"Era troppo lunga?". Ron Howard scherza con la traduttrice dopo aver dato una lunga risposta ad una delle tante domande arrivate da un ristretto numero di giornalisti che lo hanno potuto incontrare per parlare di Eden, il suo ultimo film - prossimamente nelle nostre sale - scelto come apertura del Torino Film Festival. Una storia vera, come spesso accade nel suo cinema, che ricostruisce ciò che è accaduto sull'isola di Floreana tra gli anni Venti e Trenta quando il dottor Friedrich Ritter (Jude Law) e sua moglie Dora Strauch (Vanessa Kirby) lasciarono la Germania nel 1929 per trasferirsi nella Galápagos con lo scopo di fondare una nuova filosofia che avrebbe cambiato il mondo.
Poco dopo a loro si unisce la coppia composta da Margaret e Heinz Wittmer (Sydney Sweeney e Daniel Brühl), e la baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn di Ana De Armas. Tutti con l'obiettivo di vivere sull'isola, ma nessuno disposto a concedere nulla all'altro dando vita a una convivenza a dir poco conflittuale.
Un film capace di creare dibattito
Una sceneggiatura firmata da Noah Pink alla quale Ron Howard ha pensato per anni. "Quando ho scoperto questa storia per la prima volta ero in vacanza con la famiglia. E tutto ciò che abbiamo fatto è stato parlare di questi personaggi. Si è creato un dibattito. 'Tu cosa avresti fatto? Sarebbero emersi i tuoi impulsi più oscuri o te ne saresti in qualche modo liberato?'" ricorda il regista.
"Penso che la storia mi abbia messo alla prova in questo senso. Come regista avevo bisogno di trovare empatia e comprensione per ognuno di questi personaggi, anche quelli più narcisisti ed egocentrici, che alla fine fanno cose terribili. Ma avevo bisogno di capirli, così come i membri del cast, che sono stati molto coraggiosi. Quell'esplorazione è stata parte di ciò che mi ha attratto della storia e parte del divertimento è nello sperare che le persone abbiano lo stesso tipo di conversazioni che abbiamo avuto io e la mia famiglia".
Mentre da noi il film arriverà in sala prossimamente con 01 Distribution, negli Stati Uniti Eden non ha ancora una distribuzione. E trattandosi di un film di uno dei grandi registi di Hollywood fa un certo effetto. "Uno dei motivi per cui mi sono preso il mio tempo per fare questo film è che sapevo che non era una produzione convenzionale, da Studio. Ho sempre pensato che avremmo dovuto farlo da indipendenti per realizzarlo con il tono corretto e renderlo creativamente ambizioso come penso che sia" sottolinea Howard. "È sicuramente una novità per me, ma penso che sia una realtà dell'industria odierna. Sono stato in grado di realizzare Eden con il controllo completo e una certa ambizione creativa. È il film con cui volevo sperimentare da quasi quindici anni".
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Il crollo dell'economia, la nascita del nazifascismo e il desiderio di trovare una via di fuga dalle norme della società fanno da sfondo a un racconto che sembra avere un'eco nel nostro presente. "Mentre lavoravo a questa storia ho attraversato periodi in cui pensavo: 'Non è così rilevante oggi'. Ma a partire dal Covid, ho capito che il pubblico si sarebbe collegato a ciò che questi personaggi hanno vissuto più che in qualsiasi altro momento in cui mi sono trovato in precedenza", ammette il regista.
"Una delle cose che ha catturato la mia attenzione, e che ha attratto tutti gli attori in modo diverso, è proprio il sentirsi in sintonia con i giorni nostri. La riflessione del film ci porta a comprendere come le scelte che ognuno di noi fa abbiano un impatto impressionante su come siamo come individui, su come siamo strutturati".
Una carriera sconfinata, fatta di titoli diventati dei classici. Ma qual è l'approccio di Ron Howard alla materia filmica? "Il processo di realizzazione di un film per me è un viaggio di scoperta. Cerco di non dare mai la mia impronta, ma cerco di scoprire cosa richiede la storia per massimizzarla e poi condividerla con il pubblico. Quindi questo significa che mi sono preparato per tutta la vita a comprendere diverse scelte estetiche, diverse sensibilità e la grammatica del cinema per essere in grado di realizzare il potenziale di queste storie e non solo imprimermi su di esse".
"Mi sento a mio agio solo quando sono a casa mia con la mia famiglia o su un set cinematografico. È lì che capisco cosa sono e qual è il mio ruolo. Penso di aver avuto un po' paura di questa storia, dell'oscurità, dell'eccentricità dei personaggi e dai loro comportamenti estremi. Ne ero affascinato, ma anche un po' intimidito creativamente. È stato solo quando ho trovato un parallelo nella società e un cast che era entusiasta di affrontare la sfida che ho sentito la forza di andare avanti e fare questo film".
Un momento di trasformazione
Nel 2020 Ron Howard ha realizzato un adattamento di Elegia americana, libro di memorie di J.D. Vance, vicepresidente per la campagna presidenziale 2024 di Donald Trump. Alla luce di questa connessione con la politica statunitense, qual è la sua opinione delle ultime elezioni? "È molto difficile per me commentare l'amministrazione e cosa sarà, perché è un'incognita. Ho le mie preoccupazioni, naturalmente, ma dovremo aspettare e vedere dove finisce la retorica e iniziano le decisioni", sottolinea il regista. "Non credo si tratti solo degli Stati Uniti però. In tutto il mondo siamo in lotta per cercare di capire l'impatto degli esseri umani sul pianeta. E certamente questo è uno dei temi del film che spero possa portare a un punto di svolta per gli spettatori riguardo la gamma di approcci che tutti possiamo scegliere di adottare o non adottare nella nostra convivenza con la natura".
"Sono molto preoccupato, come tutti gli esseri umani, per la grande sfida di trasformazione che sta avvenendo in questo momento nel mondo. È come se fossimo al tempo di una rivoluzione industriale unita al Rinascimento, moltiplicata per mille volte con un acceleratore. Condivido una situazione di ansia che molte altre persone nel mondo stanno vivendo e per cui purtroppo non ho una risposta. Mi sento esattamente come tutti. Ed è per questo che ho trovato interessante osservare che alla fine degli anni Venti e all'inizio degli anni Trenta, in particolare in Europa, c'erano delle persone che sentivano il bisogno di reinventarsi, di trovare un altro posto dove vivere e un diverso modo di vivere".