Due, la recensione: l'amore vero che combatte la società

La recensione di Due, film d'esordio di Filippo Meneghetti, presentato alla Festa del cinema di Roma e ora finalmente in sala.

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Due: Martine Chevallier e Barbara Sukowa

Si dice che l'amore non abbia ostacoli, che quando si è innamorati si fanno cose folli e che tutto intono a noi si colora di tinte accese, di profumi intensi e di colpi al cuore improvvisi. Quello immortalato da Filippo Meneghetti nella sua opera prima, Due, è il ritratto del vero amore, di quello che fa male più della malattia stessa, di un palliativo da assumere in grandi dosi e capace di distruggerti, ma anche di fortificarti. Nina (Barbara Sukova) e Madeleine (Martine Chevallier) diventano le modelle perfette di un dipinto sincero, costruito con eleganza dal proprio regista e steso sulla tela con le mille sfumature di un amore nato e maturato per vent'anni all'ombra di un segreto. Incontratesi per caso a Roma, le due donne hanno imparato a conoscersi, amarsi, a volte detestarsi, mentre intorno a loro si ergeva una fortezza sicura, capace di tenerle nascoste dagli occhi indiscreti delle proprie famiglie e dei pregiudizi altrui. E poi, quando il filo del loro sentimento sembrava spezzarsi, ecco che un uragano imponente come la malattia di Mado si abbatte sul loro nascondiglio, distruggendolo mattone dopo mattone e rivelando a piccoli passi il loro folle, eterno desiderio. Questo film è uno dei più struggenti e intensi portati sullo schermo nell'ultimo periodo e nella nostra recensione di Due vi spieghiamo perché.

UN AMORE UNIVERSALE

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Due: Barbara Sukowa sul set

Spesso non ce ne accorgiamo, ma a tarpare le ali alle farfalle che ci riempiono lo stomaco, a fermare i battiti del nostro cuore impazzito, o a bloccare sospiri pieni di sentimento, è la società stessa. Una società che guarda con occhi straniti un amore reputato diverso perché omosessuale, una società pronta a epitetare e additare i suoi membri solo in base alla natura dei propri sentimenti. La storia d'amore mescolata alle tinte thriller concepita da Filippo Meneghetti punta dunque ad attaccare i tabù dell'universo occidentale: alle prese con le difficoltà affrontate da questo suo ménage parafamigliare, il regista scrive un saggio sulla vecchiaia e la (omo)sessualità, superando pregiudizi e suggerendo punti di riflessioni circa due aspetti delicati e quanto mai meritevoli di una degna rivalutazione. A legare le fila di questo discorso mai superficiale è l'amore universale, quello che unisce la madre ai propri figli, il marito alla moglie, l'amata all'amata. A farsi portatrici di questa sfida nei confronti del pregiudizio e dell'egoismo targato XXI secolo, sono Nina e Madeleine, due donne mature, considerate dagli altri come semplici vicine di casa, ma in realtà amanti da decenni. Con caparbietà le due protagoniste alzeranno il vessillo del vero amore, superando le incertezze, le paure e gli ostacoli imposti dalla società odierna.

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DAR FORMA AL VERO AMORE

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Due: Barbara Sukova e Martine Chevallier in una scena romantica

La macchina da presa di Meneghetti si muove libera e leggera nello spazio circostante, registrando gli scarti tra sguardi furtivi, abbracci rubati, cuori che battono a vuoto e sospiri silenziosi che investono un ambiente familiare sempre più claustrofobico per il peso di omissioni e continui non detti trascinati per tanti, troppi anni. La cinepresa indaga con fare (psico)analitico: pedina i suoi personaggi, li controlla, li espelle, per poi liberarsene e inquadrare altro. La costruzione filmica del regista classe 1980 predilige dunque una complementarità da Yin e Yang sia cromatica che attoriale. E così se i vestiti delle due donne, come le tinte che colorano il loro mondo e quello dei famigliari di Madeleine (i figli Anne e Frédéric), giocano su un contrasto cromatico fatto di lotte continue tra freddo e caldo, le interpretazioni di Barbara Sukowa e Martine Chevallier (proveniente dalla Comédie-Francaise) sono sospinte da giochi dicotomici e prossemici del tutto opposti e contrari. Il mutismo di Madeleine si contrappone alle urla di Nina e ai campanelli da lei suonati con insistenza, mentre il corpo fermo, tenuto prigioniero e statico dalla malattia della prima, si oppone al girovagare insofferente della seconda, flâneur delle emozioni. Nel corpo immobile di Madeleine si nasconde quella paura che attanaglia, bloccandolo, il cuore e l'anima di chi ha paura di mostrarsi per un pregiudizio incomprensibile e incapace di scomparire. Il suo mutismo è lo stesso a cui la donna si è auto-condannata per anni, privilegiando un matrimonio distruttivo all'amore puro. Il suo è un volto simulacrale segnato da un'afasia dominante per la paura atavica di non essere capita; una contraddizione, questa, in un percorso di guarigione in cui l'accanimento terapeutico risulta vano, perché la vera medicina per Madeleine sono gli occhi profondi, grandi e pieni di amore di Nina. Un oceano pronto a investirla di nuovo e con cui (re)imparare ad amare, senza più veli dietro cui nascondersi o porte dietro cui separarsi. Tra sottili e velate denunce verso un mondo sempre più controllato da un egoismo incalzante, Deux scuote l'animo del proprio pubblico nella speranza di mostrare la bellezza del vero amore, senza distinzioni di sesso, o genere.

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Due: Martine Chevallier e Léa Drucker in una scena del film

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UNA DANZA D'AMORE

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Due: Barbara Sukova e Martine Chevallier in una scena del film

È una battaglia in nome dell'amore, Due (Two of Us). A essere portate in campo da Meneghetti non ci sono armi, pallottole, o bombe. A tentare di deflagrare l'ottusità retrograda di una società che ancora non accetta l'amore in tutte le sue forme, è un uso metaforico da parte del regista di tutti gli elementi messi a sua disposizione. I dettagli di pentole che bruciano, l'uso di inquadrature ristrette che isolano personaggi incapaci di ritenersi pienamente parte di una società che li denigrerebbe, ma soprattutto l'uso reiterato di una vecchia canzone italiana degli anni '60, "Mirage", e il suo ritornello tormentone ("Stasera la luna ci porterà fortuna") diventano colpi di mitragliatrice con cui attaccare i propri spettatori, riempendo i loro occhi di un sentimento mai melenso, ma onesto e sincero. Il mondo messo in piedi da Meneghetti in Due vive dunque all'ombra di uno scarto tra il desiderio di sicurezza e un reale senso di inquietudine, che sfugge e supera i confini del montaggio arrivando dritto al cuore del proprio pubblico. È una danza d'amore quella su cui si basa questo film, la stessa che compiono le due protagoniste stringendosi forte l'una all'altra così da non lasciare scappare via il loro alito d'amore vero, puro, invidiabile.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Due sottolineando come l'elegante regia e messa in quadro di Mereghetti abbia dato vita a un amore puro, sincero, vero, profondo, abbattendo il muro dei pregiudizi e ingiustificabili insofferenze sociali.

Movieplayer.it
4.0/5

Perché ci piace

  • La regia.
  • L'umanità dei personaggi.
  • Il trionfo dell'amore, quello vero.

Cosa non va

  • Il montaggio a volte vede calare un po' il ritmo.