Recensione Hold the Dark: sulle orme dei lupi, dritti verso l’abisso

La recensione di Hold the Dark, il thriller di Jeremy Saulnier su Netflix: Jeffrey Wright è protagonista di un'atipica detective story in un film cupo ed ermetico.

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Fra le varie declinazioni del neo-noir, rielaborazione nel cinema contemporaneo di stilemi e tematiche del noir classico, si può individuare un intero filone sviluppatosi in anni recenti: singolari esempi di detection ambientate fra scenari innevati, in microcosmi in cui i baluardi più estremi della civiltà umana sono messi a dura prova dalle leggi di una natura selvaggia ed ostile. Un filone a cui si possono ascrivere titoli come Un gelido inverno di Debra Granik e I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, due ottimi film con più di un punto in comune rispetto a Hold the Dark.

Se Un gelido inverno si è guadagnato un posto in prima fila agli Oscar, mentre I segreti di Wind River si è rivelato uno dei maggiori successi del cinema indipendente dello scorso anno (nonché il "canto del cigno" della Weinstein Company), Hold the Dark, quarto lungometraggio dell'americano Jeremy Saulnier, dopo la sua presentazione al Festival di Toronto è approdato direttamente su Netflix: una collocazione che di sicuro non rende pienamente giustizia alle qualità visive del film, rispetto al potenziale di una sala cinematografica, ma che risulta comprensibile se si considera la sua 'natura' assai più ostica rispetto a un'opera come Wind River.

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In compagnia dei lupi

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L'incipit di Hold the Dark, con il tòpos del "bambino scomparso", stabilisce da subito delle coordinate ben precise: nel villaggio di Keelut, sepolto fra le montagne dell'Alaska, il piccolo Bailey, sei anni, sta giocando nella neve con un soldatino di plastica, quando il suo sguardo intercetta ad alcuni metri di distanza quello di un lupo. Nella scena successiva la voce di sua madre, Medora Stone (Riley Keough), legge il testo di una lettera inviata a Russell Core (Jeffrey Wright), uno studioso di lupi: la donna è convinta che siano stati quegli animali a rapire e uccidere suo figlio, il terzo bambino sparito nella stessa area, altra probabile prede di belve affamate. Contraddistinta da un'inquietante aria di straniamento, Medora non crede affatto di poter riavere Bailey vivo, ma desidera l'aiuto di Russell per due motivi: ottenere vendetta e avere qualcosa da mostrare al marito Vernon (Alexander Skarsgård), militare impegnato sul fronte iracheno.

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Un segmento del film è dedicato appunto al personaggio di Vernon, una "scheggia impazzita" che in Iraq pare aver perso definitivamente il proprio equilibrio psichico, come dimostra la sua repentina esplosione di violenza. Dopo questa digressione si ritorna in Alaska, teatro da lì in poi di tutto il resto del racconto: un racconto che procede in maniera ben poco lineare, inerpicandosi al contrario lungo sentieri tortuosi, fra personaggi non del tutto decifrabili e sottotrame aperte di volta in volta nel corso dell'indagine di Russell. È uno degli aspetti più intriganti, ma per alcuni spettatori forse anche respingenti, della sceneggiatura firmata dall'attore Macon Blair sulla base del romanzo omonimo di William Giraldi: un romanzo la cui evidente densità narrativa fatica ad essere compressa in una pellicola di due ore, interessata soprattutto a restituirne lo spirito da "thriller di frontiera" e le molteplici suggestioni, anziché a chiarire ogni singola componente dell'intreccio.

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Il finale misterioso di un thriller atipico

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È il tratto distintivo di un film che, come già rilevato, si dimostra decisamente più criptico e molto meno fruibile rispetto a I segreti di Wind River e altri titoli analoghi: in Hold the Dark la coerenza narrativa è subordinata alla forza dell'atmosfera e alla volontà di generare un senso di spaesamento e di angoscia (in altre parole, il principio alla base del noir alla Raymond Chandler). Quella di Jeremy Saulnier è un'opera che gioca con gli archetipi, rasenta i confini dell'esoterico e, alla resa dei conti, mette in scena l'irruzione dirompente della follia e del caos in una dialettica fra la razionalità dell'essere umano e la bestialità di un mondo 'altro', estraneo alle regole della comprensione e della logica.

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In quest'ottica può essere interpretato un finale cupo e spiazzante, che anziché sciogliere i nodi della trama non fa altro che infittire i misteri al cuore del film. Saulnier, del resto, mantiene sempre un velo di ambiguità su azioni e motivazioni dei personaggi: un'ambiguità che si estende anche all'esito del duello nell'epilogo, quando - senza svelare troppi elementi - Russell si troverà faccia a faccia con il 'lupo' a cui ha dato la caccia, mettendo in gioco tutto se stesso. E comprendendo, forse, che esiste un limite oltre il quale la ragione non è più in grado di spingersi: un territorio sconosciuto e pericoloso, al cui interno l'unica scelta possibile è quella di "abbracciare l'oscurità", sperando di uscire vivi dall'abisso.

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3.0/5