Le cicatrici di un attore non si rimarginano mai veramente, non se hai una certa sensibilità. Con una buona tecnica, un attore può fare questo e vivere la propria vita senza impazzire.
E le cicatrici, il lascito delle sofferenze a cui ciascuno di noi va incontro, sono state una componente essenziale nel rendere Frances McDormand una delle più dotate attrici della sua generazione. In quasi tutti i suoi personaggi, che si trattasse di film più realistici o al contrario di pellicole farsesche e sopra le righe, la McDormand ha adoperato tali cicatrici per mostrarne gli aspetti più umani e vulnerabili, ma anche - ed è una caratteristica ricorrente nei ruoli da lei interpretati - la determinazione e la forza d'animo che permettono loro di superare il dolore e continuare a combattere.
Un esempio emblematico è costituito dalla prova offerta dall'attrice in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, da oggi nelle sale italiane dopo gli applausi raccolti allo scorso Festival di Venezia e la vittoria di quattro Golden Globe, tra cui miglior film: un copione scritto apposta per lei dal regista e sceneggiatore inglese Martin McDonagh, ma che la McDormand ha accettato solo in un secondo tempo, dopo aver superato le perplessità legate all'età del proprio personaggio (si sentiva infatti troppo matura per incarnare la madre di due adolescenti). Per fortuna la nostra Frances ha cambiato idea, potendo così dar vita a uno dei ruoli più belli che si potessero immaginare per lei; e a sessant'anni (li ha compiuti lo scorso 23 giugno), in barba all'ageismo di Hollywood, sta vivendo uno dei suoi momenti professionalmente più felici di sempre, tanto da puntare addirittura all'Oscar...
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Dai fratelli Coen a Ebbing, Missouri: il percorso di un'antidiva da Oscar
Le nomination per la novantesima edizione degli Academy Award saranno annunciate solo il 23 gennaio, ma Frances McDormand ha già prenotato con larghissimo anticipo una candidatura come miglior attrice (la quinta della sua carriera, e la seconda nella categoria delle protagoniste), dopo essersi aggiudicata il suo primo Golden Globe. E mentre Tre manifesti a Ebbing, Missouri continua ad imporsi fra i maggiori successi del cinema indipendente della stagione, con ventotto milioni di dollari già registrati al box office americano (cifra destinate ad aumentare grazie all'imminente "effetto Oscar"), oggi celebriamo la sua splendida protagonista ripercorrendone il fortunato percorso professionale. Un percorso iniziato nel 1984, nei panni di una moglie fedifraga alle prese con un marito vendicativo e con un killer professionista in Blood Simple - Sangue facile: un neo-noir a tinte pulp che, oltre all'esordio dell'attrice (già bravissima), ha segnato anche quello da regista di suo marito Joel Coen, autore del film in coppia con il fratello Ethan Coen.
Dopo Blood Simple e un ruolo minore nel secondo lavoro dei fratelli Coen, Arizona Junior, Frances McDormand comincia a riscuotere i meritati riconoscimenti: nel 1988 ottiene la sua prima nomination all'Oscar interpretando la moglie dello sceriffo di una cittadina di provincia affetta dalla piaga del Ku Klux Klan in Mississippi Burning, acclamato dramma sul razzismo per la regia di Alan Parker; nel 1990 è la protagonista del thriller politico L'agenda nascosta di Ken Loach, incentrato sui Troubles nell'Irlanda del Nord, e affianca Liam Neeson nel cinecomic Darkman, diretto da Sam Raimi; nel 1993 prende parte all'immenso cast corale di uno dei massimi capolavori di Robert Altman, America oggi.
Ma è solo nel 1996 che quest'antidiva per eccellenza, insofferente ai red carpet e agli eventi mondani dello show business, si ritrova di colpo elevata al rango di star hollywoodiana: grazie (o per colpa) del marito Joel, che la dirige in un instant classic come Fargo e le consente di aggiudicarsi l'Oscar come miglior attrice.
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E da una filmografia che, da allora, si è arricchita di altri personaggi memorabili, come la moglie alcolizzata del barbiere Billy Bob Thornton nel noir coeniano L'uomo che non c'era (2001), la disinibita produttrice discografica di Laurel Canyon di Lisa Cholodenko (2002) e l'operaia di un'industria mineraria nel drammatico North Country - Storia di Josey di Niki Caro (2005), abbiamo selezionato in particolare cinque performance in cui la McDormand ha avuto modo di mettere in mostra i diversi lati del proprio talento: cinque grandi ruoli che hanno contribuito a fare di lei un'attrice unica e irresistibile...
