Fernando, la docu-serie Amazon disponibile su Prime Video narra le gesta sportive di un campione come Fernando Alonso. Cinque episodi che raccontano la sua nuova vita e che saranno seguiti da ulteriori quattro per affrontare il suo ritorno in Formula 1. Per i primi tre episodi della prima stagione, in catalogo dal 25 settembre, è presente una importante impronta italiana, grazie al lavoro di Luca e Gabriele Stifani (TwinsStifani su Instagram), rispettivamente ingegnere del suono e direttore della fotografia al servizio del regista Enric Folch, che ci hanno raccontato con grande disponibilità e precisione il loro impegno per portare su schermo le gesta del campione automobilistico.
Sulle tracce di Fernando Alonso
Com'è nata la vostra partecipazione alla serie Amazon?
La nostra partecipazione è nata in modo veramente inaspettato. Siamo partiti con la serie All Or Nothing: Manchester city, e con Fernando siamo ora alla nostra seconda collaborazione con il colosso streaming. Possiamo dirti che la nostra caparbietà e istinto ci hanno portati fin qui, ma in maniera specifica la collaborazione con Amazon ha avuto inizio grazie a quella con Enric Folch, regista spagnolo di molti successi (Tempus fugit), con il quale siamo amici da molti anni. Con lui abbiamo subito trovato un bel affiatamento e insieme abbiamo girato il documentario indipendente The Devil on Wheels. Documentario dedicato a Duel, il primo film di un allora sconosciuto Steven Spielberg. Un lavoro di passione che ci ha spinto oltre i ruoli che conosciamo. Infatti essendo un progetto indipendente, si è lavorato tantissimo senza guadagno, ma con un impegno immane, cominciato nel 2013 e ancora oggi in lavorazione. Questo progetto ha comunque instaurato un rapporto di fiducia non solo professionale tra di noi e quando The Mediapro Studio lo ha chiamato per dirigere la serie All or Nothing, lui non ha esitato a metterci a bordo.
Che scelte sono state fatte per quanto riguarda la fotografia della serie?
Le scelte fatte si basano sull'esperienza acquisita con All or Nothing. Nella serie sulla City, Gabriele ha svolto ruoli differenti, dovuto al fatto di avere un'equipe cinematografica ridotta: incaricato principalmente come media manager e Assembly Editor, si è ritagliato un ruolo da cameraman aggiunto. E ha avuto la fortuna di affiancare il direttore di fotografia Mike Staniforth e i suoi collaboratori Leighton Cox and Luis Zarzo, e ci ha dato la fiducia di poter dire di sì a questo ruolo. Infatti posso dire che molte delle nostre esperienze sono state sempre delineate dai "Sì" molto coraggiosi, coprendo ruoli sempre differenti. Fernando presentava un budget ridotto rispetto ad All or Nothing ed inoltre si svolgeva in ambientazioni differenti quindi non c'era la possibilità di pianificare tanto. Si doveva viaggiare leggeri e compatti. Per questa esigenza ho scelto di utilizzare come prima camera una CANON C300 MII con ottiche 16-35mm ULTRASONIC L III USM, EF24/105 LIS USM e EF 70-200MM 1:2.8 L IS II USM. L'ultima è quella che ho usato come prima lente, volevo catturare super dettagli e creare drama con close up estremi sui volti e mani dei soggetti mantenendo una lunga distanza, perché per questo tipo di documentari, bisogna poter essere meno invadenti possibile dal soggetto, almeno all'inizio. La seconda camera scelta è un GH5 Lumix, che ha un ottimo stabilizzatore, perché serviva uno strumento comodo per entrare in luoghi affollati o limitati. Inoltre doveva essere utilizzata dallo stesso Regista Enric Folch, il quale poteva avvicinarsi di più al soggetto specialmente durante periodi di tensione dove una grossa camera non sarebbe potuto entrare. Con questa camera volevo essere sicuro di catturare l'azione, mantenendo movimenti più dolci anche se hand held, mettendo lo spettatore dentro l'azione. Come Camera extra (usata solo su 2 gare importanti Indianapolis / Le Mans) ho scelto una Alexa mini con ottica Fujifilm e Canon, utilizzata da Steadycam operators, o su una Speedrig con frame rate fisso su 200fps, che serviva a raccogliere scene di spettatori, alternate a close up estremi per costruire tensione nell'atmosfera delle varie gare, ma anche sui piloti In preparazione durante le gare. Inoltre avevo a disposizione delle action cam, che venivano utilizzate a scendo dell'esigenze. Per me, come per il regista, era fondamentale poter catturare momenti che potessero trasportare lo spettatore nell'azione e nello stato d'animo del protagonista in maniera cinematografica giocando con il foreground e mantenendo dei movimenti fluidi di camera nonostante la frenesia nel seguire il personaggio hand held in mezzo a miriadi di persone catturando l'immediatezza dell'azione e mantenendo la natura documentaristica del progetto.
