Fleabag: la bomba che è impossibile disinnescare

Fleabag, la serie scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, arrivata alla sua seconda e ultima stagione, è stato un plebiscito di consensi: cerchiamo di capire cos'ha di speciale

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Fleabag: Phoebe Waller-Bridge in una sequenza della seconda stagione

Siccome Fleabag non ha niente di ordinario, allineato e prevedibile (sostanzialmente, non è mai noiosa) per parlarne bisogna fare un attento esercizio di epurazione, ed eliminare le facili catalogazioni. E quindi qui non leggerete che la seconda stagione della storia del "sacco di pulci" e del mondo che la circonda è la miglior serie femminista del 2019. Potreste rintracciare tra le righe, casomai, l'idea che Fleabag 2 sia la miglior serie (almeno) del 2019, ma, anche in questo caso sarebbe una schedatura troppo arbitraria, e Fleabag non lo merita. Non se lo merita certamente Phoebe Waller-Bridge, che possiede un talento talmente radioso, che quando si guarda qualcosa di suo si prova quella rara sensazione di assistere al miracolo del genio che si compie esattamente nel modo in cui le stelle hanno deciso si compisse, come quando Federer fa una palla corta, Franzen scrive qualcosa o Kubrick girava un film.

La bomba Fleabag

Fleabag è una bomba la cui deflagrazione è impossibile da fermare. Non è stato possibile a teatro, dove quest'opera, nata come monologo e portata in scena dalla stessa Phoebe Waller-Bridge, ha vinto illustri premi, ed è stata più che mai inarrestabile in televisione, dove alla figura iper-carismatica di Waller-Bridge nel doppio ruolo di autrice e protagonista, si è aggiunto un cast che, oltre all'eccellente capacità recitativa in sé (c'è per esempio Olivia Colman, Oscar 2019 come miglior attrice) ha saputo calarsi esattamente in un certo mood. Non è solo il lavoro recitativo, ma soprattutto quello psicologico di aderenza all'immaginario di Phoebe Waller-Bridge, sforzo che peraltro è stato vicendevole, perché la stessa Waller-Bridge ha ammesso che, per esempio, il ruolo della "matrigna" è stato fortemente rivisto rispetto alle idee iniziali, quando Olivia Colman ha espresso la sua volontà di entrare a far parte del progetto Fleabag.

Fleabag: una serie come nessun'altra

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Fleabag: Andrew Scott in una scena della seconda stagione

Ma in cosa Fleabag è diverso da tutto quello che si vede? Per come è scritta, innanzitutto. Phoebe Waller-Bridge è sopra ogni cosa una sceneggiatrice, e Fleabag è pieno di parole. Fitte, crude, divertenti e drammatiche, parole che escono anche quando la protagonista non vorrebbe. In una riunione di quaccheri dove non è permesso parlare se non quando lo Spirito ti spinge a farlo (il che è definito dalla protagonista come "un'esperienza molto erotica"), per esempio, Fleabag si alza in piedi e dice: "a volte temo che non sarei così femminista se avessi le tette più grosse". E fa ridere, moltissimo, ma è evidente già dal primo istintivo momento di risata, che non si sta ridendo e basta. Si sta ridendo e si sta ascoltando l'ironica testimonianza direttamente da una trincea di vita quotidiana, dove la battaglia inizia dalla nostra testa e dal dissidio provocato dal divario tra ciò che reputiamo essere i nostri valori, e la vita, che questi valori spesso mette alla prova.

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Fleabag: Olivia Colman in una scena della seconda stagione

Il fatto poi che tutto nasca da una sola figura, rende il prodotto di un'omogeneità altrove impensabile, ancor prima che introvabile. E così tutto diventa estremamente funzionale, anche la rottura della quarta parete, ovvero la più facile trappola acchiappa-vezzi, il passaggio in cui molto spesso si cade nell'esibizione ammiccante della propria bravura (House of Cards, non ce ne volere se stiamo pensando a te) in Fleabag diventa un espediente strettamente narrativo: quando ci guarda negli occhi, Fleabag molto spesso ci anticipa cosa sta per succedere, favorendo la comprensione di quanto avverrà, ma soprattutto mostrandoci il grado di consapevolezza che ha della realtà in cui vive, che è superiore, e per questo doloroso e tormentato.
E proprio qui sta l'apice del contrasto e quindi della drammaticità: Fleabag sa decifrare le persone che le stanno intorno molto meglio di quanto non faccia con se stessa e, così, sa cosa è meglio per gli altri, ma non per se stessa.

