Cinema d'impegno civile e zombie movie: un accostamento atipico e coraggioso, quello alla radice di Go Home - A casa loro, horror indipendente realizzato dalla giovane regista Luna Gualano e presentato alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione "Alice nella città". Attraverso gli occhi di Enrico, un fanatico di estrema destra che partecipa a un raid xenofobo, l'opera ci mostra un'angosciante distopia horror: l'assedio di un manipolo di zombie a un centro d'accoglienza per rifugiati, all'interno del quale troverà riparo anche Enrico.
Interessante declinazione del genere orrorifico in chiave sociologica e metaforica, Go Home - A casa loro dovrebbe arrivare nelle sale il prossimo anno, dopo l'anteprima a Roma 2018. Alla Festa del Cinema abbiamo intervistato Luna Gualano, cineasta al suo secondo lungometraggio, e il conduttore radiofonico Emiliano Rubbi, co-autore del soggetto e della sceneggiatura: insieme a loro abbiamo parlato del film, di come punta a riflettere l'emergenza del razzismo e della xenofobia nell'Italia di oggi e di quali potrebbero essere le soluzioni per respingere un'ondata di odio e di violenza che appare sempre più simile allo scenario di una distopia non così fantascientifica...
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Luna Gualano e il suo horror contro l'indifferenza
Luna, nell'approccio al filone dello zombie movie hai avuto particolari modelli di riferimento?
Sicuramente George A. Romero, ma dal punto di vista stilistico credo che ogni regista sia il frutto di tutto ciò che ha visto: non bisogna copiare dei riferimenti, ma mi piace prendere spunto anche da altre arti, come il fumetto e la pittura. Per me è importantissimo anche l'aspetto musicale: sono 'nata' girando videoclip e diversi gruppi e artisti hanno dato il loro sostegno. Mi piace utilizzare la musica come veicolo di un messaggio, per esempio con il brano anarchico che si ascolta all'inizio del film.
Con l'altro sceneggiatore, Emiliano Rubbi, c'è stato un pieno accordo sul percorso da seguire nella scrittura?
Sì, l'idea di partenza è stata di Emiliano, mentre io ho proposto di inserire il personaggio fascista. Il soggetto è comune, poi io ho seguito le varie fasi della scrittura: con Emiliano ci troviamo in piena sintonia, quindi non cambierei nulla. E a volte il dramma ti fa capire cosa non si dovrebbe essere nella vita, quindi abbiamo scelto di mostrare ciò che fondamentalmente non si vuole vedere.
Dall'origine del soggetto alla sua presentazione, quali sono le vostre impressioni rispetto al fenomeno del razzismo in Italia?
Quando abbiamo iniziato a scrivere il film ci siamo chiesti se, dopo la lavorazione, non sarebbe diventato obsoleto: "Chissà se fra due anni si parlerà ancora di questi temi". Purtroppo sono ancora attualissimi: alcune delle ultime vicende mi hanno fatto venire la pelle d'oca. Basta immaginare il caso della Diciotti, con centinaia di disperati bloccati su una nave: è la trasposizione nella realtà del film che abbiamo scritto, un film che oggi sembra quasi neorealista. Avrei preferito che le cose fossero andate diversamente.
Pochi giorni fa c'è stata la coincidenza fra l'uscita di Sulla mia pelle e la svolta giudiziaria nel processo sulla morte di Stefano Cucchi: il cinema può avere un impatto davvero così forte sulla società e sulla sensibilità delle persone?
Il cinema è potente. Noi diamo per scontato che il caso Cucchi sia conosciuto da tutti, ma in realtà non è così e il film ha suscitato lo sdegno che la vicenda meritava. È un esempio bellissimo di come il cinema è riuscito a impattare sulla realtà: la speranza è quella di avere un riscontro sulla realtà, e Sulla mia pelle ci è riuscito in maniera egregia.
L'apocalisse zombie del film può essere paragonata a quelle ondate d'odio alimentate proprio dalla politica e da certe istituzioni dello Stato?