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Il suono è un elemento importante delle gare automobilistiche e penso anche a film recenti come Le Mans '66: come ci avete lavorato?
Il suono gioca una grande parte in questa serie. Se parliamo di suoni di motori, e stato molto difficile registrarlo, quei motori esibiscono decibels da urlo, così forti che anche tenendo il gain al massimo del minimo entravano in cuffia così forte da penetrarti i timpani. Ho ancora i brividi. Per cui ho utilizzato un paio di mixers a livelli sfalsati, per poter archiviare i rumori più aggressivi. Ancora sento le Toyota MP1 di Lemans rientrare e ripartire dai box: rientrando si sentiva il rumore elettronico e leggero dei motori in modalità elettrica, come spegnere un frullatore. Ma alla ripartenza il suono diveniva un ruggito, miscelato da scoppi di motore così forti da farmi capire la potenza dei cilindri. Un'esperienza maniacale ma anche unica. I motori più rumorosi? Quelli della Porsche Grand Turismo. Per quanto riguarda i dialoghi, a volte il suono era l'unico elemento che poteva catturare l'azione laddove le camere non erano permesse. A volte mio fratello poteva solo utilizzare lenti lunghe per poter tenere la distanza ed essere invisibili, ma in questo modo l'audio del radio microfono o dei long mics erano gli unici a catturarne la prossimità e l'intimità dell'azione.
Qual è stata la sfida più grande di questo lavoro dal punto di vista delle riprese?
Viaggiare muniti di kit, balzando da un aeroporto all'altro dagli Stati Uniti all'Europa, senza un attimo di pausa prima delle riprese. Inoltre logisticamente era un incubo organizzare i bagagli visto che i termini di viaggio per le troupe variano a secondo del territorio. Un incubo. Tecnicamente invece uno dei problemi che riguardava la fotografia era il fatto di non poter utilizzare un treppiedi. Per ridurre il peso della camera, visto che non volevo riprendere a spalla per cambiare la solita prospettiva, ho agganciato camera e monopod su un harness think tank che aiutava a diminuire il peso sulle braccia. A rendere poi il tutto più complicato era portarsi addosso tutto: praticamente indossavo una cinta con molti spazi per le tre lenti, che portavo sempre in giro con me, compreso batterie e action camera. L'idea era di essere pronto a tutto, perché molte volte non era ben chiaro dove andavamo a girare e che tipo di accesso potevamo avere. Ci sono stati dei momenti dove non avevo il tempo di cambiare lente, e puoi immaginare quanto era complicato inquadrare qualcuno quando si è in una piccola stanza, e la lente usata al momento non era adatta. Mi trovavo spesso a schiacciarmi contro il muro per poter avere l'inquadratura di un volto. L'incubo maggiore è stato quello di poter zoomare e mettere a fuoco allo stesso tempo, perché il problema delle lenti usate è che non hanno una messa a fuoco capace di mantenere nitidezza d'immagine durante il cambio di lunghezza focale. Ed era un problema, visto che le azioni che riprendevo succedevano al momento è non c'era nessun modo di rifare dei takes. In aggiunta molti momenti interessanti sono stati ripresi senza capire esattamente di cosa si stesse parlando, visto che il suono delle macchine era costantemente alto, e stando a distanza potevo solo fidarmi del mio istinto ed avere sempre un occhio di riguardo su Luca ed Enric con i quali abbiamo sviluppato un linguaggio di sguardi durante le riprese. Parecchie varianti da tenere in mente, ma alla fine sono fiero del risultato finale.
E dal punto di vista del suono?
