Il progetto Genius di National Geographic si è sempre fatto forza sulla propria identità antologica, come altre serie negli ultimi anni, grazie alla quale può tornare "in vita" anche a parecchi anni di distanza con un nuovo ciclo di episodi. Così, dopo Albert Einstein, Pablo Picasso e Aretha Franklin, avendo quindi abbracciato la fisica, la pittura-scultura e la musica, tocca alla Storia con la S maiuscola e ai diritti dei neri farla da padroni nella quarta stagione. Purtroppo quello che ne esce è qualcosa di fin troppo classico come spiegheremo nella recensione di Genius: MLK/X, la quarta stagione della serie antologica dal 13 marzo su Disney+.
Trama doppia
Per la prima volta Genius sceglie di mettere al centro della trama non una ma due figure storiche che hanno avuto il merito di cambiare il corso degli eventi. Genius: MLK/X è infatti interpretata da Kelvin Harrison Jr. (Il processo ai Chicago 7) nei panni del Dott. Martin Luther King Jr., Aaron Pierre (La ferrovia sotterranea) in quelli di Malcolm X, le cui strade si incroceranno per via della loro battaglia per i diritti umani. Accanto a loro le rispettive compagne, fondamentali per la loro ascesa: Weruche Opia (I May Destroy You) che è Coretta Scott King e Jayme Lawson (The Batman) che diventa Betty Shabazz.
Tra gli interpreti della stagione impossibile non citare l'attore Premio Emmy Ron Cephas Jones (This is Us) in uno degli ultimi ruoli prima della morte. La serie, ancora una volta a metà strada tra documentario con immagini di repertorio e finzione vera e propria (ma tendendo più su questa seconda impronta), parte dallo storico incontro tra i due uomini e dalla loro stretta di mano documentata da telecamere e giornalisti per tornare indietro alle rispettive infanzie e adolescenze, per provare a capire come sono diventati questi due geni iconici, pur partendo da background molto diversi ma avendo abilità oratorie simili e finendo per usarle per "la propria gente".
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Doppio sguardo
Gli otto episodi di Genius: MLK/X si muovono quindi continuamente e parallelamente su due binari rispetto alle precedenti stagioni: gli anni della formazione di Martin Jr. (che inizialmente si chiamava Michael e cambiò per una decisione del padre e non propria) e Malcolm, influenzati proprio dai genitori e da un mondo pieno di ingiustizie, che volevano provare a migliorare, trasformandosi proprio in quel cambiamento che desideravano così tanto vedere attorno a loro. Due personaggi in un certo senso complementari, questo forse vogliono dirci la scrittura un po' troppo verbosa di Jeff Stetson (The Meeting) e degli showrunner Raphael Jackson Jr. e Damione Macedon e la regia poco dinamica di Channing Godfrey Peoples (Miss Juneteenth). I due simboli per la comunità black non potevano non compiere un proprio percorso in solitaria per poi andare ad unirsi nella lotta per i diritti dei neri in un'America caratterizzata della segregazione razziale nelle proprie Leggi costituzionali. Una delle pagine più buie degli Stati Uniti, che è sempre bene non dimenticare, e che per questo piacerà soprattutto oltreoceano.
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Tutti per Martin, uno per Malcolm
Prodotta da Ron Howard insieme a Brian Grazer e Kristen Zolner, la serie gioca coi flashback, provando a mostrare anche tutte le persone fondamentali per la formazione dei due personaggi titolari. Da un lato i genitori già citati, dall'altro amici e compagni di classe, bulli o meno, fino alle due future mogli, Coretta e Betty, a loro volta diverse e contrapposte eppure complementari, e anche loro presenti nella sequenza iniziale di preparazione al primo incontro dei loro consorti, per poi tornare indietro nel tempo. Quello che vuole provare ad offrire il serial però (non riuscendoci appieno) non è un ritratto solamente politico e storico, bensì anche intimo e personale di Martin Luther King e Malcolm X: loro due sono anche mariti, padri, fratelli e figli, proprio come le loro mogli, madri, sorelle e figlie. Due visionari che hanno guidato un movimento di impatto mondiale, non limitato solamente al territorio statunitense, e le cui conseguenze risuonano ancora oggi, qualsiasi colore della pelle abbiamo, in un'epica senza tempo che la serie riesce a restituire. Peccato lo faccia con meno pathos e coinvolgimento emotivo di quanto avrebbe voluto e potuto, finendo per cadere nella retorica e nella cronologia temporale più classica.
Conclusioni
Abbiamo parlato di un doppio punto di vista nella recensione di Genius: MLK/X perché per la prima volta la serie National Geographic sceglie di mettere al centro non uno ma due geni storici. Buono l’intento ma meno la costruzione, pomposa e prolissa, troppo classica e cronologica, ma meritevoli il casting e le interpretazioni dei protagonisti. Una serie più da premi per le tematiche affrontate, tristemente attuali, che da consenso di pubblico per l’impatto pop delle precedenti stagioni.
Perché ci piace
- Kelvin Harrison Jr. e Aaron Pierre ma anche Weruche Opia e Jayme Lawson, oltre al compianto Ron Cephas Jones.
- Il doppio sguardo sulla vicenda storica della lotta per i diritti umani dei neri.
Cosa non va
- L’eccessiva canonicità del biopic.
- Scrittura e regia mancano di mordente.