Chi ha avuto la fortuna (o la sfortuna, se sono state fatte le domande sbagliate) di incontrare il premio Oscar Christoph Waltz sa che ha la fama di essere difficile: incurante dell' "etichetta da tour promozionale", l'attore austriaco, nonostante le indiscutibili capacità attoriali, non ha nessuna volontà di nascondere le proprie emozioni. Se una domanda non gli piace o, peggio, la ritiene banale, non ci pensa due volte a rigirarla contro l'intervistatore, cambiando ruolo e diventando quello che fa le domande, invece di rispondere. Abbiamo pensato immediatamente al Waltz essere umano nello scrivere la recensione di Georgetown, suo esordio americano alla regia.
Dopo il primo film da regista, la pellicola per la tv Wenn man sich traut, realizzata nel 2000, ci sono voluti 19 anni, e due premi Oscar come attore, per far tornare Christoph Waltz dietro la macchina da presa. In seguito per molto tempo, questo esordio americano è un'opera di cui l'interprete ha sempre parlato con una nota di rammarico, lamentandosi di come non riuscisse a realizzarla come l'aveva nella sua testa. Totalmente suo o meno, Georgetown arriva ora anche in Italia, distribuito da Vision Distribution, on demand dal 19 maggio sulle principali piattaforme di streaming (Sky Primafila Premiere, Apple TV, Chili, Google Play, Infinity, TIMVision, Rakuten Tv, The Film Club e CG Digital).
Liberamente ispirato all'articolo di Franklin Foer The Worst Marriage in Georgetown (il peggior matrimonio di Georgetown), pubblicato sul New York Times nel 2012, Georgetown è una storia che parte da un fatto di cronaca nera per trovare la sua verità. Anzi. Per trovarne diverse, tutte nella mente del protagonista: Ulrich Mott, che ci accoglie da subito, con in mano un vassoio pieno di tartine, dandosi da fare a una festa in onore di sua moglie, la 91enne Elsa Brecht (Vanessa Redgrave), scampata alla Seconda Guerra Mondiale e trasferitasi negli Stati Uniti, dove è diventata una giornalista illustre. Di quarant'anni più grande di Ulrich, in molti non capiscono il legame tra i due, su tutti Amanda (Annette Bening), la figlia di Elsa. Convinta che l'uomo stia sfruttando sua madre per via del patrimonio e dei suoi contatti, i suoi sospetti diventano certezza quando la donna viene ritrovata morta in casa, con delle ferite alla testa. Chi è stato ad assassinarla? Ma soprattutto: chi è davvero Ulrich Mott?
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Un personaggio, e un regista, in cerca di identità
Figlio di due scenografi e nipote di attori, Christoph Waltz respira teatro da diverse generazioni. Regista di opere teatrali e liriche, Waltz dimostra di trovarsi perfettamente a suo agio in interni e Georgetown è come se fosse proprio un grande palcoscenico. Muovendosi tra tavole imbandite, scale e sale di tribunale con disinvoltura, l'attore e regista fa in modo che le geometrie e gli spazi definiscano i personaggi. E forse ecco perché il suo personaggio, Ulrich Mott, è così affascinato da saloni in cui si svolgono conferenze, stanze ovali e luoghi di potere. Waltz sembra dirci che dove c'è potere ci sono persone poco equilibrate che vogliono impossessarsene.
Mott sa cosa vuole, ma non ha ben chiaro cosa vuole essere: per raggiungere il suo scopo avvicina chiunque, si mostra servile, devoto, si finge tutto ciò che il suo interlocutore vuole che sia. Diviso in capitoli, che si chiamano come i vari ruoli che il personaggio ricopre nel corso della storia (Il maggiordomo, Il marito, Il generale), Georgetown è un film alla ricerca di un'identità: un po' commedia, un po' thriller, un po' dramma. Lo stesso Mott non sa bene chi vuole essere: e proprio per questo lo vediamo muoversi freneticamente da una parte all'altra, darsi da fare, rincorrere persone, salire scale. Più le sue bugie si accumulano, più lui ci crede, più noi non sappiamo cosa pensare, cosa aspettarci, a chi credere. A differenza del Frank Abagnale Jr. interpretato da Leonardo DiCaprio in Prova a prendermi di Steven Spielberg, Ulrich è molto più instabile e meno sicuro, tanto da far vacillare lo stesso film: è la pellicola stessa che a un certo punto sembra perdersi. Non è ben chiaro se per solidarietà con lo stato mentale del suo protagonista o se per una perdita di controllo degli autori.
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Christoph Waltz è bravo, ma soffoca le sue protagoniste femminili
Tornando alla premessa iniziale, si capisce cosa abbia convinto Christoph Waltz a raccontare la storia di Ulrich Mott: nei suoi racconti la verità è sempre più diluita, il perché delle sue azioni non sono immediatamente comprensibili, la sua non è una storia scontata, che si esaurisce nel dipanarsi della trama, ma offre spunti per riflessioni, spinge a interrogarsi su cosa sia reale e cosa no, a valutare i rapporti umani e le convenzioni sociali. Questa storia dà diversi spunti per fare filosofia, proprio come piace al premio Oscar, che si diverte a renderla ancora più complicata facendo salti temporali, dividendola in capitoli, spiazzando costantemente lo spettatore.
Per dare maggior forza al personaggio di Mott sarebbe però stato saggio rendere altrettanto interessanti e sfaccettate le protagoniste femminili, a maggior ragione se a interpretarle sono due attrici splendide come Vanessa Redgrave e Annette Bening. Purtroppo però - non è chiaro se a causa della sceneggiatura del premio Pulitzer David Auburn, o della voglia straripante di Waltz di interpretare un personaggio dalle mille facce - ai personaggi di Elsa e Amanda viene concesso pochissimo spazio, non sfruttando appieno il loro potenziale.
Nonostante quindi l'ottima interpretazione di Waltz e un interessante uso degli spazi, Georgetown finisce per perdersi in labirinti di scale, che rispecchiano l'intricata mente del protagonista. Scelta voluta o incosciente? Lo stesso Waltz qui si è firmato come C. Waltz: a sottolineare che questo è un suo film soltanto per metà? Forse a dare una risposta potrebbe essere il prossimo film dell'attore e regista. Sempre che per vederlo non ci vogliano altri vent'anni.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Georgetowm, Christoph Waltz prende spunto da un fatto di cronaca per costruire un vero e proprio spettacolo teatrale: Ulrich Mott è un uomo dalle mille identità, che riesce a farsi notare da Elsa Brecht, nota giornalista di quarant’anni più grande di lui. Diventato suo marito, Ulrich sfrutta i contatti e la ricchezza di Elsa per farsi strada, sotto gli occhi severi di Amanda, la figlia della donna. Quando viene uccisa, tutti sono convinti che sia stato lui, Amanda per prima. Facendo proprio il titolo dell’opera di Pirandello Uno, nessuno e centomila, Waltz si diverte nell’interpretare un personaggio dalle mille facce e identità, ma nel farlo perde di vista il filo della storia e soprattutto lascia poco spazio alle sue co-protagoniste, le magnifiche Vanessa Redgrave e Annette Bening.
Perché ci piace
- Christoph Waltz si diverte nell’interpretare un personaggio dalle mille facce.
- C’è un uso sapiente e interessante dello spazio.
- Vanessa Redgreve e Annette Bening sono magnifiche…
Cosa non va
- …ma Waltz lascia loro poco spazio, imponendosi sulla scena.
- Tra le tante verità presentate, è il filo del film che sembra perdersi più ci si avvicina al finale.