Cita Bunuel, i cartoni animati anni 70' di Ralph Bakshi, il punk e confessa di aver voluto realizzare un dramma da camera, "un classico senza fronzoli". Così Stefano Cipani, che in molti hanno avuto modo di apprezzare ai tempi del suo esordio alla regia nel 2019, Mio fratello rincorre i dinosauri, realizza la sua opera seconda che proveremo ad analizzare in questa recensione di Educazione Fisica. Il film in sala dal 16 marzo dopo la presentazione alla scorsa Festa del Cinema di Roma, è un Kammerspiel a metà tra satira sociale, commedia nera e cronaca contemporanea, una discesa agli inferi tra le atrocità ben celate della buona borghesia solo in apparenza civile. Le regole della rappresentazione seguono quelle del realismo, ma proprio in questa scelta risiede uno dei maggiori difetti del film: la sua implausibilità in molte delle situazioni presentate. Ad essere invece sempre verosimile è la mostruosità dell'essere umano diabolicamente senza limiti in cui i fratelli D'Innocenzo, autori della sceneggiatura, scavano senza pietà tirandone fuori l'aspetto più assurdo.
La famiglia come branco
Alla base di Educazione fisica c'è il testo teatrale La Palestra di Giorgio Scianna portato in scena con la regia di Veronica Cruciani, una pièce feroce sulla famiglia che diventa branco, ambientata nella polverosa e scalcinata palestra di una scuola dove tre genitori vengono convocati dalla preside. Il luogo rimane lo stesso anche nell'adattamento per il cinema pensato da Damiano D'Innocenzo e Fabio D'Innocenzo che trasferiscono l'azione nella periferia romana nell'istituto Enrico Fermi (come mostra la panoramica in apertura del film) e portano i personaggi da quattro a cinque. Il "fattaccio" per cui i quattro genitori sono stati convocati rimane lo stesso: una ragazza della scuola è stata stuprata ripetutamente e i responsabili sarebbero i loro figli, Cristian, Arsen e Giordano. Lo spazio angusto di quella palestra in rovina, diventa il palcoscenico di un tutto contro tutti, la location di un bestiario umano di varia natura: Franco (Claudio Santamaria) è il papà di Cristian, compra e vende immobili e ha una relazione clandestina con Carmen (Raffaella Rea), la madre di Giordano, una donna profondamente infelice, separata dal marito; Aldo (Sergio Rubini) e Rossella (Angela Finocchiaro) invece, sono i genitori adottivi di Arsen, lo hanno portato via dall'Africa, lei è una casalinga, lui lavora in ospedale all'accettazione.
E poi c'è la preside, Diana Peruggia (Giovanna Mezzogiorno), donna dalla morale irreprensibile che li convoca per informarli dell'accaduto e dell'urgenza di avvisare la polizia. Padri e madri passeranno dall'incredulità inziale ("Sono solo dei bambini", "lei ha fatto la galletta, la seducente" e "si sono fatti sedurre"), ai tentativi più assurdi e ostinati per salvare l'immagine dei propri figli, mentre la palestra si trasforma in un'aula di tribunale. In un crescendo emotivo in cui il quartetto finirà per minacciare la preside, aggredirla e offrirle "un prezzo congruo" per comprare il suo silenzio, si consumerà un lento gioco al massacro fino ad un'inattesa svolta thriller, un tragico incidente che rimescola le carte in tavola e funge da nuovo catalizzatore di oscenità.
In un dramma da camera tutte le mostruosità dell'umano
Viene subito in mente Carnage di Roman Polanski, ma qui siamo abbastanza lontani da quelle vette di causticità e rigore; l'impianto è quello teatrale, e anche tra le quinte di un palcoscenico i fratelli D'Innocenzo continuano la loro narrazione del male, inabissano il pubblico nella tossicità di un mondo piccolo borghese e non gli risparmiano tutta la bruttezza di un'umanità che di umano non ha quasi più nulla. Sul proscenio si agitano padri e madri affannati a proteggere i propri ragazzi, a deformare la verità, a manipolarla, a non volerla vedere se non come "i deliri di una sbandata", niente più di una ragazzata; la tensione cresce e si susseguono gli sforzi maldestri per raggiungere un compromesso che salvi tutti.
Ogni personaggio, anche i più miti e insospettabili come i coniugi Stanchi (i genitori di Arsen), rivelerà così la propria natura bestiale: colpevoli senza pentimento, in un mondo desolante e privo di redenzione. Nel frattempo fuori in cortile quei tre figli destinati a rimanere fuori campo per tutto il film giocano a pallone: una presenza annunciata dal vociare e dalle pallonate che più di una volta colpiranno il vetro già in frantumi di uno dei finestroni della palestra. Il montaggio serrato di Jacopo Quadri e la regia fanno del loro meglio, peccato che alcuni dialoghi appaiano improbabili e banali anche per gli attori che devono recitarli. Spingere l'acceleratore sul registro del grottesco forse avrebbe aiutato.
Conclusioni
La recensione di Educazione fisica si conclude con una consapevolezza: in un film dove molte situazioni risultano poco probabili, ad essere invece sempre verosimile è la mostruosità dell’essere umano diabolicamente senza limiti. Nella barbarie i fratelli D’Innocenzo scavano senza pietà come solo loro sanno fare, peccato che il tono rimanga sempre in bilico tra il grottesco e il realistico e non osi quanto sarebbe bastato per far decollare il film a partire da dialoghi più credibili.
Perché ci piace
- La narrazione del male tra commedia nera e satira sociale.
- Lo spazio claustrofobico di una palestra scalcinata come palcoscenico per denunciare le storture del contemporaneo: un gioco al massacro per salvare i propri figli dall’accusa di stupro, ma soprattutto se stessi.
Cosa non va
- L’implausibilità delle situazioni messe in scena.
- Personaggi privi di sfumature.
- Dialoghi spesso poco credibili.