Un film dal sapore d'altri tempi quello di Margherita Spampinato. Per il suo esordio, la regista ha voluto raccontare una tenera storia familiare che riflette sul confronto tra generazioni, tra usi e costumi del nord e del sud e tra passato e presente. Spampinato, che prima di arrivare al primo lungometraggio ha trascorso un paio di decenni a farsi le ossa sui set come segretaria di edizione, sembra aver carpito alla perfezione i segreti del mestiere mettendoli a frutto in un'opera prima vivace, divertente e profonda.
Fin dal titolo, Gioia mia omaggia la terra natale della regista, quella Sicilia in cui è ambientato il film e da cui proviene anche Aurora Quattrocchi, scatenata 82enne premiata a Locarno per la migliore interpretazione femminile, che ripete l'epiteto all'insoddisfatto nipote. L'espressione di uso comune, udita a ripetizione durante i sopralluoghi per le location, si è trasformata in un titolo "obbligato" esprimendo, inoltre, un senso di calorosa familiarità e di affetto. Gli stessi sentimenti permeano il rapporto che si instaura tra i due protagonisti, il piccolo Nico e la prozia Gela.
L'importanza delle proprie radici nella storia del film
Tenero romanzo di formazione, Gioia mia racconta una storia semplice mostrando l'estate di Nico (Marco Fiore), bambino del nord che viene strappato ai suoi videogiochi, al wi-fi, ai confort e all'amata babysitter Violetta per trascorrere l'estate in Sicilia con l'anziana Gela, solitaria prozia religiosa fino a sfiorare la superstizione. Lo scontro tra l'impertinente Nico e l'infastidita Gela, spazientita dalle rimostranze del suo piccolo ospite, si tramuterà pian piano in un legame importante.
Per Nico il soggiorno in Sicilia sarà un viaggio di scoperta e di conoscenza di un mondo che ignorava, oltre che un'occasione di crescita e di incontri, come quello con la sfrontata Rosa (Martina Ziami), la piccola leader dei ragazzini del vicinato con un debole per il bambino del nord. Rovistando tra i ricordi di Gela, Nico scoprirà inoltre un pacco di vecchie foto che contengono il segreto inconfessabile celato dall'anziana donna.
Un film che affronta temi importanti con leggerezza
Il rapporto tra Nico e Gela viene costruito con naturalezza, un tassello alla volta, scena dopo scena. L'anziana aiuta il bambino a essere più indipendente e a trovare il coraggio di uscire dal guscio protettivo familiare; in cambio Nico aiuterà Gela a trovare la forza di rivelare un segreto che appartiene al suo passato e che riguarda l'amicizia speciale con la nonna defunta del bambino, bruscamente interrotta per via delle malelingue. Il tema dell'omosessualità femminile viene affrontato con pudore e delicatezza, accennato tra una sortita in spiaggia - uno dei momenti più umoristici del film - e una passeggiata tra i vicoli. Non c'è nessuna volontà di trasformare il film in un manifesto, ma solo di offrire un punto di vista diverso sull'oscurantismo e sul pregiudizio regalando allo spettatore qualche commovente momento di riflessione.
Un microcosmo che appartiene a un tempo lontano
Se a prima vista Gioia mia si presenta come un "passo a due", man mano che la narrazione entra nel vivo possiamo apprezzarne un ulteriore livello narrativo. Merito dell'incredibile caseggiato scelto come location che, con i suoi portoni imponenti, le scale vertiginose e il cortile immerso nel sole, diventa personaggio tra i personaggi, microcosmo brulicante di vita, incontri, scontri e muta solidarietà. Al suo interno, la solitudine di Gela è solo apparente. L'anziana vive in una comunità fatta di riti, pranzi e preghiere collettive condivise col gruppo di anziane vicine di casa, che rappresentano una sorta di umoristico coro greco. A sua volta anche Nico entrerà a far parte di una comunità superando una prova di coraggio per farsi rispettare e accettare dai bambini del vicinato, unendosi così alla loro gang.
Commedia dai toni garbati, Gioia mia emana un senso di calore e familiarità. L'ingenuità alla base di certe forzature narrative, come l'estremizzazione delle differenze che separano Nico e Gela, unite al tono fiabesco che avvolge la pellicola, le donano una patina d'ingenuità che sembra appartenere a un'epoca lontana, come se stessimo assistendo a un film d'altri tempi. La scelta della regista di aderire al punto di vista di un bambino offre uno sguardo nuovo su temi triti e ritriti come l'importanza del contatto umano e l'alienazione del presente dovuta all'overdose di tecnologia, ma la sincerità con cui vengono affrontati lascia intendere che per Spampinato la questione è personale. Le scelte registiche confermano questa ipotesi: la telecamera posta ad altezza bambino affianca i personaggi, incollandosi ai loro volti ed esplorando dettagli e ambienti. Il risultato è un abbraccio visivo che sa di antico, domestico e familiare grazie anche alla fotografia solare di Claudio Cofrancesco.
Conclusioni
Un esordio personale, intimo, una piccola storia familiare dal sapore nostalgico nel felice lungometraggio di di Margherita Spampinato, di cui parliamo nella nostra recensione di Gioia mia. L’incontro tra due mondi e due età opposte darà vita a un viaggio fatto di scoperte, conoscenza reciproca, segreti e comprensione. Una storia personale per la regista ben diretta e recitata dal piccolo Marco Fiore e dall’energica Aurora Quattrocchi.
Perché ci piace
- Il sapore antico che emana da una storia intima narrata con toni garbati.
- La strepitosa Aurora Quattrocchi, più energica che mai.
- La location azzeccata dell'antico caseggiato siciliano, un microcosmo che brulica di individui e umanità.
- la scelta di affrontare temi importanti con leggerezza.
Cosa non va
- Qualche forzatura narrativa, alcune scelte appaiono decisamente troppo ingenue.