Qualche settimana fa abbiamo fatto un viaggio nel tempo. No, non a bordo della Delorean. Siamo stati catapultati nella Napoli degli anni '70 grazie ad una giornata sul set. L'obiettivo? Farci vedere come sarà Gomorra - Le origini, l'attesa serie prequel che dopo quattro mesi conclusi di riprese è in fase di post-produzione, e arriverà su Sky e NOW a gennaio 2026.

Prodotta da Sky Studios e da Cattleya, parte di ITV Studios, partendo dal bestseller di Roberto Saviano, la nuova serie è una origin story sull'ascesa criminale di Pietro Savastano in mezzo alla povertà e al contrabbando di sigarette. I primi quattro episodi della serie sono diretti da Marco D'Amore, l'ex Ciro Di Marzio nell'originale, qui anche supervisore artistico e co-sceneggiatore del progetto. Le ultime due puntate sono invece dirette da Francesco Ghiaccio, che già aveva lavorato con l'attore e regista partenopeo. Creata da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli insieme a D'Amore, è scritta insieme a Saviano.
Gomorra - Le origini: come allontanarsi dalla saga
La storia inizia nel 1977 con il futuro Boss Savastano, cresciuto come figlio adottivo in una famiglia della parte più povera di Secondigliano. Sogna un benessere che gli è ancora precluso. Si attraversa la perdita dell'innocenza di Pietro insieme ai suoi fratelli ed amici di sempre, le loro ambizioni e il suo primo grande amore, che, come per ogni adolescente, sarà folle e appassionato. L'incontro con Angelo, detto 'A Sirena, il reggente di Secondigliano, segna poi il suo ingresso nel mondo della criminalità. Tra violenza, alleanze e tradimenti, Pietro scopre però a sue spese il prezzo che quella vita comporta.
L'obiettivo, tanto a livello estetico quanto di scrittura, era distanziarsi da Gomorra - La Serie per creare qualcosa di diverso, pur facendo parte dello stesso universo narrativo. Lo vediamo da subito, accolti dal produttore Matteo De Laurentiis, nel piazzale antistante il set, pieno di macchine d'epoca, motorini, autoambulanze, macchine della polizia e bus (che abbiamo utilizzato per spostarci tra le location).

Tutti mezzi funzionanti, circa 300 in tutto, recuperati attraverso la società Os.car Services: Maserati, Porsche, Fiat, Alfa Romeo, i vecchi taxi gialli, Mustang, Lancia, Mercedes, BMW. Alcuni dei protagonisti sono minorenni e quindi guidano il Ciao rosso, a partire dallo stesso Pietro. Un campo base creato vicino ai set in modo da avere tutto a portata di mano, a Napoli Est a metà strada tra San Giovanni a Teduccio e Ponticelli.
Le scenografie di Fabrizio D'Arpino

La parola passa allo scenografo Fabrizio D'Arpino: "Dovevamo essere in grado di gestire le trasformazioni. Abbiamo creato circa 60-70 luoghi e in ognuno abbiamo dovuto rifare pavimenti e rivestimenti, poiché poco è rimasto nelle abitazioni della Napoli degli anni '70. Chiaramente è diventato un lavoro più ingente quando abbiamo affrontato delle scene per strada e abbiamo dovuto riadattare i negozi e l'area urbana. Oltre ad aver creato ex novo i luoghi iconici e fondamentali per la narrazione, come il Bar America".
Qual era l'obiettivo del reparto? "Voleva essere il nostro modo di vedere la città partenopea di quell'epoca, andando a contrattualizzare con centinaia di persone le possibilità di intervenire e di trasformare le zone. Abbiamo scelto una parte di città che a nostro giudizio era quella che desse il maggior valore estetico a questo racconto". Nella storia è Secondigliano, nella realtà è San Giovanni a Teduccio perché il viale ci sembrava il più rappresentativo e ricordava C'era una volta in America. Sono tutte case alte su due piani e su un viale molto largo quindi si vede comunque una dimensione metropolitana di una città che però appartiene a un passato ormai sconosciuto.

