Considerati i fischi di dissenso a fine proiezione stampa per L'uomo privato, ci si aspettava un susseguirsi di critiche e domande provocatorie alla conferenza stampa del secondo film italiano in concorso alla Festa del cinema di Roma: il cast è invece stato accolto da un funereo mutismo.
L'entusiasmo della stampa per l'ingresso in sala del regista, Emidio Greco, e degli interpreti, Myriam Catania, Giulio Pampiglione, Mia Benedetta, Ennio Coltorti, Mariangela D'Abbraccio, Vanessa Gravina e Vanni Materassi, è stato talmente debole da costringere la mediatrice a richiedere addirittura l'applauso di rito.
Assente l'attore protagonista, Tommaso Greco, forse l'unico a cui sarebbe stato interessante fare qualche domanda, impegnato nelle prove del suo prossimo spettacolo con Toni Servillo.
L'incontro è stato scandito quasi esclusivamente dagli interrogativi della mediatrice e da un semi-monologo di Emidio Greco.
Quando ha finito il film, lo ha visto da solo - come fanno spesso anche altri registi - o con gli altri suoi colleghi?
Emidio Greco: Prima l'ho visto da solo, poi con il missatore e gli altri tecnici che occorrono al momento di ultimazione. Ma se la domanda è se ho bisogno di chiedere consigli o consultarmi con qualcuno, in linea generale faccio tutto da solo.
Una domanda per gli attori: vi siete ritrovati nei personaggi che interpretavate nel film rispetto al vostro modo di essere personale?
Ennio Coltorti: Io interpretavo un commissario, un personaggio a cui è molto difficile sentirsi simili. Ma rappresenta una classe sociale che invidia quella del protagonista, è un uomo comune, per questo posso rivedermi in lui.
Mariangela D'Abbraccio: Quando ho girato la mia parte nel film, stavo interpretando a teatro una napoletana ed è stato strano impersonare qui una signora dell'alta borghesia torinese.
Monica Porcellato: Io ringrazio di essere qui, nel film ho una piccola parte, interpreto una donna ubriaca e io nella vita sono astemia.
Vanessa Gravina: È stato divertente interpretare un personaggio così "out of line", mentre nel film l'unico personaggio che si può chiamare normale è paradossalmente il protagonista. Ho sentito un'emozione di leggiadria e divertimento.
Giulio Pampiglione: Sono molto distante dal ragazzo che interpreto nel film e spero di non fare la sua fine (il suo personaggio si suicida, ndr)... Ma sono figlio di un regista teatrale, Giovanni Pampiglione, e capisco il lavoro di spionaggio e di ricostruzione intorno ad una persona.
Emidio Greco: Ho pensato agli attori per la loro bravura. Ognuno ha il fisico perfetto per il suo ruolo. Tutto è venuto bene grazie alla bravura degli interpreti.
I personaggi secondari parlano molto rispetto al protagonista, incessantemente. Perché ha scelto di strutturare così i dialoghi?
Emidio Greco: Il cinema è sonoro dal 1927, quindi che gli attori debbano parlare è fondamentale. È vero che parlano più i personaggi intorno al protagonista di quanto faccia lui, ma ho scelto di fare così.
Qual è il ruolo della scena in cui il protagonista frequenta la festa universitaria?
Emidio Greco: Il professore vuole cercare di capire chi sono questi ragazzi a cui insegna. Va in questo posto, per la festa di primavera per cercare di capirli in modo, se si vuole, antropologico e sociologico. Poi, si allontano e si sente bene solo tra questa architettura cinquecentesca degli archi, da solo.
È estraneo sia ai giovani, sia al convegno che vuole stabilire nettamente chi è nemico e chi amico, una cosa stupida che non interessa affatto il nostro personaggio.
L'uomo privato, il titolo, che cosa significa? Un uomo di potere che rifiuta i sentimenti?
Emidio Greco: Prima di tutto "uomo privato" perché viene raccontato il privato di questo personaggio: come fa l'amore, come mangia, come guida, insegna, chi frequenta. In secondo luogo, il privato è ciò che a questo personaggio viene tolto. Lui che cerca di preservare la sua intimità, scopre che qualcuno lo segue, lo spia e fa un documentario su di lui. Questo contraddice la sua individualità e il suo voler rimanere isolato.
Credo che questo tema sia di straordinaria attualità: la difficoltà di preservare il proprio io.
A chi ti sei ispirato per questa storia di intrusione nella privacy?
Emidio Greco: Io detesto le autobiografie, ma questa può essere considerata un'autobiografia fantasticata. Mi sono ispirato a me stesso. Il discorso autoreferenziale è forte. Volevo dare più anni al protagonista, poi però avevo paura che il suo comportamento fosse letto come una crisi senile. Il cambiamento più grande dall'idea iniziale è stato togliere 15-20 anni al personaggio principale.
Perché ha scelto questa struttura narrativa? Si è reso conto che poteva essere letta come provocatoria?
Emidio Greco: Certo, ne ero consapevole. Nella prima parte si fa un documentario sul personaggio, poi la storia sembra virare verso il giallo, poi un rigonfiamento narrativo che è il congresso. Perché? Perché io detesto la psicologia come centro della narrazione. C'è per me, quindi, la difficoltà di far conciliare la narrativa con il rifiuto di consequenzialità, di un rapporto causa-effetto. Per me lo spettatore non deve essere spinto forzatamente o costretto alla lettura di una storia. È molto più gradevole il solletico all'intelligenza.
A partire dagli anni '70 si ha la necessità di raccontare ma anche la necessità di evitare il racconto convenzionale.
Cosa pensa di questa Festa del cinema di Roma?
Emidio Greco: Non mi piacciono queste domande politiche. È come quando ti chiedono cosa ne pensi del cinema italiano. È intollerabile che si dica per sei mesi è bello, per sei che è brutto, per altri sei che è ancora brutto... Il cinema italiano è un cinema ridotto male, povero. Un film italiano costa tre volte meno di un film francese. È patetico paragonare la situazione dell'Italia a quella della Francia.
Non c'è un Paese europeo che abbia così tanti registi sotto ai quaranta di talento. Parliamo di un cinema che ha fatto la storia!