Da settant'anni Filumena Marturano domina l'immaginario collettivo di un intero paese: un'eroina resa celebre dall'intramontabile battuta "E ffigli so' ffigli. E so' tutte eguali" e dalle attrici che in oltre mezzo secolo le hanno dato vita, da Titina De Filippo per cui il fratello Edoardo l'aveva scritta nel 1946 a Sophia Loren nella versione cinematografica di Vittorio De Sica, Matrimonio all'italiana, a Regina Bianchi nell'adattamento televisivo del 1962, a Mariangela Melato in quella più recente del 2010. Oggi la commedia eduardiana forse meno critica nei confronti della famiglia, che per De Filippo fu sempre luogo di rancori e cinismo, torna a vivere in tv: questa volta tocca al regista di Imma Tataranni - Sostituto procuratore, Francesco Amato, raccogliere la pesante eredità e condividerne l'onore e la responsabilità con una coppia di attori che conosce bene, Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo, interpreti della celebre serie Rai. La sua Filumena Marturano, in onda dal 20 dicembre su Raiuno, fa parte dell'ambizioso progetto "Collection De Filippo" che negli scorsi anni ha già portato sulla stessa rete Natale in Casa Cupiello e Sabato, Domenica e Lunedì.
La tenerezza di Filumena Marturano
Il testo eduardiano resta il cuore pulsante di questo nuovo adattamento di Filumena Marturano ma è soprattutto la trasposizione cinematografica del 1951, diretta e interpretata dallo stesso Eduardo De Filippo, ad avere guidato Francesco Amato, che ha scavato tra le righe "per scorporare l'impostazione teatrale e intercettare un linguaggio cinematografico e televisivo che tenesse conto della possibilità di trovare elementi di contemporaneità", ci spiega: "L'abbiamo trovata facendo riferimento a tutto quell' immaginario che sta attorno a Domenico Soriano". La versione di Amato esalta il melodramma a cui questa volta De Filippo si abbandona, al centro_ "una grande storia d'amore e di dipendenza affettiva" che riunisce la coppia di _Imma Tataranni, Valeria Scalera e Massimiliano Gallo. Sono i loro sguardi e i loro silenzi a dettare i ritmi del film, ponendo l'accento sulla tenerezza e la fragilità umana.
"Abbiamo lavorato sul perdono, se inizi a perdonarti in tarda età, 48 anni, quella di Filumena, il perdono porta alla tenerezza. In particolare perdonare se stessi, perché Domenico e Filumena sono due esseri umani che hanno fallito per buona parte della loro vita, in un rapporto di coppia a tratti anche aggressivo, che si guardano e si perdonano", dice Scalera. La scena che hanno amato di più? "Quella del litigio post finta morte di Filumena - rivela Gallo - abbiamo fatto un take molto lungo per mantenere la rabbia di un non detto di venticinque anni". "Volevamo raccontare le fragilità di questi personaggi, scavando nel testo abbiamo trovato tantissimi significati e aspetti di grandissima attualità. Una di queste era la fragilità dell'essere umano, l'essere fallibili - continua Gallo - Filumena è un personaggio di incredibile modernità, e il fatto che Eduardo abbia descritto il femminile in questo modo è tanta roba". Insieme costruiscono interpretazioni efficaci e credibili, complice un lungo e minuzioso lavoro di prove, "arrivavamo sul set e sapevamo già come muoverci".
Filumena Marturano, la recensione: Tenerezza, perdono e fragilità umane
Il confronto con il passato
Ma all'inizio Vanessa Scalera non nega di aver avuto qualche timore: "L'aspettativa era alta, il ruolo era enorme ed era stata interpretato dalle più grandi attrici - ricorda - il primo sentimento esploso in me è stata la paura, poi la felicità. Francesco mi ha fornito la chiave che mi ha aiutata a non avere paura e a dimenticare i primi piani e le battute di Sophia, e a mettere a disposizione le mie caratteristiche. Filumena andrà avanti nel tempo, spero di essere stata una Filumena possibile e non improbabile", conclude.
Anche per gli autori il confronto con il passato ha rappresentato la sfida più grande, il segreto per vincerla è stato provare a "tenere testa alla grandezza del testo con un nostro tono interno. Siamo partiti già consapevoli della sconfitta nei confronti dei grandi maestri, ma abbiamo cercato di fare una cosa personale", racconta il regista che ha saputo reinterpretare la commedia di De Filippo nel pieno rispetto dell'originale e che dice di essersi ispirato al cinema di Wong Kar Wai. "Con un film del genere devi misurarti con un'idea di stile, in particolare a Napoli che dal punto di vista visivo ha pochissime tracce dell'epoca, il 1950. Il mio modello di riferimento è stato il cinema asiatico che ha la sua punta più alta in Wong Kar Wai, cercando ad esempio il paesaggio visivo dentro ai primi piani degli attori o in un muro che sta alle loro spalle. Ho cercato la profondità filtrando l'immagine attraverso l'uso di riflessi e una molteplicità di quinte, molte immagini contengono degli specchi".