Gianluca Mingotto vede e rilancia con la sua Poker Generation

Dopo aver realizzato videoclip e spot pubblicitari, il giovane regista padovano firma il suo primo lungometraggio con una storia di crescita e scoperta personale consumata intorno al tavolo da poker

Gioco d'azzardo o scienza matematica? Questo è il dilemma che "affligge" il mondo del poker, considerato da molti una dipendenza economicamente pericolosa e da altri una sfida sportiva ai limiti della legalità. Spinto probabilmente da questa sottile ambiguità, Gianluca Mingotto ha scelto di indagare nei misteri del Texas Hold'em per firmare il suo esordio dietro la macchina da presa. Così, distribuito da Iris Film dal 13 aprile in circa cento copie e girato in parte durante il torneo Malta Poker Dream, Poker Generation racconta la vicenda tutta italiana di Tony e Filo, due fratelli siciliani pronti a sfidare i campioni del tavolo verde per risolvere i problemi economici della propria famiglia e per ritrovare se stessi. Ad affiancare sul grande schermo Francesco Pannofino, Lina Sastri, Piero Cardano e Andrea Montovoli sono state coinvolte alcune tra le stelle nazionali e internazionali del mondo pokerista come Patrik Antonius, Dario Minieri, Luca Pagano, Salvatore Bonavena, Fabrizio Baldassarri, Mustapha Kanit, Marco Bognanni, Daniele Amatruda e Maurizio Agrello.

Da cosa è nato il desiderio di raccontare la vicenda di Tony e Filo, utilizzando come mezzo narrativo la tanto discussa tematica del poker? Gianluca Mingotto: Molto semplicemente, tutto prende spunto da un'idea che abbiamo sviluppato nel tempo con Tiziano Cavaliere e Noa Palotto. Al centro della narrazione, al di là del poker, abbiamo il percorso di crescita compiuto dai due fratelli, Filo e Tony. Inoltre, raccontare una storia attraverso il gioco delle carte voleva dire esprimere una metafora sulla vita, a mio avviso molto importante. Perché la nostra esistenza è come una partita di poker. Condividiamo il tavolo di gioco con delle persone, alcune le conosciamo, altre no. A volte capiamo di poterci fidare, spesso facciamo meglio a rimanere diffidenti.

Signor Pannofino, lei nel film veste i panni di padre fallito, afflitto dal vizio del gioco e incapace di provvedere alla sua famiglia. Qual è il suo rapporto con il poker? Francesco Pannofino: In realtà non conosco quest'universo perché, per mia fortuna, non ho molto tempo libero per giocare. Posso solo dire che, durante le riprese effettuate a Malta, ho visto molta gente divertirsi ai tavoli, quindi, come tutte le cose, credo che se fatto con misura non possa nuocere a nessuno.

Il film è composto da un cast piuttosto numeroso. Potete svelarci qualche particolare sui vostri personaggi? Claudio Castrogiovanni: Nel film interpreto Joyce, un giocatore ante litteram che diventa un mentore per Tony. Quando mi hanno proposto questo ruolo, sono stato veramente contento di accettare perché sono un giocatore appassionato tanto da aver partecipare al torneo di Malta. È stato stimolante e interessante raccontare un mondo che, fuori dall'immaginario collettivo, è tutt'altro che fumoso e approssimato. Anzi, il poker sportivo richiede grande disciplina e tenacia. Non è un semplice gioco d'azzardo basato solo sulla fortuna, ma concede delle possibilità anche e soprattutto a chi ha delle capacità diverse da utilizzare. Se ti avvicini ai player professionisti ti rendi conto di tutta la concentrazione e della preparazione mentale che impiegano durante le partite. Al tavolo sembrano delle macchine inarrestabili, mentre fuori da quell'ambito ti rendi conto che sono esseri umani come tutti.
Eros Galbiati: Nel film sono Sandro e, nonostante il mio personaggio sia molto informato sull'argomento, è uno dei pochi a non giocare mai. Ma andando oltre il poker, vorrei puntare l'attenzione sull'importanza di aver realizzato un progetto veramente indipendente come questo. Nel nostro paese non è facile essere coinvolto in un film che si distanzia da certe necessità popolari e produttive, per questo sono veramente orgoglioso di avervi preso parte.
Andrea Montovoli: Credo che tutti noi abbiamo lavorato con il cuore creando una bellissima energia sul set. Il fine era raccontare una storia reale in cui il poker è l'argomento che traina il film e che porta i due fratelli a conoscersi, scontrarsi e vivere pienamente.
Piero Cardano: Quando mi è stato proposto il ruolo di Filo, credevo di dover contribuire a creare la storia di due fratelli. Solamente dopo ho capito l'importanza che avrebbe avuto il poker e mi sono ritrovato a doverlo studiare nel dettaglio. L'elemento fondamentale rimane il rapporto tra i due ragazzi che, nel passaggio dalla Sicilia a Milano, vivono un'avventura esistenziale. La stessa che è capitata a noi nel realizzare questo film, grazie anche al coraggio di chi ha investito sulla nostra giovane inesperienza.

Tecnicamente come vi siete preparati per i vostri ruoli? Avete avuto la possibilità di osservare i grandi campioni all'opera? Piero Cardano: Ho costruito il personaggio di Filo direttamente al tavolo da gioco, passando più tempo possibile con le carte in mano. Per la prima volta nella mia vita ho frequentato alcuni circoli ed ho parlato con i giocatori, cercando di studiare i segreti del gioco, calcolare le probabilità e decifrare gli atteggiamenti giusti da tenere con gli avversari.
Andrea Montovoli: E' logico, stare a contatto con i veri player ci ha aiutato molto. Più si respira l'ambiente osservando questi uomini mantenere la concentrazione anche per otto ore consecutive e più si riesce a entrare nel meccanismo.
Gianluca Mingotto: In un anno di lavoro ho intervistato moltissimi giocatori professionisti e sono rimasto colpito da come affrontano il tavolo verde. La disciplina è l'elemento che non deve assolutamente mancare, liberano la mente e sanno di non dover affrontare la partita se fisicamente troppo stanchi. In definitiva ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sport che, pur non richiedendo un fisico allenato, pretende di poter contare su una mente sempre prestante.