Ci ha raccontato molto di sé e del suo personaggio Giorgio Pasotti nella lunga intervista che abbiamo realizzato in vista dell'uscita di Nottetempo, il film diretto dall'esordiente Francesco Prisco che narra la storia di Matteo, un poliziotto della Stradale appassionato di rugby che ad un certo punto della sua vita, a causa di un evento del tutto accidentale, decide che è giunto il momento di riaprire un capitolo della sua vita che sembrava ormai chiuso e dimenticato. Senza preoccuparsi delle conseguenze che le sue azioni potrebbero scatenare nella vita degli altri, Matteo decide di tornare dopo tanti anni a Bolzano per rivedere la sua ex compagna e riallacciare i rapporti ormai compromessi con lei e con un figlio che ormai è cresciuto ed ha un nuovo papà. Il suo viaggio in moto si collega in un modo del tutto misterioso con il viaggio d'amore della giovane Assia (Nina Torresi) e con il viaggio vendicativo di Enrico (Gianfelice Imparato); entrambi si metteranno sulle tracce di Matteo per dare una svolta alla loro vita e chiudere finalmente il fatidico cerchio. Dunque il tema della paternità, molto attuale nella sua vita privata, che abbraccia anche il suo primo film da regista dal titolo provvisorio Io, Arlecchino (nel cast Roberto Herlitzka, Valeria Bilello e Lunetta Savino) ed è al centro di Mio papà, il nuovo film di Giulio Base di cui Pasotti è autore del soggetto oltre che protagonista. E poi l'emozione per l'Oscar vinto da Paolo Sorrentino (ne La grande bellezza Pasotti interpreta il piccolo ma importantissimo ruolo del custode delle bellezze di Roma) che arriva come la ciliegina sulla torta per il festeggiamento dei quarant'anni.
Non è la prima volta che ti affidi a registi esordienti, cosa ti ha attratto di più del personaggio protagonista di Nottetempo e del film in generale?Sono convinto che quello di Francesco Prisco con Nottetempo sia uno dei più felici e interessanti esordi del cinema italiano degli ultimi anni. E' la terza volta che partecipo alla produzione di un'opera prima, mi era successo con Ecco fatto di Gabriele Muccino e L'aria salata di Alessandro Angelini e spero che anche Francesco possa avere la stessa fortuna che hanno avuto loro. Ho scelto di mettermi nelle mani di un giovane regista sconosciuto perché sin dal momento in cui ho letto la sceneggiatura ho capito che si trattava di un lavoro di grande maturità, vado molto a sensazioni in questi casi. E la regia di Nottetempo ha poi confermato le mie impressioni perché porta una firma ben precisa e Francesco ha dimostrato il carattere di un autore consumato. Il personaggio che interpreti è un uomo istintivo e solitario, brutale e anche un po' scorretto nel rivendicare un amore che sente suo di diritto. Quale aspetto ti ha affascinato di più di questo personaggio quando hai letto la sceneggiatura?
Ho accettato subito di interpretare il ruolo di Matteo perché si trattava di un ruolo da cattivo, forse per la prima volta nella mia carriera qualcuno aveva pensato a me e alla mia faccia in maniera un po' diversa dal solito (ride). Ho trovato quest'idea di Francesco non solo brillante ma anche molto coraggiosa e poco banale, per questo ho accettato subito e con entusiasmo. Se dovessi raccontare in poche parole agli spettatori che film è Nottetempo, cosa diresti loro?
E' un film che non appartiene ad un genere ben definito, è un thriller sentimentale, è un film romantico, è un film emotivamente violento e cupo, è un noir alienante. Con le dovute proporzioni lo definirei un po' un Drive all'italiana, un film che può esplodere da un momento all'altro, capace di sorprenderti, in cui l'amore fa da molla ed è la vera locomotiva di tutto quello che accade. I tre protagonisti del film intraprendono un viaggio alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che non possono avere, tu ti senti una persona appagata o anche tu sei alla ricerca di qualcosa che ti manca?
Mi sento un uomo appagato in primis perché nessuna delle cose che ho fatto nella vita, a partire dalla mia carriera di sportivo e proseguendo in quella di attore, mi è stata mai imposta. Ho cercato e voluto con passione ogni cosa che ho conquistato e questo ha tenuto sempre in me vivo un profondo senso di libertà e un equilibrio difficilmente scalfibile. Detto questo rimango uno sportivo dentro e come tale sono mosso da una profonda ambizione e da una forte determinazione. Poi c'è l'elemento competitività che per mia fortuna non mi farà mai mancare la voglia di mettermi in gioco. Il tuo personaggio è un giocatore di rugby che però nella vita viene meno sia all'etica del suo mestiere di poliziotto che alla coerenza che ai principi fondamentali di uno sport 'bestiale giocato da gentiluomini'. Quanto è importante per te la coerenza nella vita di tutti i giorni e soprattutto nel tuo 'mestiere' di padre?
