Follemente, Edoardo Leo: “Il cinema può liberare dal pudore dei sentimenti”

Le sovrastrutture, il set con Pilar Fogliati, l'importanza del fallimento: la nostra intervista al protagonista del nuovo film di Paolo Genovese. E sul rapporto uomo-donna ci dice: "Finalmente le cose stanno cambiando".

Edoardo Leo e Paolo Genovese sul set di Follemente

Lunedì mattina. Passata la sbornia del Festival di Sanremo torniamo a occuparci di ciò che conosciamo meglio: il cinema. Squilla il telefono, e l'ufficio stampa ci chiede: "Edoardo Leo tra dieci minuti?". Ovvio che sì. Prepariamo le domande in fretta e furia. Spaccato il secondo, eccolo che ci chiama. Come al solito generoso e puntuale nelle risposte, mai scontato e sempre disponibile. In testa abbiamo ancora la sua eccezionale rivisitazione dell'Otello di Shakespeare, nel quale ha affrontato - con estrema onestà umana e intellettuale - la questione di genere. L'occasione, ora, è però diversa: Edoardo Leo è il protagonista, insieme a Pilar Fogliati, di Follemente di Paolo Genovese (dal 20 febbraio in sala).

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Edoardo Leo in FolleMente

Come dire, una commedia costruita per arrivare dritta dritta al pubblico anche se, per l'attore, esistono "solo i film buoni. E se un film è buono lo capisci solo quando arriva in sala". Un film che arriva dritto perché Follemente parte da uno spunto universale: il primo appuntamento. Quello di Piero e Lara che, tra un silenzio e un assenzo, provano a far colpo l'uno con l'altra. Come? Ascoltando (o non ascoltando) i propri pensieri e le proprie emozioni, figurate in un cast eccellente: da Claudia Pandolfi a Marco Giallini, da Emanuela Fanelli a Maurizio Lastrico. Insomma, "Una versione surreale che diventa ancora più vera" del fatidico primo appuntamento.

Edoardo, secondo te oggi abbiamo perso la libertà di essere noi stessi?
Non è una cosa di questi tempi. Ed è il grande pregio del film: analizzare un comportamento archetipico dell'essere umano, che agisce in modo complicato. Se ne parla da Pirandello. È complesso, è un percorso, e non sempre è facile liberarsi dalle sovrastrutture.

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Leo insieme a Pilar Fogliati

Dovremmo lasciarci andare di più?
Dalla mia generazione o anche alla tua, siamo stati educati a un pudore dei sentimenti, e non sempre in negativo, perché a volte va anche bene. Certo che dovremmo preservare quei luoghi dove invece le emozioni possono essere lasciate andare. Parlo dei cinema, dei teatri, dei posti dove si può veramente... Si può mollare un po' la maschera. Ci farebbe bene, ma non è una cosa così semplice.

A proposito, Follemente è anche un incontro artistico. Qual è stato l'imprinting con Pilar Fogliati?
Guarda, in realtà è successo un piccolo miracolo. Io e Pilar non ci conoscevamo, se non distrattamente. Abbiamo fatto qualche prova, ma non tantissimo. Questo ci ha consentito di avere un reale, non dico imbarazzo, ma un reale approccio timido a quelle scene che abbiamo girato come se fossero una parte teatrale, perché eravamo solo io e lei, tutto il tempo. Quindi c'era quell'imbarazzo lì, di conoscerci giorno per giorno, man mano che le riprese andavano avanti. Era molto reale, per quello Paolo ha girato il film in sequenza. E poi allo stesso tempo però c'è stata una sintonia professionale immediata e istintiva di un'attrice che conosce i tempi della commedia, e con la quale abbiamo veramente suonato gli stessi accordi.

Ma il rapporto uomo-donna è così complicato, oppure è molto più semplice di come ci viene detto e ci viene raccontato?
No, è sempre stato complicato, però credo che era normalizzato dalle imposizioni dei ruoli. Ora, da un po' di tempo, e fortunatamente, lo dico con le maiuscole, questi due ruoli si stanno ridefinendo. Per Secoli c'è stata un'impostazione basata nel rapporto uomo-donna sulla centralità del maschile. Ora che in questo momento stiamo ridefinendo i ruoli, c'è ancora bisogno di fare film che parlino del rapporto uomo-donna, perché si sta spostando e se stanno accadendo delle cose, alcune secondo me bellissime, sulla ridefinizione dei ruoli. FolleMente, da questo punto di vista, mette in scena proprio quella che è la contemporaneità dell'incontro tra due che non si conoscono tramite un social, ma si conoscono dal vivo, guardandosi negli occhi.

