In origine, era nato come una sorta de Il leone d'inverno nel mondo del rap, benché con ambizioni artistiche drasticamente ridimensionate rispetto alla fonte d'origine. Un anno più tardi, è quanto di più simile a Dynasty ed altre famigerate soap opera degli anni Ottanta la TV odierna possa offrire, ma con una precipua attenzione al contemporaneo. Forte del crescente - e stupefacente - successo di pubblico riscosso in patria (oltre venti milioni di spettatori per gli ultimi episodi della prima stagione, includendo anche i numeri del DVR), Empire si ripresenta dunque sugli schermi americani come il "fiore all'occhiello" (perlomeno a livello commerciale) nel palinsesto della Fox.
E se è vero che una formula vincente va mantenuta tale, lo showrunner Lee Daniels e i suoi sceneggiatori, Danny Strong e Ilene Chaiken, sembrano avere tutte le intenzioni di attenersi agli elementi distintivi della prima stagione; già a partire da The Devils Are Here, primo dei diciotto nuovi episodi che in Italia saranno trasmessi in prima visione assoluta dal 21 ottobre, ogni mercoledì, alle 21,50 su FoxLife (canale 114 di Sky). E considerando che negli USA la prima puntata ha registrato più di sedici milioni di spettatori solo durante la messa in onda (senza contare quindi il DVR e le repliche), le premesse per un'altra stagione da record non mancano di certo...
Dove eravamo rimasti: Lyion in gabbia
In Chi sono io, gran finale della prima stagione, il padre/padrone della Empire Records, l'autoritario e arrogante Lucious Lyion (Terrence Howard), superstar della scena hip hop, veniva tratto in arresto per l'omicidio di Bunkie Williams, il quale lo aveva minacciato di rendere pubblico il suo passato criminale. Ad incastrare Lucious era stata la testimonianza di Vernon Turner (Malik Yoba), più o meno accidentalmente 'fatto fuori' nel corso della stessa puntata. A succedere a Lucious sul trono di Empire come nuovo CEO, con la benedizione del padre, era stato suo figlio Jamal (Jussie Smollett), astro nascente della scena r&b, con un album d'esordio pronto a schizzare ai vertici delle classifiche. Un "passaggio di consegne" che, prevedibilmente, non ha fatto che acuire le tensioni fra Jamal e i suoi due fratelli: il giovane Hakeem (Bryshere Gray), a sua volta un rapper agli esordi, divorato dal sentimento di rivalità nei confronti di Jamal, e Andre (Trai Byers), ambiguo business man, con più di qualche scheletro nell'armadio. In The Devils Are Here Lucious è ancora in carcere, ma tutt'altro che domato: per nulla disposto a scendere a patti con il procuratore distrettuale, anche da dietro le sbarre il padrino della Empire continua a muovere i fili della propria società, nonché ad usare la sua influenza allo scopo di mettere i bastoni fra le ruote ai vari avversari.
Nel frattempo, la Empire Record ha organizzato un grande concerto di protesta promosso dallo slogan - anzi, dall'hashtag - #FreeLucious; ma dietro l'apparente unione nel clan dei Lyion covano ovviamente tensioni e rancori sempre più feroci, che esploderanno nel momento in cui la "fronda" capitanata dall'astuta Cookie (Taraji P. Henson) tenterà di prendere il controllo della Empire, sfilandolo a Jamal. Insomma, la lotta fratricida per la conquista dell'impero è appena (ri)cominciata...
Lee Daniels e la poetica dell'eccesso
Non è un mistero che, come già avevamo avuto modo di osservare, una larga parte della popolarità di Empire dipenda dalla scelta di rivolgersi a un'ampia fascia di pubblico a cui non sempre TV e cinema prestano la giusta attenzione, recuperando simboli e immaginario di una cultura black e hip hop che da più di vent'anni (come minimo) gode di un'immensa diffusione negli Stati Uniti (e a questo proposito, basti considerare gli incassi da capogiro appena riportati dal film Straight Outta Compton). Ma l'altro ingrediente alla base del successo di Empire consiste nella sua natura da smaccato guilty pleasure, capace di fondere materiale pulp e convenzioni da soap opera; non certo con raffinatezza, tutt'altro, né tantomeno con vera coerenza narrativa, ma con una disinvoltura che si fa sprezzo del ridicolo e riesce ad intrattenere con svolte funamboliche, colpi di scena dietro ogni angolo e punchline da manuale - la più bella dell'episodio, manco a dirlo, è affidata alla lingua tagliente di Cookie ("You can't even dyke right", tradotto a grandi linee "Non sai nemmeno fare la lesbica").
