Lo avevamo lasciato a un passo dall'Oscar, e lo ritroviamo con un film che, secondo noi, potrebbe dire la sua ai prossimi Academy Awards. Stiamo parlando di Viggo Mortensen, come vedrete nella recensione di Falling - Storia di un padre, il suo primo film da regista, in uscita al cinema in Italia il 26 agosto. È la prima volta che ritroviamo l'amato attore dopo Green Book, film che gli ha riservato grandi soddisfazioni dal punto di vista dell'opera di insieme (ha vinto l'Oscar per il miglior film nel 2019, e tre Oscar in tutto), ma meno dal punto di vista personale, visto che la nomination come miglior attore protagonista non si è poi trasformata in una statuetta. Falling, che da noi arriva con il sottotitolo Storia di un padre, è un film sorprendente per delicatezza e maturità dove Mortensen, ormai lontano dai ruoli da bello o da eroe, è sceneggiatore, regista, attore protagonista e autore delle musiche, che ha anche realizzato suonando il piano. Falling è la storia del rapporto tra un padre e un figlio, Willis e John, vista in due momenti. Quella in cui John è un bambino, e vede il padre ancora, con gli occhi incantati di chi è innamorato, fino a quando da adolescente comincia a discostarsi da lui. E poi da adulti, quando John è un uomo realizzato ed equilibrato, e vede il padre come una persona che ha bisogno d'aiuto, e lo guarda con occhi amorevoli, ma con uno sguardo di tutt'altro tipo. Falling è un film scritto e diretto con sensibilità, raccontato con mille sfumature, e recitato con cuore e passione. È davvero una grande sorpresa. E probabilmente lo sarà ai prossimi Oscar.
Perdonami per averti messo al mondo
Sono gli anni Sessanta. In una serata d'inverno, una giovane coppia, Gwen (Hannah Gross) e Willis, rientrano a casa con il loro bambino, nato da poco. È il momento di cambiargli il pannolino. E, mentre Gwen si allontana per prendere il necessario, Willis lo tiene per un attimo, e gli sussurra una frase un po' sinistra. "Perdonami per averti messo al mondo". Da qui cominciamo a capire alcune cose di quest'uomo superficiale, scostante, prepotente, incurante e a volte violento. Un uomo che non ha la sensibilità per essere un buon marito e un buon padre. Anche se, quando lo abbiamo visto portare il piccolo John a caccia di anatre, abbiamo percepito un po' di tenerezza, quest'impressione è svanita subito dopo, anche guardando piccole cose. Mentre il matrimonio tra lui e Gwen è destinato a svanire, l'azione va ai giorni nostri. John (Viggo Mortensen) e il padre Willis (Lance Henriksen), ormai anziano, un po' svanito, sono in aereo. Capiamo che stanno arrivando in California, dove John, su richiesta del padre, lo ha portato per sistemarlo in una residenza vicino a lui, in modo che possa prendersene cura. John è gay, ha un compagno e una figlia, una vita pacificata dopo un'infanzia difficile. Ma avere a che fare con Willis, ancora oggi, non è facile.
I migliori film di Viggo Mortensen
Mortensen riesce a tenere la storia in equilibrio su un filo
Falling - Storia di un padre vive di due momenti distinti tra loro e collegati, a volte con un montaggio molto creativo. La storia dell'infanzia e dell'adolescenza di John si svolge lungo il corso di parecchi anni, in cui vediamo, tra l'altro, Willis cambiare compagna e accasarsi con un'altra donna, la giovane Jill. L'azione ai giorni nostri si svolge rapidamente, prima in circa una settimana in California, e poi nello stato di New York, nella fattoria di Will, in pochi giorni che seguono il decorso di un intervento. Le due linee narrative hanno ritmi e respiri diversi, e anche stili differenti (più lirica e rarefatta, e fotografata con una patina d'epoca, la parte del passato, più secca e concreta, dai colori più freddi e realistici, quella attuale) che però si amalgamano alla perfezione, dialogando costantemente l'una con l'altra e creando un tutt'uno. Falling, alla resa dei conti, riesce ad essere allo stesso tempo un film duro e poetico, tagliente e lirico. La regia di Mortensen riesce a tenere sempre la storia su un filo che non scade mai nel drammatico o nel pietistico, come molti film di questo tipo finiscono per fare, non enfatizzando mai gli scontri e gli scambi di opinione, non creando mai - o quasi - scene madri, ma tenendo in piedi un racconto che sa di verità, di vita vissuta, con scambi di battute tesi e vibranti. E a volte anche ironici.
