagione lenta", "stagione riempitiva", "deciso passo indietro", "stagione senza un finale" sono solo alcune di una lunga serie di definizioni molto poco lusinghiere riguardanti la seconda stagione di House of the Dragon, il primo prequel / spinoff diramatosi dal mondo del fenomeno Il trono di spade, in attesa di vedere A Knight of the Seven Kingdoms e come andrà la produzione degli altri sette titoli (quattro animati e tre live action) annunciati da George R. R. Martin in persona.
Una reazione in completa controtendenza rispetto ad una prima parte che conquistò anche gli insospettabili grazie alle felici scelte di adattamento de la Danza dei Draghi, la guerra civile Targaryen raccontata in Fuoco e Sangue, il libro del 2018 che ripercorre la storia della Dinastia del Drago da quando Aegon Il Conquistatore e le sue due sorelle / mogli Rhaenis e Vysenia assoggettarono i sette regni di Westeros. Le criticità del titolo ideato dallo showrunner Ryan Condal nascono soprattutto da delle decisioni relative alla centralità di alcuni personaggi, che nei libri hanno uno spazio decisamente più ridotto, dal cambio nella quantità del materiale preso in considerazione e dalla scelta di creare dei forti legami con la serie maestra sia nel contenuto che nella forma. Oltre che da un serio problema con il futuro.
House of The Dragon per la sua seconda stagione promette i draghi, ma si concentra sulle persone, lasciando da parte la tragedia shakesperiana e cercando di recuperare le chiavi narrative utilizzate da David Benioff e D. B. Weiss sia quando avevano ancora dietro di loro le pagine scritte de le Cronache del ghiaccio e del fuoco che non, provando, a volte quasi affannosamente, a segnalarlo allo spettatore, come spinta dalla paura di essere fraintesa. Il risultato è una scrittura dal ritmo ondivago, che si ritrova spesso stretta tra il recupero di ciò che è stato prima e quello che dovrà accadere poi.
Il cambio di rotta della seconda stagione de House of the Dragon
La forza della prima stagione di House of the Dragon fu probabilmente proprio la rottura con Il trono di spade, nella misura in cui la serie spinoff era stata pensata per essere un racconto spalmato in più decenni di una saga familiare e non un storia a più voci in cui si narrava dei sotterfugi di un regno in completa crisi. La storia di un momento di declino di una casata invece che la ricostruzione di un regno attraverso un machiavellico gioco che si consuma più in camera caritatis che sul campo di battaglia.
La natura di Fuoco e Sangue ha consentito agli autori di ricostruire dei personaggi praticamente da zero e di creare nuovi legami senza alterare la linea generale della narrazione, ciò ha portato a degli sviluppi in cui la dimensione intima ha preso il sopravvento totale nella seconda stagione, rallentando il passo generale e arrivando ad un riavvicinamento al leitmotiv della serie maestra. La narrazione fa un passo indietro per divenire più tentacolare, avvolgendo i suoi protagonisti e allargando poi il campo in modo da accoglierne altri all'interno della vicenda e, soprattutto, nuove tematiche, molte di natura esistenziale (c'è un continuo gioco di doppi praticamente a tutti i livelli) oltre alla messa in crisi dell'importanza della purezza delle linee di sangue e ai grandi sulla guerra e le sue conseguenze. Il tutto ovviamente affiancato al solito grande focus: indagare i tanti volti del potere.
Lo si vede soprattutto in casi come quelli di Alicent, Rhaenyra e Daemon, i cui archi hanno avuto lo scopo di ricollocare definitivamente (?) le loro posizioni per chiudere con le loro azioni passate e ritagliarsi un ruolo nuovo per il futuro. I loro rispettivi viaggi sono quelli che rappresentano maggiormente le intenzioni di una stagione che si è concentrata sulle idiosincrasie, le debolezze e le potenzialità della natura umana, lasciando da parte, in maniera piuttosto chiara, persino le premesse che hanno portato allo scoppio del conflitto, affidate alla Storia e alla predestinazione.
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La storia di House of the Dragon non basta?
Questa ricollocazione strutturale dell'intero impianto di scrittura di House of the Dragon non è stata digerita facilmente dai fan, i quali hanno invece apprezzato soprattutto i momenti in cui i draghi (quelli che erano stati promessi) si sono mostrati, anche grazie ad un budget considerevolmente aumentato rispetto alla stagione passata e la solita maniacale cura estetica che ha sempre elevato il livello generale del titolo.
Più che di sorpresa nel loro caso è più corretto infatti parlare quasi di delusione, tanta da suscitare perplessità su eventuali rimaneggiamenti in corso d'opera (inizialmente, per esempio, gli episodi dovevano essere 10 e non 8) che hanno messo gli autori in difficoltà. In assenza di dichiarazioni questo non è possibile saperlo con certezza, ciò che invece possiamo ipotizzare è che le penne dietro la serie abbiano deciso di dedicarsi all'approfondimento dei personaggi, riallacciandosi il più possibile a Il trono di spade e lasciando le promesse per gli sviluppi del conflitto al futuro (purtroppo non così prossimo).
Il richiamo esplicito allo show principale era stato sussurrato nella prima stagione con la comunicazione della presenza della Profezia del Ghiaccio e del Fuoco, che in questa stagione è giunta alle orecchie di Jacaerys ed anche a quelle di Daemon, le cui visioni, oltre ad arrivare al primo Corvo a tre occhi e alla rinascita di Daenerys, hanno suggerito addirittura di un suo possibile legame con gli Estranei. Un antipasto completato dal vero e proprio teaser posto negli ultimi minuti di un finale che testimonia definitivamente il difficile rapporto tra la seconda stagione di House of the Dragon e il futuro, sempre richiamato, tramite presagi e divinazioni, come se l'argomento presente (o il nuovo modo con cui viene trattato) non convinca in primis chi lo affronta.