Apple TV+ è garanzia di qualità ma tutti possono sbagliare, anche i migliori. Magari non sbagliare del tutto a livello produttivo e di intenti, ma in termini di resa finale, più "soporifera" che avvincente, purtroppo sì. Ne parliamo nella recensione di Franklin, la miniserie con Michael Douglas (anche produttore) grazie alla quale il servizio streaming della Casa di Cupertino dopo la caccia all'uomo che ha caratterizzato l'assassinio di Abraham Lincoln in Manhunt, poche settimane dopo va ad abbracciare l'origin story degli Stati Uniti d'America attraverso uno dei suoi Padri Fondatori, Benjamin Franklin.
Non è la prima volta dell'attore in tv o in streaming: aveva iniziato con la serie Le strade di San Francisco dal 1972 al 1976 per poi tornarci nel 2014 con il film TV HBO Dietro i candelabri insieme a Matt Damon diretti da Steven Soderbergh in cui interpretava il celebre pianista Liberace, ruolo grazie al quale vinse Emmy e Golden Globe. E ancora nel 2018 su Netflix come co-protagonista de Il metodo Kominsky accanto al compianto Alan Arkin dalla penna di Chuck Lorre. Ruoli scelti quindi con cura in cui credeva molto essendo anche produttore: lo stesso accade in Franklin, che continua l'iter recente di Apple TV+ di dedicarsi alle miniserie limitate con grandi nomi coinvolti piuttosto che a storie di più ampio respiro e in più stagioni; purtroppo però il risultato è meno frizzante dei precedenti.
Il mio nome è Franklin, Benjamin Franklin
Dal 12 aprile con appuntamento settimanale su Apple TV+ Michael Douglas diviene quindi Benjamin Franklin, in una storia che si basa sul libro di Stacy Schiff, vincitrice del premio Pulitzer, A Great Improvisation: Franklin, France, and the Birth of America per raccontare la più grande scommessa della sua carriera. La trama della miniserie parte dal dicembre del 1776, quando Franklin reduce dalla fama per l'elettricità in giro per il mondo, si recò segretamente in Francia per cercare un potente e prezioso alleato in modo da poter andare contro gli Inglesi, mentre il destino dell'indipendenza americana era in bilico.
Diplomatici e storici considerano quegli otto anni passati in territorio francese un unicum nella storia degli Stati Uniti: Franklin infatti dimostrò, pur senza alcuna formazione diplomatica, di saper superare tanti ostacoli ed equilibri precari, spie ed informatori, grazie a carisma ed ingegno, due qualità che certamente non gli mancavano, per arrivare ad un fondamentale compromesso. Fu proprio grazie al suo adoperarsi che si attuò l'alleanza franco-americana nel 1778 e il trattato di pace con l'Inghilterra nel 1783, oltre che rivelarsi l'unico modo per vincere la Rivoluzione. Affidarsi ad una monarchia per fermarne un'altra: un'idea apparentemente folle e suicida che invece si rivelò cruciale e decisiva, dimostrando lungimiranza e talento diplomatico.
Un abile stratega
Franklin viene dalla penna di Kirk Ellis, che già aveva firmato il John Adams di HBO con Paul Giamatti dimostrando la propria affezione per l'origin story degli Stati Uniti, e Howard Korder (Boardwalk Empire). Una miniserie con ogni elemento al proprio posto eppure forse proprio per questo il risultato finale non riesce a tenere incollato lo spettatore. Colpa degli episodi eccessivamente lunghi e dello sviluppo compassato, che non si fa forza di silenzi e trovate registiche ma piuttosto rimane impigliato nei costumi e nelle parrucche francesi tipiche dell'epoca, scomode e pompose, faticose e pesanti, proprio come il ritmo narrativo attraverso cui seguire la serie.
Ad affascinare è la strategia di Benjamin Franklin, che Michael Douglas riesce a trasporre con tatto e sentimento, ma manca l'approfondimento degli altri personaggi, a partire dal nipote Temple (Noah Jupe, già visto in Wonder e come bambino protagonista in A Quiet Place e The Undoing) oppure nel possibile alleato Comte de Vergennes (Thibault de Montalembert alias Mathias di Chiami il mio agente!). Sono loro due le sorprese più interessanti del cast ma faticano a trovare spazio in un prodotto così profondamente storico e a proprio modo storiografico - pur se romanzato. Non mancano altri personaggi storici, come lo stesso John Adams (Eddie Marsan), altro Padre Fondatore e secondo Presidente degli Stati Uniti, che in questo caso è quasi un rivale di Franklin, che fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote nella sua ricerca di pace, perché non si fida né dei francesi né degli inglesi. O gli interessi amorosi degli uomini protagonisti, come Madame Brillon (Ludivine Sagnier) e Madame Helvetiusche (Jeanne Balibar), che non riescono ad attecchire come vorrebbero.
Nulla si può dire invece sulla ricostruzione storica di costumi e scenografie, per far viaggiare lo spettatore nell'immensità di Versailles attraverso la regia di Tim Van Patten, e allo stesso tempo nella follia che regnava a Corte, anche a livello di "salto di carriera" che prova a fare Temple, con una riflessione sottesa tra monarchia e democrazia che ha delle risonanze ancora oggi fin dall'altra parte dell'oceano, toccandoci direttamente.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Franklin chiedendoci perché Apple TV+ insista a proporre queste miniserie storiche che vogliono provare a ricollegarsi all’attualità ma non sempre ci riescono. Se in Manhunt un period drama diventata un true crime, in questo caso ci si vuole concentrare sull’analisi della strategia adottata da Benjamin Franklin, che però non riesce a bucare lo schermo, nonostante il carisma di Michael Douglas. Troppo minutaggio e troppi personaggi (inutili) a cui stare dietro, non approfonditi a dovere.
Perché ci piace
- Michael Douglas.
- Le strategie di Benjamin Franklin che risuonano ancora oggi.
- La riflessione tra le righe su monarchia e democrazia.
Cosa non va
- Thibault de Montalembert e Noah Jupe non riescono a reggere altrettanto bene il peso della serie, così come le interpreti femminili.
- La pomposità della messa in scena legata al genere period drama.