Denis Côté è una presenza costante a Berlino. Nessun film del regista canadese finora è stato ancora distribuito in Italia. Il motivo è legato in parte alla scelta di Côté di schivare le etichette mantenendosi fieramente indipendente per proteggere il suo cinema da compromessi ed esigenze di marketing ("per i distributori sono un incubo, ma nessuno può dirmi cosa fare nei miei film, le decisioni le prendo tutte io"). La speranza è che il pubblico nostrano riesca prima o poi a vedere Ghost Town Anthology, elegante riflessione sui vivi e sui morti presentata in concorso a Berlino 69. Nel frattempo Côté ha raccontato la genesi del film ed è intervenuto anche sulla polemica causata dalla presenza in concorso di un film prodotto da Netflix.
Ghost Town Anthology si apre con un lutto, la morte accidentale (o forse si tratta di suicidio?) di un promettente giocatore di hockey 21enne schiantatosi con la sua auto contro dei blocchi di cemento. A piangerlo è un intero villaggio di 251 anime sperduto nel Quebec rurale, ma a un certo punto, nella cittadina, i morti cominciano a ricomparire nei luoghi dove avevano vissuto. Che cosa vogliono? Spiegare le metafore non è l'attività preferita dei registi, per Denis Côté "qualsiasi cosa leggiate nel mio film va bene, per me i morti rappresentano la coscienza dormiente del villaggio, sono i fantasmi del passato che tornano per osservare il comportamento dei vivi e minacciarli, se non si comportano bene potrebbero riprendersi tutto".
Il ritorno dei morti, la nostra coscienza sociale
Dopo undici lungometraggi, per la prima volta alla base di un film di Denis Côté c'è un libro, Répertoires de ville disparues di Laurence Olivier, testo "incredibilmente poetico con nessun film al suo interno". Il regista ha chiesto il permesso alla scrittrice per prendere "il 5% del libro modificando tutto il resto. Ho ripreso l'incidente e i nomi dei personaggi, la festa di capodanno, e per il resto ho creato l'inverno, il soprannaturale, i personaggi maschili. Temevo a mostrare lo script a Laurence, ma lei mi ha detto non aver paura perché lo spirito del libro è sempre presente". Altri due elementi sono confluiti in Ghost Town Anthology, la passione di Côté per l'horror ("da ragazzo ero un'enciclopedia dell'horror, guardavo tutto, soprattutto film spagnoli e italiani, poi ho cominciato a studiare cinema e ho scoperto Godard, Pasolini, ma nel mio DNA c'è sempre l'horror") e la situazione politica attuale. Pur essendo un'isola felice, anche il Quebec non è immune a problemi di xenofobia e razzismo: "Da noi sono arrivati appena 3000 immigrati, una sciocchezza rispetto ad altri paesi, ma le persone hanno comunque paura di perdere i loro confort".
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L'omaggio all'horror, ma con lo sguardo al film d'arte
Pur facendo un film molto personale, Ghost Town Anthology può essere letto (anche) come una sofisticata metafora politica che attinge alla tradizione di Lucio Fulci e George Romero. Nel film c'è perfino una portavoce della posizione politica del Quebec, la sindaca del villaggio che, di fronte al disagio dei suoi cittadini, rifiuta ogni aiuto esterno. "Se gratto la superficie, il mio film parla molto del Quebec" ammette Denis Côté. "I franco-canadesi sono 8 milioni di persone circondate da un oceano anglofono. A noi non interessa la cultura dei nostri connazionali perché non guardiamo all'America, ma alla Francia, Ci sentiamo un po' europei, ma non lo siamo, siamo anglosassoni e dipendiamo dalla Regina. Questo fenomeno crea un villaggio di 8 milioni di persone molto arroganti nei confronti dello straniero, nessuno parla inglese con gli altri, combattiamo per difendere la nostra identità".
Quello di Denis Côté è un cinema raffinato e denso di rimandi, ma il regista non ama troppo essere paragonato ad altri autori. Nel caso di Ghost Town Anthology "finora hanno citato Twin Peaks, Ai confini della realtà, Les Revenants, anche se non ho mai visto la serie, mentre per la scena della levitazione hanno citato Pasolini. Io ho bisogno di distruggere il cinema e i cliché. Se il pubblico vuole considerare il mio film un horror è ok, se vogliono considerarlo un dramma va bene, ma il mio vero riferimento è Nashville di Robert Altman. La sfida, per me, è stata fare un film che non ha un protagonista, ma dieci protagonisti. Sai che il pubblico non si identificherà con nessuno perché nessun personaggio è sviluppato adeguatamente. Da qui Anthology, un gruppo di macrostorie che diventano un insieme".
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Guardare i film in tv? Mi distraggo, ho bisogno del rapimento della sala
Parlando di serie tv, è impossibile non chiedere a Denis Côté cosa pensa della presenza in concorso a Berlino di un film prodotto da Netflix come Elisa & Marcela, scelta che ha sollevato critiche contro il festival. Côté ammette di non avere ancora un'opinione precisa al riguardo: "Non ho Netflix perché sono un cinefilo, su Netflix non trovo quello che voglio. Io non giudico chi guarda i film sul computer, se guardate un mio film sul pc e vi piace è ok. Io non ci riesco, interrompo di continuo per fare altro, ho bisogno di essere rapito dal grande schermo. Ho una visione reazionaria, forse sono troppo vecchio. Alcuni miei film sono nella libreria di Netflix, non mi hanno mai detto quante persone li vedono, è molto anonimo. So che le cose stanno cambiando, forse se mi chiamassero per produrre un mio film direi di sì, ma frequentare i festival come faccio io e incontrare le persone che amano il tuo cinema ha un prezzo".
Io vivo in mezzo ai morti, per me è una questione personale. I vivi possono far pace coi morti e smettere di avere paura, questo è il mio invito all'ottimismo
Nel frattempo Denis Côté continua a fare film caratterizzati da una chiara impronta cinefila, Ghost Town Anthology fotografa l'inverno quebecchese valorizzando la grana del 16 mm. Bandita la musica, la colonna sonora consiste dell'elaborazione digitale del cigolio di una porta mossa dal vento trovato in una banca dati sonora. Tutto è finalizzato a costruire un'atmosfera cupa e desolante che anticipa l'arrivo dei morti, ma non per questo Côté considera il suo un film pessimista: "Io vivo in mezzo ai morti, per me è una questione personale. I vivi possono far pace coi morti e smettere di avere paura, questo è il mio invito all'ottimismo".