5. Burn After Reading - A prova di spia
A costituire la prova più evidente delle formidabili doti di di Frances McDormand come attrice brillante, non sempre riconosciute come dovrebbero, basterebbe la sua partecipazione a Burn After Reading, deliziosa black comedy dei fratelli Coen del 2008, incentrata attorno a un misterioso CD che potrebbe contenere preziosi segreti governativi. Nei panni dell'intraprendente Linda Litzke, collega del bislacco personal trainer Chad Feldheimer (Brad Pitt) e sua complice in un goffo tentativo di vendere il disco al Governo russo, la McDormand sfodera tempi comici impeccabili e azzecca il registro di recitazione più adatto allo stile narrativo dei Coen, unendo la pragmatica determinazione del personaggio con le insicurezze sul suo aspetto fisico.
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4. Quasi famosi
Nel meraviglioso cult di Cameron Crowe del 2000, la storia di ispirazione autobiografica di un ragazzo appassionato di musica che, nell'America del 1973, accompagna in tour una band emergente, gli Stillwater, per realizzare un articolo per la rivista Rolling Stone, Frances McDormand interpreta una delle figure chiave del film: Elaine Miller, madre conservatrice e iperprotettiva del protagonista, il quindicenne William (Patrick Fugit). E la McDormand, che per Quasi famosi ha ricevuto la nomination all'Oscar come miglior attrice supporter, è ammirevole per come riesce a non ingabbiare l'eccentrica Elaine negli stereotipi della "mamma opprimente", conferendole invece credibilità e spessore: che si tratti di sfoderare un'inflessibile severità nei confronti dei figli o, nel corso di uno strepitoso monologo al telefono con la rockstar Russell Hammond (Billy Crudup), di rivendicare con orgogliosa fermezza l'amore per il suo William.
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3. Fargo
È la parte a cui, da oltre vent'anni, Frances McDormand ha legato maggiormente la propria immagine, nel film che nel 1996 ha sancito la sua consacrazione e le è valso il premio Oscar come miglior attrice e lo Screen Actors Guild Award: Fargo, thriller di Joel Coen virato nell'inconfondibile chiave grottesca dei due fratelli cineasti, e di recente anche fonte d'ispirazione dell'omonima serie TV. In questa macabra vicenda di piani criminali, raggiri, sequestri e omicidi, la McDormand si inserisce nel racconto come un'improbabile ma solare eroina: la serafica Marge Gunderson, capo della polizia della cittadina di Brainerd, in Minnesota, impegnata - a dispetto di una gravidanza in fase avanzata - a seguire le tracce di una coppia di rapitori e assassini. Con il suo atteggiamento sereno e paziente dietro cui si cela una grande tenacia, la Marge di Frances McDormand si impone come un insolito personaggio da commedia all'interno di un atipico poliziesco dalle sfumature pulp.
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2. Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Quello di Mildred Hayes, una madre devastata dall'assassinio della figlia Angela e disposta a ricorrere a estremi rimedi pur di mettere la polizia di fronte alle sue responsabilità e far riaprire l'indagine sul caso, è un ruolo in cui Frances McDormand appare semplicemente perfetta. In fondo, Mildred potrebbe essere definita come una sorta di greatest hits delle doti attoriali di Frances: dalla grinta incrollabile alla loquacità sfrontata e a tratti scurrile (si vedano gli impagabili scambi di battute con gli agenti di polizia o la furiosa invettiva all'indirizzo del sacerdote); dalla fragilità abilmente nascosta dietro una 'corazza' esteriore a quel sentimento di comprensione in grado di frenare la rabbia. E non c'è dubbio che Tre manifesti a Ebbing, Missouri, per il quale ha vinto il Golden Globe e si prepara a tornare in lizza per l'Oscar, occuperà d'ora in poi un posto di assoluto rilievo nella sua filmografia.
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1. Olive Kitteridge
Se Marge Gunderson e Mildred Hayes hanno conquistato l'attenzione di critica e pubblico, bisogna però ammettere che nessun personaggio ha consentito a Frances McDormand di mostrare una tale varietà di sfumature come quella sfoderata dall'attrice di Chicago pochi anni fa, nel 2014, nella miniserie televisiva Olive Kitteridge. Diretto per la HBO da Lisa Cholodenko (che aveva già lavorato con lei in Laurel Canyon), questo adattamento del romanzo di Elizabeth Strout, anche in virtù della durata di quattro ore, ha regalato alla McDormand una parte davvero magnifica: Olive Kitteridge, ex insegnante di mezza età di una cittadina di provincia del Maine, legata da un freddo ménage al benevolo Henry (Richard Jenkins) e turbata da segreti desideri e frustrazioni logoranti, è una figura incredibilmente sfaccettata e complessa. E l'attrice, ricompensata con l'Emmy Award e lo Screen Actors Guild Award per la sua performance, ne consegna un ritratto indimenticabile, mettendo in luce tanto la lucida e spregiudicata misantropia di Olive, quanto la sua sommessa sofferenza e la sua tormentata sensibilità.