Il grosso problema è che la politica è concausa della situazione in cui ci troviamo, dubito che saremmo arrivati a questo punto se non ci fossero stati interessi elettorali: è facile arrivare alla pancia della gente ed è facile governare con la paura. Purtroppo temo che ci stiamo avviando verso una china autoritaria; nel film lo Stato non è presente, ma la politica è la società e la società è la politica, sono cose che si riflettono vicendevolmente. Il punto è quanto la società civile può farsi avanti: se parlano solo quelli che gridano "A casa loro!", sembrano di più. Chi non la pensa così deve trovare il coraggio di non rimanere indifferente: ognuno nel proprio piccolo deve fare la sua parte, anche solo parlando con le persone, per dimostrare che in realtà non tutti gli italiani la pensano in questo modo. La cosa peggiore è rimanere indifferenti, perché ciò aiuta la diffusione della malattia, come se fosse un'apocalisse zombie.
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Emiliano Rubbi, dal razzismo quotidiano all'apocalisse zombie
Emiliano, c'è stato un episodio in particolare che ti ha spinto a dedicarti a questo soggetto?
A Fermo, un ultrà colpì un ragazzo di colore uccidendolo. Parlando con Luna di questo episodio, abbiamo pensato che quel tipo di odio senza senso ricordava un po' l'odio degli zombie: un odio privo di motivazioni, ma mosso semplicemente dall'istinto primitivo di divorare qualunque cosa si abbia di fronte. La metafora consiste dunque nell'accostare l'odio attuale a quello degli zombie.
Dalla genesi del progetto, c'è più speranza in Italia rispetto al fenomeno del razzismo e alla possibilità di contrastarlo?
Per quanto riguarda me, un po' di speranza ce l'ho; semplicemente, in questo momento non saprei in cosa riporla. La deriva razzista sta diventando abbastanza totalizzante: probabilmente c'è bisogno di muoverci tutti quanti insieme verso un obiettivo che sembra lontanissimo, ma bisogna iniziare a fare qualcosa adesso, altrimenti ci terremo gli zombie per altri vent'anni almeno.
Seguendo il percorso del protagonista Enrico, è possibile che sia la conoscenza diretta dell'altro ad abbattere i pregiudizi razzisti?
Enrico non rappresenta di per sé l'idea di fascismo, è semplicemente un ragazzetto che odia perché non ha niente di meglio da fare. Noi non volevamo che fosse il "cattivo", ma che rappresentasse effettivamente la mancanza di empatia; quando conosce queste persone non le odia più.
Nel film c'è un'assenza pesante, quella dello Stato, con uno scenario urbano abbandonato a se stesso: è un'assenza intenzionale?
Lo Stato viene nominato solo all'inizio e poi scompare. Non ci ho mai pensato, mi ci stai facendo pensare adesso, al fatto che in quel momento potremmo interpretare gli zombie come lo Stato.
In fase di scrittura, avete mai preso in considerazione la possibilità di un approccio meno nichilista rispetto al precipitare degli eventi?
No, perché dare una speranza rispetto a una situazione di quel tipo significherebbe mandare un messaggio ambiguo. Noi invece volevamo mostrare uno dei mali della società moderna, e quindi la speranza non ci doveva essere. Io spero vivamente che non vada a finire in questo modo, ma se si continua così l'odio rappresentato dagli zombie non si scatenerà solo contro i centri di accoglienza, ma entrerà anche al loro interno, e a quel punto tutti odieranno tutti: il virus si sarà propagato. L'odio non ha una sola razza, e probabilmente quello che adesso rivolgiamo contro qualcuno può infettare gli altri per poi ritorcersi contro di noi.
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Oggi un antidoto a quest'odio può essere una mobilitazione di massa, come nel caso dell'indignazione per le discriminazioni contro i figli di immigrati nella scuola di Lodi?
La mobilitazione è necessaria, come nel caso di Lodi, ma lo è per tutto quanto: senza la mobilitazione non si otterrà mai nulla. Ma non parlo di scioperi o di "prese della Bastiglia": l'importante è che ciascuno di noi dica "no" rispetto a ciò che ritiene sbagliato. Noi lo abbiamo fatto con un film, ma basta anche un post su Facebook, perché ogni tassellino può servire a instillare il dubbio dentro qualcun altro.
E il passo successivo di queste mobilitazioni dovrebbe essere comunque affidato alla politica?
La sinistra in Parlamento ora è latitante, ma anche la destra liberale: si sta dando tantissimo spazio ai sovranismi populisti. Un pensiero difforme è minoritario e spesso non è rappresentato, e bisognerebbe che qualcuno si facesse carico di rappresentare le istanze di molti di noi e delle nostre idee.