Il buon Dante insegna: all'ingresso dell'Inferno c'è sempre una scritta che avvisa chi sta per varcarne la soglia. Un sincero monito per avventori ben informati poco prima di scendere nella gola degli inferi. Forti dell'esempio dantesco, in questa recensione di Hellboy terremo conto della scritta che il reboot 2019 di Neil Marshall ha sempre avuto stampata in fronte su ogni poster o trailer con il quale si è mostrato al mondo: perdete ogni desiderio di dramma, seriosità e impegno, o voi che entrate, qui c'è tanta voglia di divertirsi ed esagerare. Chi cerca raffinate atmosfere horror e oscure elucubrazioni lovecraftiane ha un grande fumetto di Mike Mignola da gustarsi, perché Neil Marshall decide di virare con mano rude verso altri toni, proprio come piacerebbe alle dita rocciose del demone rosso.
Schietto e fiero della sua natura, il nuovo film 2019 Hellboy decide di dedicarsi soltanto a una sfumatura del demone rosso, ovvero a quella più ludica e spaccona. Un lato caratteriale già messo in mostra da Guillermo del Toro (con maggior tatto e sensibilità) nella sua trilogia monca, ma che qui riemerge con inarrestabile prepotenza. Senza timori reverenziali nei confronti del suo illustre predecessore, Hellboy procede con fiero orgoglio nella messa in scena di un rock fantasy contemporaneo, dove antiche leggende e vecchi miti ristagnano ancora nel sottobosco della modernità. Ispirandosi a uno dei cicli narrativi più apprezzati del demone rosso (ovvero Caccia Selvaggia a cui si aggiunge un pizzico del fondamentale Il seme della distruzione), Marshall si riconosce nei modi bruschi di Hellboy e ci va giù pesante con un'avventura scanzonata, grezza, divertita e a tratti anche molto divertente, in cui solo un'antagonista alquanto stereotipata si prende sul serio.
La missione principale è una e una soltanto: dedicarsi ai mostri, al loro atroce destino da reietti e costruire attorno a loro una grande arena in cui vederli menare per più di due ore. È risaputo che Mignola creò Hellboy perché tutto quello che voleva era disegnare mostri. Tutto il resto, ovvero i richiami esoterici, la mitologia occulta e il grande omaggio alla letteratura gotica è venuto dopo. Ecco, questo Hellboy si ferma al primo impulso di Mignola, quello più istintivo e viscerale, quella che compone un'enorme e fiammeggiante scritta sulla porta dell'inferno. Chi varcherà la soglia della sala è stato avvisato.
Hellboy: l'irresistibile antieroe infernale, dal fumetto al cinema
Sfumature di rosso: l'Hellboy di David Harbour
Da creatura costretta a nascondersi a personaggio sotto i riflettori. Da leggenda relegata a un mondo sotterraneo ad avventuriero libero di cavalcare tra le lande inglesi. Una delle novità più lampanti di questo Hellboy è proprio la libertà d'azione che Neil Marshall concede al suo bruto protagonista. L'Hellboy dell'eccezionale Ron Perlman si muoveva in un recinto, si vergognava del suo aspetto ed era sfuggente agli occhi dell'umanità, mentre quello di un convincente David Harbour è più orgoglioso e istintivo, libero di muoversi ovunque e di fare quello che meglio crede.
Questo influisce non poco sulle ambientazioni e sulle atmosfere del film, che da tipico urban fantasy relegato al contesto metropolitano si trasforma in un'avventura che rilegge in salsa pop il ciclo bretone di Re Artù. Per quanto del Toro sia sempre stato un grande innamorato dei mostri, Neil Marshall lo supera in varietà del bestiario (ma resta indietro per profondità della narrazione), dando vita a una sfilza di creature che spaziano tra giganti, fate, streghe, abomini, draghi e titani. Il tutto reso attraverso un character design grottesco e una computer grafica datata, talmente obsoleta che forse lascia trapelare una precisa scelta artistica voluta, considerando la mai celata passione mignoliana per i b-movie degli anni Cinquanta. Per il nuovo Hellboy avremmo preferito uno stile vintage fino in fondo, con più effetti speciali e meno effetti visivi, anche perché il lavoro fatto sul make up di Harbour è molto buono, non soffoca l'attore e gli conferisce un aspetto leggermente più spigoloso e mostruoso rispetto a quello esteticamente più bonario e meno respingente di Perlman.
