Recensione All'amore assente (2007)

Proprio quando la vita sociale del nostro paese vede radicalizzarsi una generale sfiducia nei confronti della politica ufficiale, delle inadeguatezze del sistema parlamentare, l'uscita di questo piccolo filmsi caratterizza per l'eccellente tempismo.

Ghost writer in the shell

È davvero un'indagine insolita, fuori dagli schemi, quella che Andrea Adriatico ha voluto collocare a margine del mondo politico nel suo secondo lungometraggio, All'amore assente, noto anche col titolo Andres and me. L'intuizione, di per sé, si è rivelata notevole. Proprio quando la vita sociale del nostro paese vede diffondersi e radicalizzarsi una generale sfiducia nei confronti della politica ufficiale, delle inadeguatezze da molti riscontrate nel sistema parlamentare, l'uscita di questo piccolo film indipendente si caratterizza quantomeno per l'eccellente tempismo.
L'approccio ai temi che abbiamo provato or ora a sintetizzare avviene peraltro attraverso particolari strategie espressive, con una esile traccia di genere (ovvero l'ingrediente della "detection") che si mescola progressivamente a determinate ossessioni autoriali e alla possibile matrice teatrale di alcune sequenze, dalla durata considerevole, improntate a codici rappresentativi sottilmente corrosivi e stranianti.

Questa vena sperimentale non sorprende, se si considera il percorso artistico e professionale di Andrea Adriatico: abruzzese di origine, ma attivo da anni a Bologna, il regista di All'amore assente si è prima imposto come regista teatrale dalla multiforme ispirazione e cortista di successo, per poi approdare al lungometraggio con Il vento, di sera, film sbarcato nel 2004 a Berlino (ospite della sezione Forum) e circolato in numerosi festival internazionali, dove ha raccolto anche qualche premio e il consenso quasi unanime della stampa specializzata. Ma vi è un altro elemento da tener presente. Come dichiarato in conferenza stampa, Adriatico ha alle spalle esperienze giornalistiche e di "ghost writer" per alcuni personaggi pubblici, queste ultime soprattutto in occasione di campagne elettorali. Una simile precisazione ci aiuta a comprendere meglio la scelta del protagonista e della storia, trasferita su un piano volutamente paradossale, non privo di elementi visionari e arditi depistaggi.

Il fulcro del mistero è difatti l'improvvisa sparizione di Andres Carrera, ghost writer di un politicante in rapida ascesa, tale Massimo Arati, per il quale l'inquieto Andres si era trovato a scrivere discorsi sempre più personali, vibranti, persino confidenziali. Praticamente un'ombra, dotata però di quella sensibilità del tutto ignota all'ambiente in questione e a coloro che ne fanno stabilmente parte: né ad Arati, né ai frequentatori dei sui comizi, sembra affacciarsi mai l'idea che quei discorsi possano essere in realtà parafrasi di versi famosi, importanti, con un grande poeta quale fonte di ispirazione. L'americano Walt Whitman, volendo essere precisi. L'evidente disagio di Andres è tutto raccolto nella struttura circolare del racconto, con l'indagine sul suo personaggio, assente ma quanto mai "vivo", incastonata tra due scene parimenti rubate all'intenso comizio tenuto da Arati sotto una pioggia battente. Vi è infatti l'apparizione in città di un fantomatico investigatore privato a fungere da catalizzatore, da elemento in grado di far emergere nel corso della detection i risvolti più intimi della vita privata, come anche i retroscena più torbidi della professione esercitata dallo scomparso. Fino a collezionare rivelazioni assai spiazzanti per lo spettatore, specialmente verso la fine...

Nonostante le premesse così intriganti, la conduzione del gioco da parte del regista ha evidenziato in noi parecchie perplessità; in primo luogo una vocazione autoriale espressa fin troppo pretenziosamente, lasciando cioè che la ricerca intorno all'identità del protagonista si frazioni in una serie di bozzetti eccessivamente ermetici, lontani dall'essere incisivi quanto l'adombrato discorso sulla crisi della democrazia e dei suoi meccanismi vorrebbe essere. Alla condivisibilità degli intenti non corrispondono quindi scelte formali altrettanto chiare, persuasive. Piace semmai uno stile visivo accuratamente studiato, con il leitmotiv della pioggia e dell'elemento liquido a fare da filo conduttore. Innegabile che vi sia una certa cura a livello di riprese e di montaggio. Ma le stesse dilatazioni temporali, di cui il film abbonda, non sembrano offrire un gran contributo al costruirsi di rapporti tra i personaggi, la cui tensione interna a lungo andare si disperde.

Un'impalcatura narrativa così scollegata e difficile da decifrare si riflette poi in un cast dalla composizione interessante, ma non sempre funzionale all'intreccio. Misurato il protagonista, Massimo Poggio, più rigida e bloccata la controparte femminile, Francesca D'Aloja. Inedita, fresca e sorprendente l'interpretazione dI Tonino Valerii, regista in passato di autentici cult movies come I giorni dell'ira e Il mio nome è nessuno. Troppo limitate, ed è un peccato, le apparizioni di Eva Robin's e Corso Salani, che qualora risultassero maggiormente inseriti nel contesto narrativo saprebbero vivacizzarlo in ben altra misura. Lo stesso si può dire dell'ottima Milena Vukotic, già brava nel metabolizzare un ruolo che la vuole a lungo immobile, intrappolata, ancor di più quando le viene richiesto di interpretare un piano sequenza di quasi dieci minuti dalle formidabili ripercussioni emotive; ma è l'impronta così teatrale della situazione a staccarsi troppo dal contesto, dimostrando per l'ennesima volta come alla bontà di certe intuizioni, nel film di Adriatico, non corrisponda sempre una resa soddisfacente.