Essere green non è più una mission come avrebbe detto la buona Greta Thunberg, ma è diventata un trend, una moda per stare al passo coi tempi. All'interno di questo trend, però, è scattato il cortocircuito: la moda stessa è diventata - o prova ad esserlo - eco-sostenibile. Un argomento solo apparentemente frivolo e che in realtà ci tocca da vicino, nel quotidiano. Infinity LAB ha provato allora ad indagare questa nuova tendenza co-producendo la docu-serie in sei episodi Green is the new black, dal 10 aprile in seconda serata su LA5 e in streaming gratuitamente su Mediaset Infinity. Perché vederla? Potrebbe sensibilizzare anche voi ad essere un po' più... green.
Verde è il nuovo nero
Realizzata grazie alla campagna di crowdfunding lanciata da Infinity LAB - il laboratorio permanente di Mediaset Infinity, nato per individuare e premiare il talento di filmmaker e case di produzione indipendenti, Green is the new black è co-prodotta in collaborazione con LA5 e Produzioni dal Basso, ovvero la prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation. Green, a partire dalla co-produzione, quindi. Fin dal titolo la docu-serie gioca con l'orientamento e l'andamento della moda di oggi: non l'Orange is the new black ironico della serie omonima, bensì il nuovo corso nella realtà sostenibile. Serviva una madrina d'eccezione, anzi una conduttrice che fungesse letteralmente da voce narrante per provare a guidare gli spettatori in questo argomento tanto vasto quanto puntuale: Giorgia Palmas, accompagnata dalla stylist Camilla Grandi. Il loro è uno sguardo curioso e attento, volto a districare la complicata e spesso confusa matassa che è la moda sostenibile.
Districarsi tra le parole della moda
Green, second hand, vintage. Tanti termini presi in prestito dall'internazionale e dal fashion world che Giorgia Palmas e Camilla Grandi, partner in crime per l'occasione, provano a spiegare agli spettatori, senza salire in cattedra ma parlando direttamente con fashion blogger, esperte di moda e nello specifico di sostenibilità, content creator e responsabili di aziende e start-up, alla ricerca di un equilibrio tra i mondi. Le interviste sono interessanti e non eccessivamente lunghe, provando a dare uno sguardo sul futuro del mondo della moda. Fornendo anche qualche riferimento storico, con la nascita dell'haute couture nell'800 e la sua evoluzione nel pret-a-porter che cambiò le regole del gioco. Per arrivare fino ai giorni nostri, ai cambiamenti già avvenuti e quindi in atto, anche in seguito alla pandemia che ha scoperchiato ancora di più il nostro lato legato al consumismo; ovvero quanta roba compriamo senza un reale motivo, ritrovandoci in lockdown a sistemare i nostri armadi ricolmi. Ecco, forse meglio ritrovarci a cambiare punto di vista e magari addirittura stile di vita proprio grazie ad un approccio più green.
Vestirsi green: una sfida accettata
In ogni episodio Camilla Grandi alla fine crea un outfit partendo dagli abiti che ha recuperato nel corso del viaggio insieme agli spettatori. Quasi a mettere un punto, una gonna o una maglietta alla volta, su quanto lei per prima ha imparato in quella puntata. Un bel modo di chiudere per poi riaprire un dialogo, un discorso potenzialmente infinito. Interviste e commenti della Palmas si svolgono indossando abiti - immaginiamo - sempre di moda sostenibile, così come le scenografie che vediamo sullo sfondo, come se fossimo in un atelier che prova a guardare al futuro.
Green Is the New Black documenta, insomma, la sfida accettata dalle protagoniste così come potenzialmente dal pubblico, (ri)portando l'attenzione sui materiali, sulla riduzione dell'impatto ambientale nelle abitudini di shopping, sulla consapevolezza del peso delle proprie scelte, sulla difficoltà della moda sostenibile a cui non si arriva mai "dall'oggi al domani". Senza colpevolizzare usi e costumi attuali, ma provando a comprenderne cause e conseguenze. Per essere a fine visione più consapevoli.