Recensione Ti do i miei occhi (2003)

Il film ha l'encomiabile pregio di affrontare un tema così difficile rinunciando ad ogni manicheismo o enfatismo melodrammatico di maniera. Per ottenere questo risultato la Bollain si affida totalmente alle straordinarie interpretazioni di tutto il cast, protagonisti in primis, intensi, credibili ed asciutti come raramente si vede in pellicole di questo genere.

Gli occhi dell'amore e della paura

Vincitore di sette premi Goya 2004, Ti do i miei occhi è il realistico racconto di una coppia profondamente innamorata, ma alla deriva a causa degli eccessi di rabbia dell'irascibile marito. Il conflittuale confronto tra Pilar e Antonio (interpretati in modo eccezionale rispettivamente da Luis Tosar e Laia Marull) è però solo la chiave di lettura più pregnante per un film che registra e denuncia un problema drammatico: quello della violenza domestica perpetuata contro le donne. Un tema sempre più presente in seno all'opinione pubblica e documentato con notevole acutezza dal film, a ennesima testimonianza delle enormi potenzialità (troppo spesso sottovalutate o accantonate) della settima arte nella rappresentazione-presentazione di un fatto o di un problema.

Ciò che colpisce nella recente produzione spagnola è la capacità di raccontare con un registro allo stesso tempo sobrio e profondo temi drammatici come la disoccupazione, la perdita dei cari e in questo caso la violenza domestica, a conferma di una cinematografia viva e di qualità; assolutamente non a rimorchio degli isolati acuti di Pedro Almodovar.

Ti do i miei occhi è l'ottima opera prima dell'attrice, regista e sceneggiatrice Iciar Bollain, prima di adesso autrice solo di cortometraggi ed ora meritatamente celebre in Spagna (dove ha fatto breccia tra critica e pubblico) e alla ricerca di un responso europeo per un film più che meritevole. Filologicamente il suo film sembra proseguire lungo la strada intrapresa da I lunedì al sole, specie per l'adesione del bravissimo Luis Tosar (in un ruolo curiosamente simile e vicino, di cui quello del violento Antonio sembra essere la naturale evoluzione) e, seppur essendo molto diverso e non riuscendo ad eguagliare per scelte e qualità il fascino e la malinconia della pellicola di Fernando León de Aranoa, ha il pregio di affrontare un tema così difficile rinunciando ad ogni manicheismo o enfatismo melodrammatico di maniera.

Per ottenere questo risultato la Bollain si affida totalmente alle straordinarie interpretazioni di tutto il cast, protagonisti in primis, intensi, credibili ed asciutti come raramente si vede in pellicole di questo genere. Laia Marull è assolutamente perfetta nel punteggiare il carattere di una donna vitale, ma profondamente spaventata e vittima del marito; in apparenza timida e priva di personalità, il suo personaggio cresce e prende coscienza ma sempre in modo combattuto (e qui entrano in gioco i meriti di un'ottima sceneggiatura), senza mai perdere di realismo; Luis Tosar con la sua recitazione in sottrazione, i suoi enigmatici silenzi e le sue improvvise esplosioni, è da brividi. Notevole anche tutto il cast di supporto, anche in virtù dell'ottima scrittura del film che riesce a fornire credibilità e adeguata caratterizzazione psicologica a tutti i personaggi.

Dal lato registico il film non brilla per soluzioni o invenzioni particolari. Iciar Bollain, conscia di non essere Scorsese e per adesso neanche Ken Loach, mostra intelligenza adottando una messa in scena essenziale e rigorosa tutta a supporto delle interpretazioni e di una chiave di lettura psicologica. In questo senso la violenza è quasi sempre suggerita più che mostrata, in totale aderenza e coerenza ad un plot che prende da subito la strada del dramma interiore, più che quella dell'indagine sociologica. E' una scelta funzionante, una scelta che ci restituisce un cinema che fa riflettere e che genera immedesimazione, potente oltre il mostrato.