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A proposito, questa roba di social... se è persa un po' quella magia della conoscenza al buio? Oggi sappiamo già tutto dell'altra o dell'altro da Instagram...
Sai che c'è che... La cosa che mi piace fare è cercare di allargare la lente. Penso a Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata di Zampa: quel modello lì, ovviamente, grazie al cielo l'abbiamo ripudiato. Poi siamo passati per un altro tipo di modello. Ora siamo passati all'iper-informazione, in cui sai tutto di una persona prima di conoscerla. Cosa ascolta, cosa guarda. Cosa mangia. Però bisogna sempre evitare il rischio di demonizzare questa cosa.

Cioè?
Sicuramente influisce in parte negativamente nel discorso della scoperta dell'altro, ma probabilmente c'è qualcosa di positivo che io, a 50 anni, non riesco a leggere, perché sono di un'altra generazione. Quando avevo 18 anni, uscire con una donna mi esponeva al fallimento... che la serata andasse male, e fosse una serata terribile. Però i fallimenti mi hanno fatto crescere e loro, i ragazzi oggi, sono meno esposti al fallimento, anche se poi c'è un discorso di sovrastrutture. Un conto è come ti mostri sui social e un conto è poi come sei veramente.

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Paolo Genovese ed Edoardo Leo sul set

Ecco: viviamo in una società che ci spinge sempre ad essere performanti...
Sì, quello sì, e devo dire che FolleMente riporta tutti questi discorsi alla fase primordiale in cui le persone che si sono viste distrattamente, si invitano a cena e devono conoscersi. In quel momento lì cominciano a raccontarsi del loro passato, dei figli che hanno avuto, delle relazioni che hanno superato. Credo da questo punto di vista è un film in cui più generazioni possono riconoscersi.

Un altro tema del film è l'ansia. Ma l'ansia può essere diventata anche una scusa?
Sai che non so risponderti bene a questa cosa... nel senso: abbiamo ridefinito alcune emozioni, cose che prima non erano quasi riconosciute come gli attacchi di ansia. Però in questo caso, è più un'ansia da prestazione, e non solo sessuale, ma proprio un'ansia da prestazione psicologica. Quella sensazione meravigliosa ma anche potenzialmente terribile in cui tu cerchi di dare la migliore impressione di te quando capisci che una persona ti piace, speri che tutto quello che dici venga accolto col sorriso, con divertimento, con simpatia, con empatia. A volte non è così, fai delle figuracce, sbagli frasi perché quella persona ti piace. E in quella terra di nessuno in cui stai per essere giudicato se stai per giudicare, trovi la meraviglia dell'innamoramento che resta un mistero insondabile.

Follemente Edoardo Leo Pilar Fogliati Foto
Una scena di Follemente

Eduardo, l'ultima cosa, FolleMente è costruito per arrivare in modo diretto al pubblico. Forse dovremmo tornare ad un cinema che parla agli spettatori?
Onestamente, alla fine la differenza la fanno i buoni film, quelli che colpiscono la gente. Penso al film di Paola Cortellesi. Ora sembra semplice, ma è un film girato in bianco e nero, un film d'epoca. Ho perso quello di Ozpetek, ma è un film di successo, con 30 donne. Penso a Ficarra e Piccone con un film su Pirandello. Non c'è una formula, né di semplicità né di complessità. A volte la complessità, vedi Sorrentino porta grandi risultati... la complessità dei sentimenti, la complessità dei messa in scena.

Cosa conta, alla fine?
Alla fine contano i buoni film. Il problema è che lo capisci solamente quando arriva in sala. Perché poi noi, gli attori, i film li leggiamo, li scegliamo perché ci interessa la scrittura, ma di mezzo c'è la regia, di mezzo ci sta l'interpretazione, la messa in scena. E poi ci sono i miracoli per cui quel determinato film arriva nel momento giusto. Come è successo per Perfetti sconosciuti. È qualcosa di deflagrante rispetto al pubblico. Quindi no, non ho la ricetta definitiva. Magari l'avessi, farei solo film di successo!