Un semaforo infuocato in mezzo a una strada deserta. Il simbolo dell'ordine che brucia. Il segnale di ciò che si può fare e non si può fare, del lecito e dell'illecito, divorato dalle fiamme. Apriamo questa recensione di Ema con la suggestiva immagine che apre il nuovo film di Pablo Larrain, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2019. Una fotografia simbolica che racchiude il senso di un film viscerale, spiazzante e seducente.
Un film che travolge, stordisce, destabilizza, sfugge ai generi e alle definizioni proprio come la sua assoluta protagonista. Tre anni dopo Jackie, Pablo Larrain ritorna a soffermarsi su un ritratto femminile scrupoloso e attento, su un personaggio pedinato in ogni suo movimento e catturato in ogni singolo sguardo e respiro per diventare subito vero. Come in preda a un moto di ribellione, il talentuoso regista cileno si sfoga, abbandona le derive politiche a lui spesso care per mettere in scena un inno alla vita violento e disinibito. Spinto senza mai essere scabroso, Ema ribalta qualsiasi convenzione sociale per raccontare una ricerca di felicità violenta, potente, anarchica, che se ne frega di regole, paletti e aspettative.
Partendo dal trauma di un'adozione fallita, Larrain costruisce un ritratto familiare insolito, dove tutto ciò che è considerato socialmente accettabile viene abbattuto a suon di note reggaeton. Con un'impostazione visiva vicina alla cura estetica del videoclip, Ema è un film difficile da descrivere a parole, perché le sue emozioni richiedono di impattare negli occhi e nello stomaco di chi guarda, sente e assapora una grande storia di libertà e autodeterminazione.
La trama: ballarsi la vita
Dalla rivolta tenue alla ribellione bollente. Dal rosa al rosso. Dal tailleur indossato da Jackie Kennedy al fuoco ardente che brucia negli occhi di una donna inarrestabile. Da Jackie e Ema, il passo è sia breve che enorme. Perché Pablo Larrain continua a seguire con sguardo quasi morboso le pulsioni di donne insolite, pronte a boicottare le aspettative che il mondo investe su di loro. Laddove Jackie era una raffinata elaborazione del lutto, Ema è una celebrazione di vita. Accade tutto nella tumultuosa esistenza di una ballerina sposata con un coreografo. La coppia non riesce a superare il dramma di un reciproco fallimento: l'abbandono di un figlio adottato e poi dato via. Dal desiderio di colmare questo enorme vuoto emotivo ha così inizio un racconto sentimentale insolito, dedicato a una donna sfuggente, ispezionata nella sua dimensione di madre, moglie, amica, compagna e amante. Senza mai esprimere giudizi o glorificare la sua protagonista , Larrain sfrutta l'immenso carisma della magnetica Mariana Di Girolamo, si nutre di ogni sua goccia di talento e sensualità per mettere l'intero film nelle sue mani.
Con una serie di primi piani insistenti (e insistiti), il regista si sofferma di continuo sui corpi in scena. Corpi che ballano, si cercano, si desiderano. Celebrazione dell'istinto e dell'impulso, Ema trovo proprio nel corpo la sua dimensione, il suo habitat naturale. E non è certo un caso il bisogno di libertà della protagonista venga raccontato attraverso una danza perenne, lunga quanto il film. Per questo, nonostante un incipit forse disorientante, Ema alla fine ti travolge. Perché è testardo e anarchico come il ritornello di una canzone reggaeton.
Libertà: femminile, singolare
Primo film di Larrain ambientato nel Cile contemporaneo, Ema è anche un affresco sociale. Una riflessione curiosa nata dallo scontro tra due generazioni: Larrain è un quarantenne che guarda con fascino ai ventenni cileni, alla loro sfacciataggine, alla loro visione mai canonica e prevedibile delle regole, dei canoni, dell'etica e dell'estetica. Ne viene fuori una gioventù ribelle, creativa, ma molto tarata su se stessa. Egoista e pronta a prendersi tutto quello che le serve per essere felice, Ema conquista e abbandona, ama e ferisce. Non a caso lo stesso Larrain l'ha definita come il Sole. Tutto ruota attorno a lei, ma se ti avvicini troppo ti bruci. Per questo Ema è un film che vibra sullo schermo, non ammette mezze misure, perché o ti respinge o ti conquista. Proprio come la sua donna indomita e imperfetta. Impreziosito da un montaggio sontuoso e da una fotografia ispirata, Larrain continua a fare come i giovani cileni: se ne infischia dei giudizi e sforna un film veemente, fiero, che alcuni potranno trovare autoreferenziale o estetizzante, ma che ci ha conquistato come una bella ragazza che ti seduce, ti lascia e, molto probabilmente, non dimenticherai mai.
Conclusioni
Lo avrete capito leggendo questa recensione di Ema: il film di Pablo Larrain è stato una folgorazione, un colpo di fulmine, uno dei nostri favoriti per il Leone d'Oro. Un film viscerale e seducente, a tratti ostico nella parte iniziale ma capace di coinvolgere e travolgere quando lo spettatore mette insieme i pezzi di questo grande ritratto femminile. Un'opera potente, che celebra la disinibizione, la libertà e il coraggio di seguire i propri desideri.
Perché ci piace
- La scoperta di Mariana Di Girolamo: attrice di una carisma, un magnetismo e una naturalezza di rara fattura.
- Il montaggio sontuoso, capace di dare un ritmo travolgente al film.
- L'assoluta conferma di un regista raffinato e lontano dagli schemi come Pablo Larrain, la cui poetica prende forma film dopo film seguendo traiettorie imprevedibili.
Cosa non va
- La parte iniziale è disorientante e potrebbe allontanare qualcuno dal film.