France, la recensione: in diretta dall’infelicità

La recensione di France: in concorso a Cannes 2021, Bruno Dumont sfiora la satira cinica, ma si sofferma con stucchevole morbosità sul triste destino di una donna in piena crisi d'identità.

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France: Léa Seydoux in un'immagine del film

Domande pruriginose, telecamere che insistono sul dolore, sensazionalismo alla ricerca di storie appassionanti da spiattellare in prima pagina o in prima serata. Se apriamo questa recensione di France rievocando il peggior giornalismo possibile è perché nel film di Bruno Dumont ne subiamo le conseguenze. Anzi, ne raccogliamo i cocci. La triste storia della sua giornalista-star è l'inevitabile risultato di una fabbrica mediatica bulimica, che prima si nutre di fama e poi rigurgita senza pietà. Per rendere questo discorso più universale possibile, Dumont chiama la sua protagonista France. Una donna volto di una nazione intera. Una scelta emblematica dell'approccio tracotante di un regista caduto negli stessi peccati del cattivo giornalismo. France, infatti, si sofferma con stucchevole morbosità sull'infelicità di una donna in piena crisi. Nel farlo Dumont si avvinghia alla sua isteria spolpandola fino all'osso, sfruttando ogni lacrima dall'inizio alla fine. E allora ecco che un cinema che si dimentica della sua regola d'oro ("show, dont'tell") per dire tutto e mostrare troppo.

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France: Léa Seydoux in un momento del film

Crisi in prima serata

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France: Léa Seydoux in una sequenza del film

Una donna grande quando una nazione, dicevamo. Sì, perché la "copertura mediatica" della bella France de Meurs non conosce confini. Più di una semplice giornalista, la valente anchorwoman è diventata una star da copertina con tanto di paparazzi e colleghi con il fiato sul collo. Guai a pensare che la valente France non si sporchi le mani, perché sa gestire il suo personaggio con estrema furbizia, lavorando anche come inviata da fronti bellici in cui si dimostra abile burattinaia di servizi a effetto. Però basta lasciarsi alle spalle la gloria lavorativa e aprire la porta di casa per accorgersi del grande vuoto al centro del suo palcoscenico. Un appartamento enorme simile a un freddo museo, un marito distratto, un figlio distante. E poi il colpo di grazia: France investe per caso un motociclista, causandogli un lieve infortunio. In apparenza un fatto futile, ma una piccola scossa può diventare letale quando ci sono già tante crepe. Parte da qui l'inarrestabile effetto domino di France, mostrando quanta fragilità e quanta insicurezza si nascondano dietro una patina di perfezione. Nella prima metà del film affronta il tema con un registro abbastanza chiaro, ovvero con un piglio satirico nei confronti di una protagonista (e del sistema che alimenta) guardata con sospetto. Peccato che questo tono col passare dei minuti si perda del tutto, mettendo al centro un dramma sempre più crescente, grottesco e squilibrato. Ovvero quando France diventa molto più grande della sua nazione, e sconfina in territori in cui non è decisamente la benvenuta.

Cannes 2021: Lea Seydoux raggiunge il punto di rottura nel trailer di France, di Bruno Dumont

Don't cry for me, France

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France: Léa Seydoux in un'immagine

Non le cause ma le conseguenze. È questo il vero interesse di Bruno Dumont nei confronti di una retorica e di un cinismo mediatico onnipresente nel mondo Occidentale. Un approccio gelido che si ripercuote anche nella sfera affettiva di questa donna-iceberg amata da tutti e innamorata solo di sé stessa. Un amore effimero che non risparmia nemmeno la stella da dinamiche familiari allo star system. Perché al pubblico piace sempre veder cadere chi è più in alto di loro, puntare il dito, indignarsi, voltare le spalle a chi prima idolatrava. Dispiace che in questo ritratto di infelicità femminile (che incarna i mali di un mondo più grande di lei), Dumont perda il controllo. La seconda parte del film sembra aver finito le idee e spalmare all'infinito lo stesso concetto sovraccaricando il tutto con lacrime melense, primi piani insistiti e una scrittura troppo didascalica, che sottolinea di continuo cose che erano chiare sin dall'inizio del film. Vittima sacrificale di questo deragliamento è la stessa Seydoux, messa in difficoltà da una sceneggiatura ridondante e da una regia che vuole spulciarne ogni centimetro di volto. Evidente che Dumont, a un certo punto, abbia voluto parodiare quel giornalismo becero con un cinema altrettanto sciatto, ma non è una giustificazione valida per salvare un film che cade senza rialzarsi più.

Conclusioni

Nella recensione di France vi abbiamo raccontato lo schizofrenico film di Bruno Dumont presentato in concorso a Cannes 2021. Un'opera spezzata in due: nella prima parte orchestra un'efficace satira del sistema mediatico occidentale, ma nella seconda sembra aver smarrito le idee e puntare tutto su un tono sopra le righe fuori controllo. Peccato per una volenterosa Léa Seydoux messa in difficoltà da una sceneggiatura didascalica e da una regia alla perenne ricerca della lacrima facile. Proprio come il peggior giornalismo.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.6/5

Perché ci piace

  • Il cinismo quasi cattivo della prima parte del film coinvolge e diverte.
  • L'approccio metanarrativo con il cinema che imita il cattivo giornalismo è intrigante...

Cosa non va

  • ...ma si rivela un boomerang che si ritorce contro il film stesso.
  • La scrittura è davvero troppo didascalica.
  • Léa Seydoux è messa in difficoltà da una regia poco ispirata.