Recensione Wheat (2009)

Il ritorno alla regia di He Ping dopo una pausa di sei anni è un wuxiapian anomalo, un'opera manifesto d'impostazione pacifista, incardinata nella tradizione filosofica cinese, con una messa in scena quasi operistica e formalmente raffinata.

Gettiamo la spada, inforchiamo la falce...

Curioso che in quest'edizione del Far East Film Festival ben due film storici, ambientati durante il periodo delle guerre tra stati cinesi, abbiano per protagonisti due contadini costretti a divenire soldati, il cui unico desiderio è però quello di tornare a coltivare il proprio raccolto. Si tratta rispettivamente della commedia kung fu Little Big Soldier con protagonista Jackie Chan e di questo film epico dal taglio autoriale, significativamente intitolato Wheat (in lingua originale il titolo suona più o meno come "campo di grano"). Sembrano insomma essere passati i tempi del wuxia propagandistico Hero, in cui ogni conflitto bellico veniva giustificato dalla parola d'ordine: "Uniti sotto lo stesso cielo". Un messaggio pacifista e conciliante sembra adesso invece insinuarsi nelle nuove produzioni battenti bandiera cinese; segno probabilmente di un più ampio mutamento anche in ambito politico. Non è opportuno, tuttavia, lanciarsi in interpretazioni troppo frettolose e dettate da fugaci impressioni festivaliere. Tanto più che Wheat non può certo considerarsi come un prodotto dell'industria cinematografica commerciale cinese, ma piuttosto come un'elaborata e personale riflessione d'autore, dal momento che il regista He Ping ha meditato ben sei anni prima di tornare dietro la macchina da presa con questo inusuale progetto dopo il precedente I guerrieri del cielo e della terra.

Wuxiapian decisamente anomalo, dunque, questo Wheat, dal momento che è del tutto privo di scene di combattimento di massa, ma si concentra piuttosto su una messa in scena quasi teatrale e operistica, che privilegia i dialoghi in interni. In particolare il film si concentra sui duetti tra i due protagonisti, due disertori dell'esercito di Quin che piombano in un villaggio dell'avverso regno di Zhao, abitato solo da donne poiché i rispettivi consorti sono stati tutti arruolati per un'estrema battaglia finale. Diviso in capitoli che rappresentano le cinque materie prime della tradizione cinese (oro, legno, acqua, fuoco e terra), il manifesto poetico di He Ping è soprattutto un'elegia alla forza vitale della natura (simboleggiata proprio dallo scintillio del grano) che è minacciata dalla violenza distruttiva dei conflitti umani, di matrice rigorosamente maschile. A questo impulso nichilista si contrappone il potere vitalistico e generativo delle donne, qui incarnate soprattutto dalla principessa Li, che è interpretata con diafana grazia dalla star Fan Bingbing.

Come in altri affreschi epici realizzati da grandi autori cinesi quali Zhang Yimou e Chen Kaige, anche l'opera di He Ping indugia in una rappresentazione estetizzante e lirica, con inquadrature formalmente ricercate, ma al tempo stesso priva della pomposità retorica e magniloquente dei blockbuster cinesi multimilionari. Il risultato è un "film manifesto", dichiaratamente a tesi e disseminato di riflessioni filosofiche, che non ha dunque niente a che spartire con le coordinate del genere epico-cavalleresco. Cosa che potrebbe spiazzare gran parte del pubblico occidentale, abituato a blockbuster come La foresta dei pugnali volanti e La battaglia dei tre regni, decisamente di ben altra impostazione.