La comunicazione tra il gruppo durante le gare e le prove è stata la sfida più grossa. Vista la scala degli ampi spazi in pista e l'accesso avvolte ristretto alle camere, come unico ingegnere del suono ho dovuto escogitare un sistema di comunicazione bluetooth che partiva dal mio mixer ed era ascoltato da mio fratello ed Enric che erano muniti di cuffie wireless bluetooth. Durante Le Mans e la Indi 500 e stato fondamentale dare indicazioni ai cameraman parlando direttamente dal microfono usato per le riprese e sperare che il messaggio fosse percepito, perché i grandi rombi di suono e gli intralci delle linee radio coprivano la mia voce ed il segnale bluetooth. Comunque e andata benissimo ed e un sistema che ora utilizzo. Un'altra sfida è stata recuperare le tracce audio da altri 'feed'. Ho dovuto stringere rapporti professionali con i tecnici del suono degli eventi per poter acquisire il suono della trasmissione e delle scuderie via radio direttamente nel mio mixer. A volte monitoravo tre "feed" contemporaneamente. Per quanto riguarda la 24h di Le Mans, abbiamo dovuto ingaggiare un altro gruppo di filmmakers da poter creare un gruppo B. La 24h di Le Mans per noi è durata 32h perché abbiamo ripreso il pre-gara ed il post-gara, ed è stato indispensabile avere un altro gruppo con il quale creare una staffetta. Proprio come i piloti, anche per noi era importante trovare un momento per riposare e ritornare in pista con lucidità.
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Lavorare a una produzione di questo tipo è un onore, ma anche una grande responsabilità: avete sentito più l'uno o l'altra sensazione?
Certamente l'onore di essere richiamati a girare un documentario di questa mole ci ha muniti di una grande fiducia lavorativa, ed e stata una conferma importantissima caricandoci di responsabilità creativa. Un continuo stimolo di ricerca che ti rende le giornate di lavoro interessanti e ricche di sorprese e soddisfazioni. Ogni scelta porta ad un momento da catturare, capire quando è dove posizionarsi per anticipare le azioni del personaggio, è la vera sfida, e quando la fortuna a volte ti riserva la ciliegina sulla torta, ti fa capire che stai percorrendo la strada giusta.
Conoscevate già la figura di Fernando Alonso o l'avete scoperta con più profondità grazie a questo lavoro?
No, di Fernando Alonso conoscevamo solo il nome ma non il volto. Forse è anche per questo che siamo stati più tranquilli ad affrontare le riprese. Di sicuro non siamo stati in soggezione, anche perché Fernando, a differenza di quello che abbiamo sentito dire, è una persona molto amichevole che porta una dimensione umana a questa grande figura di fenomeno sportivo che giustamente si è ritagliato nella sua carriera. A dirla tutta, non eravamo neanche appassionati di sport motorizzati, ma lavorando con Fernando e i vari staff automobilistici abbiamo capito e apprezzato questo sport.
Lo scorso anno avete lavorato, invece, a All or Nothing: Manchester City. Mi raccontate qualcosa anche di quel progetto? Es
Essendo amanti del calcio con una piccola parentesi nella primavera del Lecce, lavorare al City è stato un sogno. Venivamo da anni di duro lavoro insieme a Enric Folch e ricordiamo ancora il suo messaggio in cui ci disse: "Chiamatemi se volete un lavoro". Poter essere poi il cuore del team su questo show è stato qualcosa di fantastico. Offrirono il Suono a Luca e a me la responsabilità di wrangling, media managmet e assembramento editing. Se avessi schiacciato "Delete" per sbaglio avrei compromesso tutto, questo per dirti quanta responsabilità era in gioco. Il team era di sole dieci persone e per i primi mesi non si poteva rivelare a nessuno che si girava una docuseire per Amazon, infatti il documentario era circondato da segretezza, e la bellezza di questo doc è che sia stato il primo in assoluto a mostrare il dietro le quinte sul calcio. Sono più che fiero di dire che questo nostro documentario e stato la pietra miliare di tutto quello che si vede ora sul calcio. La serie si è sviluppata durante le riprese, abbiamo avuto alti e bassi nel costruire la storia, anche perché il City in quell'anno vinceva tutto, quindi non c'era tanto spazio per il drama. La chiave del successo comunque va al modo in cui il team si è amalgamato con la squadra e lo staff tecnico, tra cui molti Italiani che hanno reso il lavoro ancora più piacevole. Molto importante il rapporto del regista con Pep Guardiola e i suoi collaboratori stretti che giorno per giorno ci davano degli accessi che all'inizio non speravamo di poter avere. Ricordiamo ancora il primo giorno che Enric riuscì a riprendere un discorso di Pep alla squadra e quella scena è ora l'opening della serie. Il team era molto piccolo rispetto alla mole del documentario, ma di sicuro è stata la scelta migliore, consolidata anche sul documentario Fernando sul quale eravamo solo in quattro.