La fenomenale Phoebe Waller-Bridge

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Fleabag: Phoebe Waller-Bridge e Brett Gelman in una scena della seconda stagione

Fleabag 2 è anche il certificato della differenza che fa avere o meno Phoebe Waller-Bridge dalla propria parte. La britannica aveva sceneggiato per BBC America la prima stagione di Killing Eve. Risultato: Sandra Oh miglior attrice ai Golden Globes 2019, miglior serie drammatica, miglior attrice protagonista (Jodie Comer) e miglior attrice non protagonista (Fiona Shaw) ai Bafta 2019. Il caso ha voluto che le seconde stagioni di entrambe le serie siano uscite praticamente in contemporanea, con il secondo capitolo di Killing Eve che è stato sceneggiato da Emerald Fennell. Ebbene, seppure il sentiero tracciato da Waller-Bridge sia evidentemente rimasto quello di riferimento, con ironia e gioco psicologico tra le due protagoniste che rimangono le due linee guida principali, con il procedere delle puntate la retta via è stata persa, e la serie ha sofferto di un appiattimento di cui ne ha fatto le spese immediate Eve, il personaggio di Sandra Oh, espropriato della propria natura e spinto verso forzature poco credibili e, infine, anche Villanelle (Jodie Comer) una delle figure più interessanti nella serialità degli ultimi anni, ridotto a una repentina bidimensionalità. Al di là dell'ironia di Waller-Bridge, che è talmente unica e sofisticata da non poter imputare una colpa a chi non sa replicarla, la vera falla sta nella costruzione dei rapporti, perché nella prima stagione le dinamiche relazionali Eve-Villanelle erano qualcosa di assolutamente inedito, nella seconda sembrano rispondere a evoluzioni già codificate e abusate, e dissipare una così preziosa eredità fa gridare vendetta. In Fleabag 2 ogni personaggio cresce. Non che diventi necessariamente migliore, ma affronta un percorso in ogni caso coerente alla sua natura, anche quando imbocca strade inaspettate: può succedere l'assurdo in Fleabag, ma ci si crede sempre.

Fleabag 2: il finale perfetto

Fleabag 2 è anche la season finale, non ce ne sarà una terza. E allora le considerazioni da fare sono più ampie, e riguardano anche la capacità e il coraggio di chiudere le cose non chiudendole, la forza di lasciare l'amaro in bocca allo spettatore quando serve, ma l'accortezza di salutarsi con un sorriso, da cui pure non si può prescindere. C'è una motivazione molto precisa per cui le ultime stagioni raramente convincono. Perché, proprio come in quella che doveva essere l'ultima puntata della meta-fiction Gli occhi del cuore (episodio che capita nell'ultima puntata della prima stagione di Boris), nei finali, sembra che tutto debba necessariamente chiudersi: sorrisi rassicuranti, linee narrative che trovano un compimento, sotto-trame che si completano, in sostanza, ogni cosa, in un modo o nell'altro, raggiunge una sua sistemazione.

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Fleabag: Phoebe Waller-Bridge durante una scena della seconda stagione

Fleabag 2 segue i protagonisti in quello che è un passaggio della loro vita, che come tale può essere particolarmente significativo, ma non determinativo. Perché, lo sappiamo, lo avvertiamo, Fleabag si sveglierà il giorno dopo la fine dell'episodio con lo stesso dolore con cui si è svegliata la mattina del primo, solo mirato da un'altra parte. E noi (suoi estremi sostenitori) speriamo con un grado di consapevolezza in più, ma non ne possiamo essere sicuri. Ed è questo che Fleabag 2, che inizia con una riunione di famiglia proprio in un ristorante: ci fa alzare da tavola con ancora un po' di fame, pur sapendo di non aver mai mangiato così bene.