Hit the Road, Sal
L'adattamento cinematografico di Sulla strada di Jack Kerouac, manifesto letterario della beat generation, è stato senz'altro tra i titoli più attesi degli ultimi decenni. Già dagli anni '70 si era parlato, a più riprese, di una pellicola ispirata al libro di Kerouac, entrato di diritto tra i classici della narrativa americana; il cineasta che fin dall'inizio ha mostrato più interesse nel progetto è stato Francis Ford Coppola, che da tempo aveva opzionato i diritti del romanzo e che alla fine è rimasto, nel progetto, nelle vesti di produttore esecutivo. Ciò che per decenni ha reso problematico questo adattamento, scoraggiando probabilmente molti registi dall'imbarcarsi nell'impresa, è stata la particolare struttura del romanzo originale, pensato e scritto da Kerouac nell'arco di diversi anni, basandosi sugli appunti di viaggio presi durante le sue peregrinazioni sul suolo americano insieme al collega e amico Neal Cassady. Alla fine, On the Road ha preso vita grazie all'interessamento del brasiliano Walter Salles (familiare con la struttura del road movie grazie al suo I diari della motocicletta) che ha chiamato il suo sceneggiatore di fiducia Jose Rivera per il trattamento definitivo del romanzo di Kerouac.
Premettendo che adattare un romanzo come Sulla strada era un'impresa tutt'altro che semplice, e che quando ci si confronta con i "mostri sacri" della letteratura si finisce sempre per scontentare una fetta più o meno grande di appassionati, bisogna dire che il risultato finale presenta più ombre che luci. Il problema principale del film, probabilmente, è l'aver voluto mantenere la struttura episodica e "sincopata" (da partitura jazz) del romanzo di Kerouac, trasportandola in un medium come il cinema che risponde a regole molto diverse da quelle della letteratura. La narrazione discontinua del libro, forzatamente frammentata perché basata su eventi vissuti dall'autore in un arco di tempo molto lungo, permetteva comunque un approfondimento puntuale e accurato dei personaggi, della loro filosofia di vita e delle loro ossessioni; in particolare, degli alter ego cinematografici di Kerouac e Cassady, ovvero Sal Paradise e Dean Moriarty, interpretati qui rispettivamente da Sam Riley e Garrett Hedlund. Una scelta di casting discutibile si rivela in particolare quella del primo, dal volto forse troppo pulito e "borghese" per interpretare uno dei protagonisti della beat generation; ma il problema della pellicola, più che in questo, sta in una sceneggiatura che si ferma (quasi) sempre agli aspetti più superficiali della vita dei protagonisti, senza approfondirne davvero le motivazioni e facendo apparire solo sporadicamente il loro lato oscuro. Sulla strada, nella sua versione letteraria, raccontava soprattutto il contrasto tra il bisogno di libertà assoluta, da cercare sulle highways di un sogno americano a cui una nuova generazione dava forma e consistenza diverse da quelle precedenti, e la necessità di radici, espressa nella perdita del padre da parte del protagonista, e nella corrispondente ricerca del genitore perduto da parte dell'amico Dan. Di tutto ciò, nel film di Salles sono rimasti dei meri cenni, espressi solo sporadicamente e subito messi da parte in favore di un racconto didascalico (e tutto esteriore) del viaggio dei protagonisti. Lo stesso tema dell'amicizia, centrale nel romanzo, e della differenza di carattere tra i due personaggi principali, viene in primo piano solo nei minuti finali, in cui finalmente vediamo affiorare un po' di emozione autentica. Per il resto, non si riesce ad empatizzare con dei personaggi che, rappresentati in questo modo, appaiono semplicemente degli irresponsabili egoisti, essendone rimasta fuori tutta la costruzione psicologica descritta dallo scrittore. Restano comunque da salvare, in On the Road, una costruzione visiva in sé molto accurata (ma questo veniva dato quasi per scontato date le dimensioni della produzione), una resa scenografica ovviamente d'impatto, e alcune delle interpretazioni: tra queste il già citato, efficace Garrett Hedlund nel ruolo di Dean Moriarty, un ottimo Viggo Mortensen che veste i panni di Old Bull Lee (versione letteraria dello scrittore e guru del movimento William S. Burroughs) e due controparti femminili abbastanza convincenti come Kristen Stewart e Kirsten Dunst. Il film di Salles, per il resto, scorre via nelle sue due ore e un quarto di durata restando a un livello molto superficiale, rivelandosi nulla più di un medio road movie per chi non avesse letto il libro di Kerouac, e una vera, cocente delusione per chi invece quell'opera letteraria l'ha conosciuta e amata. Guardando il risultato finale, si comprendono bene i timori che per anni hanno dissuaso il mondo del cinema dall'approcciarsi a questo romanzo, e si può fare la considerazione che, alla luce degli esiti, sarebbe stato meglio attendere ulteriormente e meditare in modo diverso, e meglio, l'intero progetto.
Movieplayer.it
2.0/5