Falling - Storia di un padre: Padri e figli nella carriera di Viggo Mortensen
Il senso di Mortensen per il controllo
Viggo Mortensen, insomma, riesce a tenere un film che tocca temi molto delicati - i rapporti tra padri e figli, la vecchiaia, la violenza domestica, ma anche il razzismo e l'omofobia - sempre sotto controllo. Ed è proprio il controllo la parola chiave del film. Perché osserviamo per tutta la sua durata il John adulto controllare se stesso di fronte alle sparate, alle volgarità e ai continuai attacchi - a lui, ma in realtà a tutto e a tutti - di Willis. Che sì, è un anziano forse affetto da demenza senile, incontinente nei pensieri e nelle parole più ancora che in altri ambiti, ma che, passateci la parola, un vero stronzo lo è sempre stato. E allora siamo lì che guardiamo John, impassibile, gentile, comprensivo di fronte a ogni uscita del suo vecchio. E ci chiediamo perché sia così, forse senza capirlo fino in fondo. C'è l'amore di un figlio verso il padre nel momento in cui i rapporti sono capovolti e sa che, in fondo, è il padre ora ad essere come un bambino che ha bisogno dell'aiuto di un adulto. È l'amore di un figlio per cui, comunque, un padre è sempre un padre. Ma non è solo questo. É che John vuole fare la cosa giusta, vuole comportarsi nel modo migliore. Ha giurato a se stesso che non litigherà, che non si farà portare dal padre su quel terreno di battaglia a lui consono e che conosce bene. Ha soprattutto deciso di essere - e in fondo già lo è - un tipo di uomo completamente diverso da quello che è stato il padre. Un uomo moderno che vive in un'epoca dove si può essere gentili, aperti, non rissosi. Il fatto che sia gay e sia sposato con un altro uomo a sua volta molto equilibrato non fa che acuire le sue scelte. Ma John un uomo di questo tipo lo sarebbe stato lo stesso.
Il Viggo Mortensen attore
Fin qui arrivano i meriti del Viggo Mortensen autore, cioè sceneggiatore e regista. Ma poi arrivano quelli del Viggo Mortensen attore, un personaggio che, dopo la trilogia de Il Signore degli Anelli poteva decidere di essere un divo assoluto. Poteva essere sempre l'eroe, il bello. Poteva scegliere di non invecchiare, come Tom Cruise. E invece ecco la sua nuova vita, il secondo tempo della sua carriera. Viggo Mortensen non ha paura di invecchiare, di mostrare un filo di pancia, qualche capello bianco e qualche ruga. Perché le storie che vuole raccontare si annidano anche lì, in quei solchi sul suo viso, nella nuova espressività di quel volto. É il Viggo Mortensen che abbiamo amato in Green Book, ma in fondo è ancora diverso. Perché se quel ruolo era in qualche modo una prova istrionica, estroversa, questa è agli antipodi. Come avrete capito è tutta giocata sulla sottrazione, sul sottotono, sul non detto. Se vi chiedete se, e come, il suo John può sopportare le tante angherie del padre, negli ultimi venti minuti avrete la risposta. Sarà un po' prevedibile, ma in fondo, per come finirà, non sarò poi così scontata.
