Lo scorso dicembre, con la puntata dal titolo Il funerale (Long Time Coming), Homeland faceva calare il sipario sulla sua quarta stagione. Una stagione rischiosissima, in cui gli showrunner Howard Gordon e Alex Gansa si erano giocati il tutto per tutto: dopo gli altalenanti risultati della (comunque pregevolissima, benché contestata e non certo perfetta) stagione 3 e la morte di Nicholas Brody (Damian Lewis), la serie di punta della rete Showtime era infatti stata costretta e reinventarsi e a modificare, almeno in parte, la propria formula narrativa.
E a dispetto dei timori dei più scettici, la stagione 4 di Homeland era ripartita con un sostanziale reset del racconto, con una nuova ambientazione (il Pakistan, teatro di una logorante guerra al terrorismo e di losche alleanze sottobanco) e con nuove sfide per la protagonista Carrie Mathison, interpretata da una magnifica Claire Danes, sfoderando una narrazione pienamente convincente: una narrazione capace di fondere momenti di altissima tensione con un adeguato approfondimento dei rapporti fra i personaggi e dei loro dilemmi morali, che li avrebbero messi di fronte, di volta in volta, a scelte fatidiche.
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Il cielo sopra Berlino
Pur senza sfiorare le vette altissime (e forse ormai irraggiungibili) delle prime due stagioni, capaci complessivamente di conquistare cinque Golden Globe e otto Emmy Award, il quarto capitolo di Homeland ci aveva consegnato tuttavia una serie rinata, solidissima dal punto di vista drammaturgico e capace, all'occorrenza, di colpire con inusitata durezza. Ma con Separation Anxiety, primo episodio della quinta stagione, in onda su Showtime a partire dal 4 ottobre, gli autori hanno deciso di mettere in atto un altro reset narrativo. Un reset probabilmente inevitabile, considerato l'epilogo della stagione 4: una Carrie pronta ad assumere il ruolo di madre nei confronti della piccola Frannie, la bambina avuta da Brody, e la rottura 'ideologica' fra la donna e il suo mentore, Saul Berenson (Mandy Patinkin). Non a caso la quarta stagione si chiudeva sul sentimento di delusione di Carrie rispetto a Saul, disposto a scendere a patti con i terroristi pur di mettere al sicuro la propria reputazione e poter accedere al vertice della CIA.
In Separation Anxiety, dunque, la situazione è mutata radicalmente. La storia ha inizio a due anni di distanza dagli avvenimenti della stagione precedente: Carrie, ora, ha definitivamente abbandonato la CIA e ha un lavoro come responsabile della sicurezza per un'importante compagnia filantropica con sede a Berlino, la Düring Foundation, a capo della quale si trova il ricco Otto Düring (Sebastian Koch, in passato interprete de Le vite degli altri). La donna pare aver scoperto un inedito sentimento religioso (nella prima sequenza la vediamo ricevere la Comunione all'interno di una chiesa), ha il tempo necessario a occuparsi con premura della figlia Frannie e abita sotto lo stesso tetto con un suo collega della Düring Foundation, il consulente legale Jonas Happich (Alexander Fehling, protagonista quest'anno del potenziale candidato all'Oscar Labyrinth of Lies), con il quale ha una relazione serena. Insomma, la Carrie che incontriamo in questo episodio è una donna pacificata, che ha fatto leva sulla disillusione verso Saul Berenson per rinnovare la propria esistenza dalle fondamenta e per costruirsi una nuova dimensione di vita. Una dimensione in cui c'è spazio per l'amore, per la famiglia, per le feste di compleanno, perfino per la fede, ma che in compenso non ha soffocato la grinta e la fermezza della Carrie che abbiamo imparato a conoscere e ad amare negli ultimi quattro anni. Una Carrie, insomma, ancora pronta a tuffarsi nel pericolo a testa alta e senza battere ciglio, consapevole dell'importanza del proprio lavoro, anche adesso che non fa più parte della CIA.
La guerra delle informazioni: tra hackeraggio e WikiLeaks
Ovviamente, però, la CIA costituisce ancora una componente ineludibile del tessuto narrativo di Homeland, e attorno alla controversa agenzia statunitense si sviluppa la principale storyline di questa quinta stagione. In una delle prime sequenze di Separation Anxiety, due giovani hacker si introducono nel database di un sito di reclutamento della famigerata ISIS, lo Stato Islamico di Iraq e Siria, pubblicando un video che irride i vertici dell'esercito islamico con riferimenti omosessuali. Negli istanti in cui avviene l'hackeraggio, un tecnico informatico della CIA di stanza a Berlino individua gli "intrusi" e tenta di rintracciare il loro computer; per tutta risposta i due hacker, più abili e scafati, riescono ad avere accesso al network della CIA, facendo in tempo a procurarsi una serie di documenti contenenti informazioni riservatissime. Tali informazioni vengono quindi recapitate a Laura Sutton (Sarah Sokolovic), una capo-redattrice alle dipendenze della Düring Foundation, che si ritrova così fra le mani uno scoop esplosivo: la CIA avrebbe un accordo con i servizi segreti della Germania per aggirare le norme sulla privacy e 'spiare' i cittadini tedeschi.
