Diversi rischi si sono profilati nel corso della prima parte di questa settima stagione di Homeland: da una storyline principale che ha ingranato sul serio solo dopo qualche puntata al complesso e problematico subplot legato alla figura del provocatorio giornalista televisivo Brett O'Keefe (Jake Weber); dalle ambiguità nella linea politica della Presidente Elizabeth Keane (Elizabeth Marvel) a un secondo episodio, Rebel Rebel, con la sconclusionata parentesi su un misterioso hacker, da annoverare fra i più deboli nella storia della serie.
Ciò nonostante, possiamo tirare un grande sospiro di sollievo: a prescindere da qualche forzatura, dopo sette anni Homeland si riconferma uno dei migliori e più avvincenti thriller del piccolo schermo. E questa settima stagione, la penultima della pluripremiata serie di Showtime, si è attestata su un livello decisamente soddisfacente, bilanciando ancora una volta le esigenze della suspense, il tormentato percorso dell'agente Carrie Mathison (Claire Danes) e degli altri comprimari e un'angosciosa riflessione sull'America contemporanea. Una riflessione che, come abbiamo avuto modo di constatare, ha tenuto alla perfezione il passo con l'attualità: dai social media e le fake news come strumento per influenzare le masse alle rinnovate tensioni fra Stati Uniti e Russia.
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Prove generali di Guerra Fredda
Paean to the People, scritto dallo showrunner Alex Gansa e affidato alla regia della veterana Lesli Linka Glatter, ci riporta da subito nel cuore della missione disperata avviata nel precedente All In: Carrie, a Mosca insieme a una delegazione diplomatica guidata da Saul Berenson (Mandy Patinkin), è protagonista di un serrato inseguimento al termine del quale sarà catturata dagli uomini di Yevgeny Gromov (Costa Ronin, uno dei volti storici del cast di The Americans). Il 'sacrificio' di Carrie, come sempre pronta a mettere a repentaglio se stessa pur di onorare la causa per cui si batte, permette a Saul di ripartire dalla Russia insieme a Simone Martin (Sandrine Holt), preziosissima testimone in grado di riabilitare la reputazione della Presidente Keane e di riportare la fiducia nelle istituzioni in un'America che sembra sul punto di scivolare nel caos.
La prima metà di Paean to the People porta dunque a compimento le fila dell'intreccio sviluppato nel corso di questa stagione, dosando in maniera eccellente il ritmo, l'azione e il dramma: sia a Mosca, teatro di una furiosa "caccia alla donna" e di una provvidenziale fuga all'ultimo minuto utile, sia a Washington D.C., in una Casa Bianca in cui il Vice Presidente Ralph Warner (Beau Bridges) decide di anteporre il senso del dovere agli interessi personali e contribuisce all'esito positivo della missione di Saul e Carrie. Un esito contaminato, però, da più di una nota di amarezza rispetto alla sorte dei personaggi.
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God bless America
La seconda parte dell'episodio, ambientata a tre giorni di distanza, ricostruisce infatti le conseguenze di quanto narrato fino a quel momento. Il discorso alla nazione della Presidente Keane, suggellato dalle inaspettate dimissioni subito dopo il suo secondo giuramento, costituisce un momento emblematico per Homeland: per l'intensità di quel monologo, ripreso in un semplice primo piano (Elizabeth Marvel si è rivelata davvero uno dei punti di forza delle nuove stagioni della serie), e per il valore implicito della scelta della Keane. Paean to the People, in fondo, rappresenta la cronaca di un doppio sacrificio da parte di due donne ugualmente coraggiose: quella perennemente sotto la luce dei riflettori, e disposta a rinunciare al proprio ruolo pur di sanare le divisioni nel paese e di garantire agli Stati Uniti un futuro più sereno; e quella che agisce nell'ombra, dietro le quinte e senza un briciolo di gloria, ma il cui operato sarà, ancora una volta, fondamentale per la sicurezza della nazione.
Ed è a Carrie che facciamo ritorno negli ultimi minuti della puntata, in un inquietante explicit in stile Il ponte delle spie: dopo aver trascorso sette mesi in carcere in Russia, privata dei propri farmaci, la nostra eroina viene restituita alle braccia di Saul mediante un canonico scambio di prigionieri. Ma la Carrie che appare sullo schermo in quegli istanti finali è una donna devastata: lo sguardo sbarrato, l'orrore e lo smarrimento dipinti sul volto, l'assenza del minimo barlume di lucidità. La vittoria contro gli agenti russi ha avuto un prezzo altissimo, e il prezzo, come già accaduto spesso in passato, è stato pagato soprattutto da Carrie... in attesa di un riscatto rimandato al prossimo anno e all'atto conclusivo di Homeland.
Movieplayer.it
3.5/5