Si tratta dei punti di forza di Empire, ma al contempo - rovesciando la medaglia - dei suoi limiti pressoché insormontabili: perché risulta impossibile prendere sul serio la saga dei Lyion, o anche solo provare un vero senso di empatia verso questi personaggi, quando il congegno narrativo di Lee Daniels e soci risulta artificioso in maniera così lampante. Daniels, del resto, ha sempre fatto propria la cifra dell'eccesso: sia quando si è trovato alle prese con il melò (il pluripremiato Precious) o con l'affresco storico (The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca), due opere in cui il pathos era ricercato a tutti i costi, pure a scapito della profondità, sia quando si è inoltrato lungo i sentieri del noir (lo stroncatissimo The Paperboy, che pur nel pasticcio complessivo non era privo di qualche virtù). E in Empire, Daniels rinuncia a qualunque pretesa di serietà per premere il pedale fino in fondo, sequenza dopo sequenza: con il rischio, ad esempio, di banalizzare oltremodo la questione razziale negli USA, ma arrivando ad osare come poche altre serie trasmesse su una rete generalista - si veda la testa mozzata inviata a Cookie con un pacco regalo.
Le new entry: Chris Rock e Marisa Tomei
E proprio la suddetta 'testa' costituisce una di quelle assurde trovate che, in Empire, fungono da antidoto alla tentazione di cambiare canale. Si tratta di un macabro souvenir di un cugino di Cookie, Jermel (DeRay Davis), ucciso in carcere dal gangster che proprio Cookie aveva mandato dentro con la sua testimonianza in tribunale: Frank Gathers. Una figura attorno alla quale aleggia un alone di leggenda e di paura, e alla quale presta il volto Chris Rock, attore e comico piuttosto in voga in America fino a qualche anno fa. Purtroppo, in questo caso Daniels incorre in un sostanziale problema di miscasting: Gathers, stando alla sua entrata in scena, dovrebbe essere un autentico "spauracchio" in grado di incutere timore reverenziale ad un solo sguardo, ma Rock non ha lo spessore drammatico per sostenere un ruolo del genere, soprattutto se non è servito da un copione adeguatamente solido. E quindi, nel finale dell'episodio, la definitiva soppressione di Gathers arriva senza colpo ferire, servendo semmai da veicolo per mostrare il "cuore nero" di Lucious: quello di un padrino mafioso che ordina la lenta e dolorosa eliminazione di un altro galeotto senza battere ciglio, privo di sussulti o di accenni di umanità. Una scelta radicale di cui gli autori dovranno tenere conto nella gestione del protagonista di Empire da qui in avanti...
L'altra importante new entry della seconda stagione è invece Mimi Whiteman, ricchissima investitrice dai look sofisticati ed incisivi e con un ghigno di seducente perfidia. Un tipico personaggio da soap opera, per nulla realistico ma squisitamente divertente, in primis grazie alla sua interprete: un'inedita Marisa Tomei, infida al punto giusto e pronta a scontrarsi in un delizioso testa a testa con la più rude e volgarotta Cookie. Se la primadonna di Taraji P. Henson (candidata perfino all'Emmy Award) rappresentava d'altronde il maggiore punto di forza nel cast di Empire, l'introduzione della subdola Mimi della Tomei già promette scintille: la sua apparizione a sorpresa nel bel mezzo del consiglio d'amministrazione della Empire Records, con tanto di fulminea rotazione della poltrona e mefistofelica espressione di trionfo, è uno di quei tocchi da perfetto guilty pleasure che ci inducono a perdonare le numerose sbavature di Empire. E in tal senso, Marisa Tomei e la sua Mimi potrebbero davvero essere l'arma vincente di questa seconda stagione.
Jamal: l'ebbrezza del potere e l'innocenza corrotta
Infine, è bene spendere qualche parola sul presunto "eroe positivo" della serie: Jamal, il cantante dall'animo gentile i cui brani di limpido romanticismo occupano gran parte della colonna sonora di Empire. Nella prima stagione, il personaggio impersonato da Jussie Smollett era l'outsider discriminato per la sua omosessualità, ma capace di accattivarsi la stima del padre in virtù del senso di lealtà e di onestà dimostrato di episodio in episodio. Ora Jamal si trova invischiato più che mai negli intrighi familiari, con i due fratelli schierati sul fronte opposto e perfino la madre Cookie intenzionata a colpirlo alle spalle. In The Devils Are Here osserviamo il ragazzo in balia delle innumerevoli responsabilità della sua posizione, per nulla persuaso a concedere il suo pieno appoggio alla causa LGBT, come vorrebbe invece il fidanzato Michael Sanchez (Rafael de la Fuente), e costretto ad "aprire il fuoco" sulla propria famiglia, trovando una preziosa alleata in Mimi. E la parabola di Jamal si configura, almeno a prima vista, come la principale pista narrativa della seconda stagione di Empire: il "bravo ragazzo" cantore dei buoni sentimenti riuscirà a occupare il trono senza sporcarsi le mani di sangue (metaforicamente e non), oppure dovrà a sua volta sfoderare gli artigli e assumere l'atteggiamento machiavellico del padre? Jamal sarà in grado di resistere alla corruzione del potere o si trasformerà in un moderno Michael Corleone del rap? È il quesito introdotto da The Devils Are Here, e dovrebbe essere il percorso più denso e interessante offerto dall'intera serie; nella speranza che, da qui ai prossimi diciassette episodi, Empire non finisca per deragliare come troppo spesso aveva rischiato di fare già un anno fa...