Dalla "guerra dei droni" della stagione 4 si passa dunque alla "guerra delle informazioni" della stagione 5. Dalla vicenda di Julian Assange e dal caso WikiLeaks, che aveva messo in imbarazzo le diplomazie di mezzo mondo, alla parabola di Edward Snowden, che aveva portato alla luce le violazioni della privacy attuate dall'intelligence degli Stati Uniti (con ramificazioni, appunto, che arrivavano fino alla Germania), Homeland prende ispirazione direttamente dagli scandali informatici degli scorsi anni, che hanno portato prepotentemente alla ribalta il tema del conflitto fra privacy e sicurezza nazionale. Una scelta molto interessante da parte degli autori, in grado di richiamarsi all'attualità, ma al contempo di fornire alla serie una tipologia di "sfida" - la pirateria informatica e i suoi legami con il giornalismo e i mass media - che finora Homeland non aveva mai affrontato.
Saul, Quinn e i lati oscuri della CIA
La fuga di informazioni non tarda a coinvolgere anche Carrie, che si sta preparando a compiere un viaggio di lavoro in Libano da lì a tre giorni, insieme a Otto Düring, per un sopralluogo in un campo di accoglienza di rifugiati in fuga dalla Siria, un paese ridotto al teatro di conflitti a fuoco e di quotidiani massacri. Carrie si reca quindi dalla direttrice della base della CIA a Berlino, Allison Carr (un'altra new entry, l'australiana Miranda Otto, la prode Eowyn nella saga de Il Signore degli Anelli), per avere aggiornamenti sulla situazione in Libano; ma la Carr coglie la palla al balzo e, in cambio, pretende di sapere se la Düring Foundation sia coinvolta con l'intrusione nel database della CIA. L'inquietudine della Carr, e le domande di Carrie in proposito, forniscono a Laura Sutton la conferma sulla genuinità dei file in suo possesso: per la CIA e per i servizi segreti tedeschi si profila pertanto un autentico uragano. Ma in attesa dei primi fulmini, a Berlino è già approdato una nostra vecchia conoscenza: Saul Berenson. E non a caso una delle sequenze di maggior impatto dell'episodio è l'incontro fra Saul e Carrie: l'intesa e l'affetto fra i due ex alleati hanno ceduto il posto ad una reciproca freddezza, e Saul arriva al punto di accusare Carrie di essere passata al "fronte opposto".
Ma a proposito di nuovi schieramenti e di passaggi al "lato oscuro", Homeland torna a insistere pure su uno dei temi da sempre al cuore della serie: l'inesorabile ambiguità morale dei suoi personaggi, incastrati in una "zona grigia" in cui considerazioni di natura machiavellica, e la strenua volontà di conseguire gli obiettivi prefissati, portano spesso ad azioni che oltrepassano i limiti della legalità (per non parlare di quelli dell'etica). E quindi, ecco rientrare in scena pure Peter Quinn (Rupert Friend), di nuovo impegnato a vestire i panni del "braccio armato" della CIA: nel corso dell'episodio lo vediamo svolgere ancora una volta il compito di sicario, con un omicidio commissionato da Saul a cui seguirà un'esplosione nel "luogo del delitto". Quinn ci appare ormai come un individuo dal tetro pragmatismo, testimone di troppi orrori per nutrire speranze sulla possibilità di riportare l'armonia in territori di guerra. Quando gli viene chiesto un parere sulla via da seguire per placare l'inferno in atto in Siria, la serafica risposta di Quinn consiste nel "premere reset": in poche parole, radere al suolo una realtà ormai ingestibile.
Destinazione Siria: il futuro di Homeland
Prendendo in considerazione il quadro generale, Separation Anxiety può essere considerata una tipica puntata (re)introduttiva: le sequenze di suspense sono pochissime e centellinate, mentre quasi tutta la durata dell'episodio è dedicata a dipingere un contesto narrativo profondamente rinnovato e a delineare motivazioni e conflitti dei vari attanti in campo. Da tale prospettiva, Separation Anxiety non ha certo l'impatto, né la tensione della precedente season première, La regina dei droni, ma segna piuttosto una ripartenza più graduale e sottotono rispetto agli standard di Homeland. Un approccio non privo di rischi, in termini di audience, ma che dovrebbe ripagare le attese nel caso in cui i prossimi episodi si dimostrassero capaci di capitalizzare le premesse di questa prima puntata. Homeland deve dimostrare di poter cambiare pelle restando però fedele a se stesso: e a partire dal secondo episodio, con l'approdo di Carrie in un'altra zona di guerra, la Siria, la serie di Showtime ci offrirà un nuovo scenario, ma soprattutto nuove problematiche e nuovi avversari da fronteggiare. Senza dimenticare che, nell'universo di Homeland, a volte i nemici più temibili sono quelli che si annidano nell'ombra, o - peggio ancora - vanno cercati all'interno di se stessi...