Come ci racconta D'Arpino, dato che i protagonisti sono giovani, i luoghi diventano anche il modo per raccontare le loro ambizioni e i loro sogni davanti ad un'innocenza che quindi presuppone una narrazione anche più leggera. Con meno tensione rispetto all'originale, che cresce progressivamente man mano che i sogni diventano più faticosi e meno lineari, lasciando spazio alla disillusione.
Casa Caputo, come è stata creata l'abitazione di Pietro?
"Casa Caputo è dove vive la maggior parte dei protagonisti, una sorta di luogo d'accoglienza in cui convivono giovani e anziani, quello che oggi definiremmo un co-housing con tante famiglie ed un ampio spazio comune. Un edificio restaurato e da noi invecchiato con grandi pareti di tufo, tornato 'normale' una volta chiuso il set" dice lo scenografo. Volevano dare respiro alla location, in una città che è fatta di incongruenze e di buchi.

Si tratta di un casolare che davanti ha un grande terreno e sullo sfondo i palazzoni degli anni '60 - abbiamo assistito ad una scena girata proprio lì, con i giovani Pietro e Imma, interpretati dai debuttanti Luca Lubrano e Tullia Venezia. "Ci sono mondi che si contaminano e narrazioni che si sovrappongono come quelle dei ventenni insieme agli adolescenti, che ne subiscono la fascinazione: abbiamo immaginato vivessero a pieno la trasformazione dei '70 in una città metropolitana con tante istanze che venivano da Londra e dall'America, sognando gli Stati Uniti".

I protagonisti hanno un negozio di stracci, quello che oggi sarebbe uno store vintage. Uno spazio di 300 metri quadri con un grande cortile. C'è anche un bar dove dietro c'è una bisca chiaramente clandestina. L'attività principale della criminalità organizzata all'epoca era il contrabbando di sigarette quindi per questo si vedranno negli arredamenti elementi che richiamano queste due attività.
I costumi di Olivia Bellini nella serie Sky
Tocca alla costumista Olivia Bellini raccontarci i segreti dal set di Gomorra - Le origini, mentre ricorda l'enorme sforzo produttivo compiuto da tutti i reparti: "Più di 5000 comparse e tanti mondi da far incontrare anche a livello di abiti, trucco e parrucco. C'è quello dei Caputo, più antico che guarda indietro nel tempo agli anni '50 e '60. C'è quello dei ventenni che invece guarda oltreoceano all'America, più glamour e alla moda. Infine c'è quello dei Villa, nel centro storico a cui abbiamo dato una maggior eleganza classica. Senza la mia squadra - li abbiamo conosciuti tutti, ndr - non avremmo potuto figurare ognuno dei presenti in scena".

Qual è stata la sfida più grande? Non è tanto il reperimento dei costumi, ma far convivere mondi diversi: "Volevamo riuscire a non fare costume, e questo ce lo dirà il pubblico quando vedrà la serie. Riuscire a raccontare una storia che non fosse posticcia. In modo che i vestiti stiano addosso a quelle persone in maniera necessaria, non appiccicata. Quando penso che sto esagerando, mentre lavoro, preferisco togliere piuttosto che aggiungere. Preferisco sparire che comparire. Come la parrucca che, se non si nota, vuol dire che abbiamo fatto centro. Ci sono Marco D'Amore con la sua visione e gli anni '70, non ci voglio essere io".
Il tono nei vestiti dei protagonisti
In generale la Bellini insieme alla sua squadra ha scelto toni invernali perché siamo in mezza stagione come periodo dell'anno raccontato nello show. "C'erano molti multipli data la quantità di scene action. Molti abiti sono stati realizzati qui in sartoria e poi invecchiati, altri trovati ai mercatini o da collezioni private".

