Edmond Budina ci apre le porte di un Ballkan Bazar multietnico

Veicolando le differenze culturali attraverso il linguaggio universale dell'arte visiva, il regista albanese dà alla luce un viaggio semiserio tra le inusuali usanze di un paese di confine. Lo abbiamo incontrato in conferenza a Roma.

Spesso la realtà è così surreale da diventare una delle migliori fonti d'ispirazione per l'immaginario cinematografico. Dunque non stupisce che Edmond Budina, volgendo ancora una volta lo sguardo verso la nativa Albania, abbia preso in prestito per il suo secondo lungometraggio la storia non leggendaria di un bizzarro villaggio nel sud del paese e di un altrettanto originale mercato di resti umani. In questo modo, veicolando le differenze etniche attraverso il linguaggio universale dell'arte visiva, il regista/attore da alla luce Ballkan Bazar, un viaggio semiserio tra le inusuali usanze culturali di un paese di confine. Distribuito da Mediaplex a partire da venerdì 8 luglio, il film segna il ritorno di Budina dietro la macchina da presa dopo Lettere al vento, presentato con un certo successo al Taormina Film Festival nel 2002. Abbandonati momentaneamente i toni tragici del suo esordio, questa volta il regista albanese mette in scena una commedia dalle sfumature grottesche attraverso la quale raccontare il suo paese visto con gli occhi di Julie e Orsola, due straniere coinvolte per caso nel più folle dei commerci. Co-prodotto da Italia e Albania, il film sfoggia un cast multietnico che include la francese Catherine Wilkening, gli italiani Veronica Gentili e Luca Lionello per finire con un foltissimo gruppo d'interpreti locali tra cui lo stesso Budina.

Signor Budina, a quasi dieci anni da Lettere al vento torna al cinema con Ballkan Bazar, film caratterizzato da un comico crocevia di nazionalità ai confini tra Grecia e Albania. Può raccontarci gli sviluppi storici e artistici di questa vicenda?
Edmond Budina: L'ispirazione è arrivata dal racconto di una ragazza. Mi trovavo al Festival di Viareggio e per tutta una sera mi sono lasciato sedurre dall'avventura tragicomica di un nonno defunto che, invece di arrivare in Francia, era stato spedito niente meno che in Russia. Da quel momento l'immagine di una bara che volava tra diverse bandiere non mi ha più abbandonato. Questa suggestione e la lunga diatriba tra greci e albanesi sul diritto territoriale dei loro morti sono stati il motore del film. Per quanto riguarda la scelta di un linguaggio ironico, mi sembrava il più adatto per non inasprire gli animi e gettare benzina sul fuoco ma, guardando a come la chiesa ortodossa ha reagito all'uscita nelle sale della pellicola, non sono riuscito nello scopo.

Come ha accennato l'intreccio della storia si basa su un evento realmente accaduto e causa di nuove tensioni lungo i confini che dividono il suo paese dalla Grecia. Di cosa si tratta?
Edmond Budina:E' una situazione molto particolare da spiegare. Greci e albanesi convivono praticamente sullo stesso territorio da molti secoli e questo non ha fatto altro che creare nuove ondate di nazionalismo estremo. Nel 2006 i greci hanno iniziato a riesumare i loro caduti da un cimitero albanese per trasportarli in uno monumentale inaugurato l'anno successivo. Il loro intento era quello di costruire nuove linee territoriali tracciate dal sacrificio dei loro avi. Secondo un detto greco là dove cade un soldato quella è la sua patria. Quindi, alla luce di questo principio, hanno cominciato a considerare di loro proprietà territori storicamente albanesi arrivando a rubare i corpi di civili defunti alla fine del 1800 e non durante la guerra italo/greca. Tutto questo per ripopolare i cimiteri con presunte tombe elleniche e rendere incontestabile il diritto d'annessione. Questo non ha fatto che inasprire i rapporti già mal gestiti da una chiesa ortodossa che, dalla caduta del comunismo, costringe i giovani albanesi a battezzarsi per poter andare a lavorare in Grecia.
Luca Lionello: Volevo ringraziare Edmond per il suo film perché ci ha fatto voltare lo sguardo verso un tempo non così lontano. Non dimentichiamo che anche alcuni dei nostri aerei si sono alzati a bombardare quelle terre e nessun amante del cinema e della cultura può approvare il principio stesso di minaccia militare. Comunque il lavoro di Edmond vuole snodarci finalmente da una serie di diatribe che possono essere anche legittime, ma che debbono essere risolte da un diverso punto di vista.

Tematiche politiche a parte, l'intreccio sembra basarsi sulla contrapposizione tra la modernità delle sue protagoniste e l'arretratezza del paese...
Edmond Budina: SI, c'è una certa distanza tra un paese così sperduto e chi viene da fuori, ma il mio scopo era soprattutto quello di rappresentare la condizione dello straniero, il suo spaesamento iniziale e il successivo mischiarsi alla nostra cultura diventandone parte.
Veronica Gentili: Sappiamo benissimo che quando le donne s' innamorano rincretiniscono un po' e questo è il modo in cui Jolie e sua figlia Orsola entrano in contatto con una cultura misteriosa. Al mio arrivo in Albania ho avuto una forte sensazione di paura, ero totalmente schiacciata dai preconcetti. Essendo un paese sconosciuto lo crediamo molto lontano da noi ma, in realtà, gli albanesi hanno molte delle tipiche caratteristiche italiche elevate alla potenza. All'inizio sono duri, respingenti anche perché quando parlano sembrano sempre litigare, ma la loro è una terra colma di storia e di fascino del tutto inesplorato. I Balcani vanno visti e vissuti per capire veramente di cosa si tratta.

Continuando a parlare dei tratti del popolo albanese, lei ha utilizzato dei volti autoctoni accanto ad attori professionisti. Come ha gestito questa particolare convivenza fuori e dentro lo schermo?
Edmond Budina: Per le tre settimane di lavorazione abbiamo vissuto nelle case dei contadini, completamente ospitati da queste famiglie felicissime di partecipare al progetto. Per quanto riguarda gli attori, poi, si sono adattati alla naturalezza dei contadini e sospetto che questo abbia fatto particolarmente bene alla recitazione.