Questo Hellboy è un adolescente fuori tempo massimo, un figlio in combutta con la figura paterna prima che con la sua stessa natura, il che lo rende un personaggio tenero, arrabbiato, iracondo e maldestro. Un ragazzone ancora acerbo che influisce per forza di cose sul registro espressivo del film, tutto basato su un umorismo riuscito, pieno di ammiccamenti alla cultura popolare, ma a tratti troppo grossolano e con qualche caduta di stile. Parole e battute a parte, però, Hellboy è sempre stato un personaggio capace di raccontare attraverso l'azione, e continua a farlo anche qui. Vero e proprio "Rocky del cinecomic", il Rosso è coerente con il suo destino infame: incassare, subire, sanguinare e poi trovare la forza di rialzarsi, colpendo ancora più forte di quanto lo facciano gli altri. Come se il dolore fosse una dimensione necessaria per scuotersi dall'abitudine e ritrovare nuove consapevolezze.
Se questo è un mostro
Metà umano, metà demone. Figlio dell'inferno cresciuto da un amorevole cattolico, rozzo ma dal cuore tenero. Hellboy è una contraddizione, abitante di una terra di mezzo tutta sua, scisso tra gli Inferi e quel purgatorio che è il nostro pianeta. Nel film, segnato da una trama lineare con qualche colpo di scena ben assestato e da un ritmo forsennato (al limite del tachicardico), il dilemma esistenziale del Rosso emerge in maniera non troppo straziante. L'eterno conflitto tra il suo retaggio demoniaco e la sua indole affabile si risolve in una fascinazione per un Male sinuoso e ammaliante, perché Hellboy non ha tempo per approfondire la psicologia di un personaggio per cui di sacro c'è soltanto combattere. Condannato a lottare, il Rosso di Harbour viene catapultato da un mostro all'altro come il mestiere di ogni buon cacciatore impone, prova dolore senza mai soffrire davvero.
Tra duelli che faranno felici gli amanti dello splatter e del gore, Hellboy preferisce evitare le torbide atmosfere dell'horror. Un genere che ha bisogno dei suoi tempi per costruire le giuste dosi di tensione qui assenti. Marshall va di corsa, ha fretta, tempesta i fan del fumetto con una miriade di citazioni e riferimenti che fanno l'occhiolino allo spettatore nel bel mezzo della sua caccia selvaggia, incessante e tachicardica. Il cuore degli amanti del personaggio sarà scisso: alcuni saranno nostalgici del tocco più raffinato ed empatico di del Toro, altri si faranno trasportare da un film senza mezze misure, divertente solo per chi ha davvero voglia di divertirsi con un fantasy contemporaneo duro e puro.
Questo Hellboy non è un film perfetto, zoppica a tratti, ma abbraccia un lato fondamentale del suo protagonista, diventando come lui: fiero della sua natura, onesto e trasparente negli intenti. Prendere o lasciare. Nessuna via di mezzo. Nessun purgatorio.
Conclusioni
Abbiamo aperto questa recensione di Hellboy scomodando persino Dante, perché anche il reboot di Neil Marshall ha la sua scritta infernale all'ingresso del film: niente mezze misure, qui c'è voglia di esagerare. Il pubblico è stato avvisato con fiera trasparenza. Senza toccare mai le corde più empatiche di Guillermo DelToro, questo Hellboy è grezzo, scanzonato, ma sincero nel suo desiderio di divertire il pubblico attraverso un fantasy contemporaneo in salsa pop. Del mitico e complesso personaggio di Mike Mignola emerge soprattutto la sua natura impulsiva, affidata a un ottimo David Harbour che ci fornisce una sfumatura quasi adolescenziale del demone rosso. Peccato per gli effetti visivi davvero datati, perché l'idea di un film volutamente vintage avrebbe funzionato meglio con un utilizzo più massiccio del make up e dell'animatronica.
Perché ci piace
- La prova convincente di un David Harbour capace di far emergere un Hellboy più impulsivo e in conflitto con la figura paterna.
- La varietà di un bestiario che strizza l'occhio ai fan del fumetto.
- Il film intrattiene senza annoiare mai...
Cosa non va
- ...ma la sensazione è quella di un film che va di fretta e ha voglia di far convivere troppi elementi.
- La computer grafica è fuori tempo massimo.
- Il tono scanzonato del film potrebbe far storcere il naso a chi cercava un Hellboy più epico e maledetto.