Matteo dovrebbe rappresentare meglio di chiunque altro al mondo una morale e un rispetto delle regole, invece decide di riappropriarsi della sua vita passata usando le armi meno adatte: la prepotenza e la forza. Insomma fa quello che di peggio un essere umano possa fare nei confronti dei propri affetti. La paternità è destabilizzante, è un evento che spazza via in un solo colpo tutte le sicurezze che fino a quel momento avevi fatto tue nel corso della vita e credere di poterla nascondere nei cassetti della mente è una pura follia. Se si è padri si è padri sempre, come si rimane figli per sempre. Con i propri pregi e i propri difetti. Il tema della paternità si dimostra quindi molto importante in questo momento della tua vita e della tua carriera visto che uscirà ora Nottetempo e sono da poco terminate anche le riprese di Mio papà, di cui sei anche autore del soggetto. E poi il tuo primo film da regista racconta la storia di un padre e di un figlio...
In verità si tratta di una pura coincidenza. Sono tre paternità molto diverse quelle raccontate nei tre film perché nel nuovo di Giulio Base si affronta il tema della paternità non naturale. Ad un certo punto della vita mi sono interrogato sulle cosiddette famiglie allargate e sul perché oggi, in un'epoca in cui le famiglie tradizionali stanno progressivamente scomparendo, la costruzione di nuovi nuclei familiari non sia tutelata nel modo giusto. Il ruolo di uomini e donne che subentrano in famiglie già esistenti è difficilissimo, non si sa mai qual è il confine entro cui puoi muoverti. Sarà anche una coincidenza, ma con Io, Arlecchino, il tuo primo film da regista che attualizza la figura della celebre maschera bergamasca, ci racconti la storia di un padre e di un figlio che si riconciliano dopo tanto tempo. A che punto è la produzione del film?
Il film è in fase di post produzione, abbiamo terminato da poco il primo montaggio, e devo dire che sono profondamente provato da questa esperienza pazzesca ma bellissima, un vortice che mi ha inghiottito per lungo tempo e solo ora mi sta lasciando respirare. L'ho voluto con tutto me stesso questo film e devo dire che dopo questa esperienza ho ancora di più stima del mestiere del regista che è sempre più difficile in Italia. La storia è sì incentrata sulla figura di Arlecchino, uno dei personaggi italiani in assoluto più conosciuti nel mondo, ma è fondamentalmente la storia del rapporto tra un padre e un figlio che si ricuce dopo tanti anni. Un'operazione rischiosa, culturalmente raffinata e molto coraggiosa da parte tua...
Penso che quello che stiamo vivendo per il cinema italiano sia un periodo delicato, molto difficile da superare. Si fanno a mio avviso un po' troppi film leggeri, troppe commedie per noi stessi destinate a non varcare mai i confini nostrani. Per il mio primo film da regista ho voluto buttarmi in qualcosa di veramente impegnativo che andasse decisamente controcorrente, in una sorta di esperimento al contrario: ho preso un personaggio culturalmente e tradizionalmente fortissimo per l'Italia come la maschera di Arlecchino e l'ho usato un po' come un ariete per abbattere le barriere ed arrivare a parlare ad un pubblico internazionale. Proprio ieri Ettore Scola parlando in una conferenza stampa a proposito del cinema italiano ha detto che di questi tempi si fa cinema 'leggero' perché stiamo perdendo la memoria cinematografica e non siamo più capaci di valorizzare il nostro patrimonio culturale. Il tuo film è la dimostrazione che c'è qualcuno che non si arrende a tutto questo...
Non è mai stato fatto un film sulla maschera di Arlecchino nella storia del cinema, e penso che questo sia gravissimo per una figura importante che è molto più vecchia di Amleto, tanto per citarne una altrettanto celebre. Per questo motivo penso che il mio film, per quanto bello o brutto potrà essere, meriterebbe già da ora una medaglia al valore (ride). Io amo il rischio, ho sempre cercato di non fossilizzarmi su un genere ma di spaziare il più possibile, e questo film su Arlecchino ed anche Nottetempo ne sono la dimostrazione. Per chiudere ci racconti cos'ha significato per te l'esperienza sul set con Sorrentino e che reazione hai avuto quando hai realizzato di aver fatto parte del cast di un film vincitore dell'Oscar?
Come è facilmente immaginabile sono felicissimo di aver partecipato ad un film che ha vinto l'Oscar ma voglio sottolineare come La grande bellezza sia un film che promuove a livello mondiale il talento registico di Paolo Sorrentino, consacra l'enorme bravura di un attore immenso come Toni Servillo e celebra la grande lungimiranza del produttore Nicola Giuliano. Quando mi propose questo piccolo ruolo capii subito che lo aveva pensato veramente addosso a me ed è stato splendido costruirlo insieme pian piano. Ripeto è un piccolissimo personaggio che però a suo modo è anche fondamentale: a questo silenzioso custode che è delegato il compito di spalancare le porte della misteriosa Grande Bellezza di Roma. Mi sono fatto un regalo meraviglioso per i miei 40 anni accettando questo piccolo ruolo, se mi metto a pensare alla probabilità che ha oggi un attore italiano di vincere un Oscar mi sento davvero fortunato. E' un riconoscimento che nessuno mi potrà mai più togliere e di questo ne vado molto orgoglioso.