Er Gol de Turone Era Bono inizia come non te lo aspetti, ovvero con l'assedio di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Voi direte, cosa c'entra con un documentario incentrato su uno dei più noti e dibattuti episodi arbitrali avvenuti nel campionato di Serie A? La risposta è più semplice di quanto pensiate: c'entra eccome, perché un certo AndreaRomanista, mentre Trump parlava dalla Casa Bianca, scriveva nella live chat di YouTube testuali parole: "Mr. President, do you think Turone's gol was good?". Nei concitati attimi che misero in pericolo la democrazia degli Stati Uniti, qualcuno stava (ancora) pensando a quella lontana data di un trapassato maggio, quando Maurizio "Ramon" Turone stava (forse?) riscrivendo il corso della storia calcistica italiana.
Quello che vogliamo infatti sottolineare nella nostra recensione di Er Gol de Turone Era Bono, diretto da Francesco Miccichè e da Lorenzo Rossi Espagnet, è quanto il documentario in questione fotografi perfettamente un evento sportivo divenuto fenomeno antropologico, politico e umano, scavalcando gli aspetti sportivi della vicenda. Un lavoro, quello dei registi, di raffinato cucito, alternando immagini di repertorio alle voci che, in qualche modo, sono state protagoniste il 10 maggio del 1981. Da Roberto Pruzzo a Cesare Prandelli, fino ad Enrico Vanzina e Paolo Calabresi, che spiegano la fenomenologia di Turone all'interno dell'universo giallorosso.
Mortadella e felicità
Nella stagione 1980-1981 la Roma pensava di poter concretizzare le sue ambizioni, sulla scia delle intuizioni di Dino Viola, convinto di poter vincere lo scudetto grazie all'uomo seduto in panchina: Nils Liedholm. La rivale da battere? Ovviamente la Juventus di Giovanni Trapattoni, con l'ambizione di tornare a vincere dopo due anni di magra. A guardar bene, c'era un parallelo tra lo sport e la società: il ritorno degli stranieri in Serie A, in un'apertura che coincideva con il tramonto degli Anni di Piombo. Arrivarono così dei giocatori che, oggi, chiameremo top player. Un esempio? Falcao, che alla Roma doveva portare la famosa "mentalità vincente". Ma in quegli anni il calcio era totalmente diverso: regole diverse, punteggi diversi, il rapporto con i tifosi completamente diverso. Sempre in quegli anni, ci fu una rivoluzione del tifo organizzato che, a Roma, esplose nel Commando Curva Sud. Tamburi, bandiere e una passione smodata traboccante d'amore e d'orgoglio. I Giallorossi, trascinati da Pruzzo erano "roba forte". Come dice Paolo Calabresi, "allo stadio c'era la purezza di Roma, tra ciriole con la mortadella e felicità". Più su al nord, la Juve non aveva un bomber e, il calcio parlato, cominciò a chiacchierare su pseudo-favori avuti dalla squadra di Agnelli, tanto che Bettega subì una squalifica dopo aver (chissà?) chiesto ai giocatori del Perugia di "lasciarlo segnare".
Una leggenda da tramandare
Dunque, la Juventus in cerca di potere e una Roma gagliarda alla vigilia di una partita di fuoco, esasperata da una tensione che sarebbe poi esplosa al 72° minuto della gara, giocata al Comunale di Torino. Quella trasferta venne definita un fenomeno collettivo, in quanto l'attenzione della Capitale era concentrata esclusivamente su una trasferta diventata storica. Divenne un viaggio della speranza per migliaia di tifosi che, fino a quel momento, non erano nemmeno mai usciti dal GRA. Un momento molto significativo del documentario di Micciché ed Espagnet, che spiega quanto il calcio (e il calcio a Roma) sia qualcosa che supera il senso sportivo per diventare elemento antropologico e dai riflessu umano. E se Er gol de Turone era bono è un ottimo esempio di storytelling lo si deve alla sua narrazione che, puntualmente, fotografa le emozioni di una cronaca che si fa vivida narrazione.
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Quella partita fu una battaglia maschia e piena di falli (anche cattivi, con tanto di rosso a Furino), mentre l'arbitro Paolo Bergamo, intervistato, ammette quanto "ci fosse una pressione altissima". La posta in gioco era ammucchiata in una manciata di centimetri: a quindici minuti dalla fine, partendo dalla sinistra, l'azione della Roma arrivò sulla testa di Turone, su sponda di Pruzzo. Gol. No. Fuorigioco, indicato dal guardalinee. Boato, frastuoni, l'arbitro era sicuro della chiamata dell'assistente Sancini: gol da annullare. Pruzzo però era sicuro di essere in posizione regolare, così come Maurizio Turone che, da allora, non rivide mai l'azione di quel gol annullato. Troppo dolore, troppa rabbia. Quando entra in scena nel documentario, in un racconto canonico ma organico che non scricchiola mai, racconta attimo per attimo la sua corsa verso l'area piccola, e di come fu costruito quel gol interrotto. Un gol che avrebbe cambiato la storia sua storia e la storia della Roma: Turone, con le braccia aperte come fosse un aeroplano, cambia volto e per tramutarsi nell'incredulità fatta persona. La partita finì 0-0. La Juve vinse il 19° scudetto, staccando la Roma di soli due punti. Quelli persi dalla Roma in una partita divenuta un fenomeno internazionale, ancora oggi citata, studiata e chiacchierata. Di più, diventata un episodio leggendario da tramandare. Di generazione in generazione, di tifoso in tifoso.