Con le sale e gli eventi cinematografici che tornano lentamente alle vecchie abitudini, ripristinando la normalità dell'epoca pre-marzo 2020, anche i film destinati ad andare direttamente su Netflix sfruttano queste vetrine, persino in casi dove non ci sono in gioco eventuali premi prestigiosi (vedi i lungometraggi della piattaforma che debuttano a Venezia o Telluride/Toronto). È il caso di ciò di cui parliamo in questa recensione di Granchio nero, film d'azione di matrice svedese che in patria ha avuto l'onore di essere uno dei titoli di gala del Festival di Göteborg, il più importante evento nordico legato alla settima arte. Un'occasione importante, all'interno di una kermesse di un certo peso (chi scrive era presente all'edizione 2022 come giurato), anche per la forte carica simbolica di un film che non solo riuniva in una sala cinematografica - il Draken, i cui interni rimandano all'epoca dei vichinghi - persone che in teoria potevano tranquillamente aspettare un mese per vederlo a casa, ma ricongiungeva anche il pubblico svedese con una delle grandi star nazionali, Noomi Rapace, tornata a girare nella propria lingua dopo una decina d'anni di progetti in inglese.
Attenti al ghiaccio!
Granchio nero è il nome dell'operazione che il governo nordico mette in piedi per vincere una guerra disperata in un futuro apocalittico non particolarmente remoto (il film non specifica contro chi si stia combattendo, e tutti i nomi di luoghi sono fittizi). La vittoria dipende dalla consegna di due oggetti, che vanno trasportati attraverso un arcipelago ghiacciato. Siccome il percorso è troppo instabile per dei veicoli, l'incarico è affidato a un gruppo di soldati particolarmente dotati in ambito di pattinaggio. Tra questi c'è Caroline Edh (Noomi Rapace), che da qualche anno è poco motivata in seguito alla sparizione misteriosa della figlia nelle fasi iniziali del conflitto. I suoi superiori le danno un incentivo: la ragazza è stata trovata in un campo profughi, e Caroline potrà rivederla se sopravvive alla missione. E così inizia il viaggio nelle lande candide di una Scandinavia volutamente anonima, nel tentativo di spegnere definitivamente i fuochi di una guerra che dura da troppo tempo...
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Conflitto universale
Precedentemente, parlando di un'altra produzione Netflix di matrice nordica, Il giovane Wallander, avevamo sottolineato come in quella serie la scelta di una città specifica come location avesse in realtà contribuito all'atmosfera un po' generica e anonima dello show. Qui, invece, come nel romanzo da cui è tratto il film, la scelta di non dare alla guerra un volto riconoscibile, lasciando che lo spettatore si faccia la propria idea sui luoghi che potrebbero corrispondere a vere località svedese, norvegesi o danesi (il cast proviene dalle tre nazioni, e in alcuni punti si parla anche danese, rimanendo fedeli al mito cinematografico della perfetta comprensione reciproca tra i madrelingua dei tre paesi), rafforza l'aura inquietante e apocalittica del progetto, dove il bianco della neve e dei ghiacci si contrappone al giallo e al rosso delle fiamme. Un viaggio infernale all'aperto, l'esatto contrario della precedente collaborazione tra il regista Adam Berg e lo scrittore Jerker Virdborg, un cortometraggio dove i protagonisti si avventuravano dentro un tunnel sempre più buio e minaccioso.
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Berg, al primo lungometraggio, espande la propria visione del cinema di genere, passando dal thriller claustrofobico all'action su sfondo apocalittico. E se in alcuni punti pecca di eccessiva ambizione formale, lasciando che l'atmosfera e la componente visiva abbiano la meglio sullo sviluppo psicologico ed emotivo della narrazione (i personaggi sono per lo più scolpiti con l'accetta), riesce comunque a dare all'operazione un cuore umano tramite la più significativa deviazione dal libro: il personaggio principale non è più un uomo, scelta saggia dal momento che Noomi Rapace, oltre alla vulnerabilità materna che contribuisce al fattore umano del racconto, ha anche una grinta che la pone a pari livello con diversi noti colleghi statunitensi che sono associati all'immagine tipica dell'action hero. E tale grinta dà al lungometraggio quella classica furia scandinava, un'identità chiara all'interno della collezione spesso molto omogenea di Netflix.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Granchio nero, film svedese che arricchisce il catalogo nordico di Netflix con una dose godibile di azione su sfondo apocalittico tra i ghiacci.
Perché ci piace
- Noomi Rapace dà al film un cuore umano forte.
- La premessa alimenta in modo intrigante la componente visiva.
- Le scene d'azione sono ben congegnate.
Cosa non va
- I personaggi sono poco approfonditi.