Lance Henriksen, Laura Linney, Hannah Gross... e David Cronenberg
Il Viggo Mortensen che avete conosciuto finora non era solo l'Aragorn de Il signore degli anelli - Il ritorno del re, ma è stato, ad esempio, il protagonista perfetto per storie forti come A History of Violence e La promessa dell'assassino, due film che hanno fissato il suo rapporto con David Cronenberg, e un'amicizia che ha fatto sì che l'autore canadese appaia qui in un gustoso cameo nella parte di un medico che visita Willis. Ve lo diciamo perché è anche da questi particolari che si giudica un film in stato di grazia. Perché, se per una visita alla prostata ti puoi permettere David Cronenberg, vuol dire che dalla tua hai un grande cast e cosi il contraltare di John, il padre Willis da anziano, è un vecchio leone che non vedevamo da tempo, quel Lance Henriksen che era nel cast d Alien e poi è stato, a cavallo tra i due secoli, il protagonista dell'ottima serie Millennium. Ora, notevolmente invecchiato, offre una grande prova attoriale. Ma c'è anche il lato femminile che, in un mondo dove ci sono uomini finalmente nuovi, ma ci sono ancora gli uomini vecchia maniera, rischia di restare schiacciato. Laura Linney è Sarah, la sorella di John, da adulta: fa un'apparizione breve, in un pranzo della domenica, ma è molto commovente. E poi c'è Hannah Gross, quella bellezza sexy e nervosa che avevamo ammirato nella prima stagione di Mindhunter, che qui è Gwen, la madre amorevole e dolente di John, compressa e sacrificata in un ruolo molto doloroso, per poi apparire finalmente, felice e sfrenata, nella sorprendente sequenza che chiude il film, e chiude il cerchio della storia di Willis, lasciandoci con un'immagine quieta e pacificata.
Un film di dettagli
È anche da questi particolari che si giudica un film riuscito. E Falling è anche un film di dettagli. Da quei primi piani poetici sulla natura, alla Terrence Malick, che Mortensen inserisce al film come contrappunto di vicende forti e dolorose, a tutti quei dettagli del comportamento che raccontano molto di un personaggio e di un atteggiamento. Da quel fumare in casa, anche se qualcuno ti chiede di non farlo, a quel parlare sempre scurrile, quel dire "negro" riguardo a Obama e "frocio" al figlio, ma in realtà a chiunque non sia un uomo come lui ("faggot" è l'espressione usta di più, ma Willis sembra conoscerne molte) si capisce molto dell'indole di un uomo prepotente e rimasto a un'epoca e a un modo di pensare che non ci sono più. Mortensen ha portato nel film, che ha preso vita proprio in un viaggio aereo con il padre dopo il funerale della madre, una famiglia immaginaria, ma che dentro aveva tanti ricordi e dettagli della sua. "Falling" vuol dire cadere, come quando ci si sente male e si stramazza a terra, vuol dire vivere una discesa, nell'atteggiamento e nei comportamenti. "Falling", accanto alla parola "in love", è anche il termine che significa innamorarsi. E Falling è anche un film pieno d'amore. Noi ce ne siamo innamorati subito.
Conclusioni
Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Falling - Storia di un padre, questo è un film scritto e diretto con sensibilità, raccontato con mille sfumature, e recitato con cuore e passione. Il primo film da regista di Viggo Mortensen è davvero una grande sorpresa. E probabilmente lo sarà ai prossimi Oscar.
Perché ci piace
- Viggo Mortensen racconta una storia delicata restando in equilibrio, senza scadere mai nel pietistico o in scene madri.
- La sua opera prima da regista è allo stesso tempo dura e poetica, amara e lirica.
- Viggo Mortensen offre una grande prova d'attore, ed è al centro di un grande cast.
- Tutto il film è giocato sui dettagli, che sono importantissimi nel racconto.
Cosa non va
- Si tratta di una storia molto dolorosa, che forse non è per tutti.