Costumi e scenografia hanno collaborato a braccetto: "Abbiamo fatto un lavoro sul colore, anche insieme a Fabrizio, per me fondamentale. Un'occasione importante per me, per separarmi da tutto ciò che caratterizza il contemporaneo, sui toni del nero. Riavvicinarmi alla dimensione anche più giocosa dei protagonisti, di adolescenza, di speranza, di luce, di bellezza".
Era un'epoca di rottura su vari livelli, anche quello cromatico, molto singolare, era tutto molto stretto ed aderente e non siamo più abituati a portare quel tipo di vestiario: "Si tratta anche di come uno indossa quegli abiti e come ci si muove dentro. Lì partiva il nostro lavoro con gli interpreti facendo capire loro che si dovevano sentire 'costretti' per arrivare alla verità di quell'epoca. Mi sono documentata anche con libri e giornali nelle biblioteche, non solo a livello di moda ma anche di cronaca. Un periodo storico che amo molto forse perché legato alla mia infanzia".

La sfida era mantenere una sorta di sobrietà e non cadere nell'effetto modaiolo del racconto d'epoca, fatto di geometrie. Volevano raccontare quelle forme ma sintetizzandole. L'altra fatica è stato il lavoro sul parrucco perché quella era un'epoca connotata da acconciature che oggi non ci sono più, senza doppi tagli e senza sopracciglia spinzettate. È stata incredibile la risposta del pubblico, disposto a tagliarsi o farsi crescere i capelli pur di non perdere l'occasione di partecipare ad un brand riconosciuto.
Le donne di Gomorra - Le origini
Il personaggio di Angelo 'A Sirena (Francesco Pellegrino) ha un chiaro riferimento rock nel vestiario perché anche la musica è importantissima nel serial, come il pantalone a zampa di elefante e l'esplosione di colori: ha tre pellicce perché deve ostentare e se lo può permettere. Tra i ragazzi poveri si (ri)usava invece la giacca del padre, che quindi gli andava larga, o qualcosa trovato per strada: infatti i Caputo vestono più seri, sui toni del marrone o stinti. Loro rimangono vestiti quasi uguali per tutta la serie volutamente.

Chiosa la costumista: "Cambiare troppo non è mai, secondo me, un lavoro interessante, è più importante cercare di raggiungere una sintesi per cui se ti affezioni a quel personaggio, l'abito diventa il suo costume da supereroe fondamentalmente. Su questo con Marco ci siamo trovati subito d'accordo".
A differenza di Imma, figlia di buona famiglia che deve andare a studiare all'estero e ha l'evoluzione anche stilistica più importante man mano che si avvicina al mondo di Pietro. Figlia di un gioielliere, fa parte della piccola borghesia di Secondigliano e va al conservatorio. "La veste la madre" sono state le parole di D'Amore per caratterizzarla con la Bellini. Finché non inizierà a decidere per se stessa. Ad esempio, dalla gonna passerà al pantalone e si legherà i capelli. "Scianel (Fabiola Balestriere) invece era già un'icona di stile all'epoca, l'abbiamo immaginata così, sempre esuberante ed esagerata".
Il look di Pietro Savastano

Il giovane futuro boss di Secondigliano è quello a cui hanno dato un aspetto meno frivolo di tutti. Perché poi in Gomorra avrà un abito che lo rende estremamente normale. "I toni rimangono neutri anche da adulto, me lo ricordo bene avendo lavorato come assistente all'originale". C'è un battesimo in un episodio di Gomorra - Le origini e mentre tutti si vestono eleganti con completo e cravatta, lui rimane semplice. Capisce che se hai carisma non serve altro. D'altronde viene da un padre che non c'è e una madre che fa la prostituta, prima di essere accolto in casa dai Caputo. "Mi piaceva l'idea di raccontare la povertà ma non sacrificando la gioia di essere bambini. I poveri non sono necessariamente infelici".