Nell'epoca d'oro della prima invasione anime, quando praticamente tutte le emittenti televisive italiane avevano almeno un paio d'ore dedicate ai "cartoni animati giapponesi", un titolo riuscì a imporsi all'attenzione degli spettatori: Mobile Suit Gundam (Kidou Senshi Gundam, in originale) o, molto più semplicemente, solo Gundam.
Le ragioni del successo di questa serie, nonostante una trasmissione erratica e un adattamento non proprio felicissimo, sono molteplici, ma possiamo individuare le principali: un design diverso dalla media dei prodotti del periodo, personaggi complessi, problematici e ben caratterizzati e un approccio alla narrazione della guerra che cercava di andare oltre la manichea divisione tra "buoni" e "cattivi" per raccontare, invece, tutto l'orrore di un conflitto sanguinario.
La leggenda del Mobil Suit bianco ha resistito ai decenni, diventando in Giappone uno dei brand di maggior successo grazie a decine di serie animate e centinaia, se non migliaia di modelli disponibili per i collezionisti. Negli ultimi anni abbiamo assistito a tentativi sempre più convinti, da parte della casa di produzione Sunrise, di rilanciare Gundam anche in Occidente, come appunto Gundam: Requiem for Vengeance, miniserie in 6 episodi disponibile in streaming su Netflix.
Gundam spiegato a mia nipote: il mito del Mobile Suit Bianco
Battaglia sulla Terra
Siamo nell'anno 0079 dello Universal Century, nel pieno della guerra scoppiata tra la Federazione Terrestre e il Principato di Zeon, l'autoproclamatosi stato indipendente nato nelle colonie spaziali. Gli "spazionoidi", coloro che sono nati e cresciuti nelle varie strutture orbitanti attorno alla Terra, sono arrivati al punto di rottura con i Terrestri, accusati di depredare le loro risorse e di costringerli a un'esistenza di stenti, dopo aver prosciugato le risorse del pianeta madre.
Questo ha portato all'inasprirsi di un conflitto sfociato nell'invasione delle truppe di Zeon direttamente sulla Terra, e alla loro rapida avanzata grazie all'utilizzo dei Mobile Suit, gigantesche e micidiali unità meccaniche antropomorfe capaci di garantire un significativo vantaggio tattico agli spazionoidi.
La protagonista della storia è il Capitano Iria Solari, comandante del team Red Wolf, veterani ed esperti piloti del principale modello di Mobile Suit di Zeon: gli Zaku.
Inviati sul territorio della Romania, i Red Wolf riescono a portare un contributo essenziale alla sopravvivenza delle truppe regolari di Zeon. proprio quando il peggio sembra passato, però, il quartier generale delle truppe spazionoidi viene preso d'assalto dalla Federazione, guidate da un nuovo e spaventoso modello di Mobile Suit, un titano di metallo bianco incredibilmente potente.
La resistenza dei Red Wolf è inutile e i pochi sopravvissuti, guidati da Iria, sono costretti a una rapida ritirata, costantemente braccati da questo inquietante demonio bianco.
Eroi e antieroi
Gundam: Requiem for Vengeance (Kidou Senshi Gundam Fukushuu no requiem) non è il primo tentativo, da parte della casa di produzione, di cimentarsi con un prodotto interamente in 3D, anche se è sicuramente meglio strutturato e ben riuscito rispetto ai predecessori. Anche la scelta di affidare la regia e la sceneggiatura a due "non giapponesi" e relativamente giovani, rispettivamente Erasmus Brosdau e Gavin Hignight, va inquadrata nella volontà di approcciare un pubblico occidentale che Gundam, magari, lo ha solo sentito nominare di sfuggita.
L'impianto della miniserie è molto poco "da anime", infatti, e molto più simile a prodotti come Band of Brothers. Interessante, ed efficace, la scelta di raccontare la storia dalla parte degli "invasori", di semplici soldati mandati su un pianeta, percepito come ostile, mossi da motivazioni diverse e umanissime, e che si trovano di fronte un nemico implacabile, misterioso e inarrestabile.
Un capovolgimento di fronte che funziona decisamente bene sia per come è raccontato, sia per chi già conosce la complessità dello U.C., in cui il confine tra "buoni" e cattivi" non è determinato dal colore della divisa, ma dal carattere e dai pregi e difetti dei singoli individui.
Dal punto di vista tecnico, la serie è realizzata con il motore grafico Unreal Engine 5, decisamente potente in diversi contesti, meno efficace nella gestione, per esempio, dei volti dei protagonisti umani. Anche il mecha design, affidato di Kimitoshi Yamane, non è sempre centrato, anche se la scelta di contraddistinguere i robot dei protagonisti dipingendogli la spallina di rosso è un tocco di classe, per i veri appassionati di anime robotici.
Ma la vera forza di Requiem of Vengeance sta non tanto nella realizzazione tecnica quanto nella narrazione: la lunghezza (6 episodi da una ventina di minuti) si rivela perfetta per raccontare una storia di sopravvivenza senza eccessive lungaggini, sacrificando magari qualcosa in termini di approfondimento dei personaggi secondaria favore del ritmo e della drammaticità degli eventi. Iria è una protagonista ben caratterizzata, piena di rimorsi e contraddizioni e, allo stesso tempo, forte e risoluta nel mantenersi salda alla sua umanità anche quando gli altri si fanno sopraffare dall'odio e dalla paura.
A completare il quadro un'attenzione quasi maniacale alla lore, complessa e particolareggiata, della principale serie dedicata al Mobile Suit Bianco: dall'introduzione dei newtype, il cosiddetto nuovo step dell'evoluzione umana che diventerà poi centrale per gli eventi successivi alla Guerra di Un Anno, alle tante citazioni, più o meno nascoste, a mezzi e personaggi iconici della serie.
Promosso anche il doppiaggio italiano, diretto con competenza da Mosè Singh e con Gea Riva a prestare voce e intensità alla protagonista.
Conclusioni
In conclusione, la visione di Requiem for Vengeance ci ha convinti. Nonostante una messa in scena altalenante, tra modelli digitali non sempre riuscitissimi e qualche incertezza di troppo, l'odissea di Iria e dei suoi compagni rappresenta sia un punto di vista abbastanza originale per chi si approccia all'universo gundamico per la prima volta (anche se, sullo stesso tema, deve cedere il passo a quel piccolo gioiello che è War in the pocket), sia un convincente ritorno alle origini per chi invece bazzica l'U.C. da quasi mezzo secolo.
Perché ci piace
- Una war story dolente e avvincente, in pieno stile Real Robot.
- La protagonista.
- Gli scontri tra Mobil Suit e mezzi convenzionali.
- L'easter egg di Ottavo Plotone.
Cosa non va
- I modelli dei volti umani sono poco convincenti.
- In generale, non sempre la realizzazione tecnica è all'altezza delle intenzioni.
- Il finale è poco incisivo.