So che state lavorando da tempo a un documentario su Duel e da fan di quel film sono molto curioso: mi date qualche dettaglio in più?
Il Diavolo su Ruote è un progetto indipendente, e per questo ci vuole molto più tempo per concluderlo. Con il gruppo The Devils on Wheels Ltd, composto da Enric Folch il regista/ideatore, e Roger Allen il nostro coinquilino nelle vesti di produttore e operatore drone, ne gestiamo le decisioni e per ora l'abbiamo finanziato indipendentemente. Il documentario non è un dietro le quinte di Duel, ma una lettera d'amore al cinema indipendente e alla caparbietà dei registi alle prime armi, mettendo in evidenza il grande impatto culturale di un piccolo film. Le riprese sono iniziate nel 2013, poi produzione principale nel 2016. Qui abbiamo intervistato in giro per gli Stati Unity fans di Duel, biographers del regista, i collaboratori di Spielberg che hanno partecipato alla realizzazione del film e siamo stati alla ricerca del mitico Peterbilt, il vero protagonista del film. Il viaggio è stato fantastico e pieno di avventura e da nove interviste iniziali, siamo tornati a casa con diciannove. Uno dei momenti più belli ed essere stati invitati dallo staff di Spielberg ad avere un meeting negli uffici della mitica Amblin Entrtaiment dentro gli Studi Universal. Quest'anno Duel compirà 50 anni, un evento che è al centro del nostro documentario, e stiamo cercando di stringere gli ultimi accordi per completarlo in tempo e non mancare l'anniversario. Il sogno per ora e di vederlo su grande schermo e sulle piattaforme streaming, magari con l'aggiunta di un intervista del maestro Steven Spielberg.
Abbiamo parlato dei traguardi recenti e dell'immediato futuro, ma ora guarderei un attimo indietro e vi chiederei di raccontare il lavoro, i sacrifici e le difficoltà superate per arrivarci.
E un sogno che parte da bambini, dal primo film visto al cinema La Storia Infinita che ci ha tenuti in piedi al centro del Teatro Italia di Gallipoli, a bocca aperta prima di trovare posto. Poi Papà Totò Pinta ci ha insegnato la macchina da presa e nostro fratello maggiore Angelo Stifani ci ha insegnato la bellezza dei film e le registrazioni VHS. Da bambini abbiamo incominciato a girare dei piccoli show e corti rubando la cinepresa VHS di nostro zio lasciata in casa in attesa di essere riportata. Il nostro sogno prima di intraprendere la regia era di lavorare negli effetti speciali ed animazione. Avevamo pensato alla scuola di Carlo Rambaldi, ma la scuola era già inesistente agli inizi del millennio, cosa che ci ha costretto a cambiare aria. Cercammo fortuna a Roma, per noi la Mecca. Ci iscrivemmo alla scuola Romana del Fumetto per poter cesellare l'arte del disegno, pensando che sarebbe ritornata utile per gli storyboards, ma un mese passato a dormire a casa di amici da divano a divano non ci e bastato. Infatti era il 2001 e l'attacco alle Torri Gemelle ha portato al primo crollo finanziario della mia generazione. Trovare lavoro a Roma era impossibile, e i prezzi degli affitti improponibili. Abbandonammo l'idea e ripartimmo per Newcastle, da nostro zio, con l'idea di frequentare un corso universitario di Cinematografia alla Northumbria Univesity. Li scoprimmo il bellissimo cinema Europeo e trovammo l'amore per la regia. Lo step successivo fu quello di trasferirsi a Londra, ma da lì in poi c'è stato un lungo percorso formato da tanti stop, ripartenze, problemi economici, sfide personali. Partire da Neviano, un piccolo paese del Salento, per arrivare a Londra non è stato facile. Di sacrifici ce ne sono tanti, incluso lasciare la nostra amata famiglia, ma il sogno di lavorare nel cinema è stato da sempre la nostra stella da seguire. Non abbiamo ancora raggiunto il nostro traguardo personale, Hollywood, ma i risultati si cominciano a vedere.