Dopo l'anteprima al Festival di Berlino 2024 e il passaggio in sala, Dostoevskij dei fratelli D'Innocenzo arriva su Sky e NOW. Divisa in sei puntate, la miniserie (nonostante i registi e sceneggiatori la chiamino sempre "film") è la storia di un poliziotto, Enzo Vitello, a cui è capitato un caso molto particolare in un momento difficile della sua vita.
L'uomo ha un rapporto complicato con la figlia Ambra e contemporaneamente deve scoprire chi sia un serial killer che ha un'abitudine insolita: lasciare delle lunghe lettere accanto alle sue vittime. Per aiutarlo nella missione, gli viene affiancato un collega più giovane, Fabio Buonocore (Gabriel Montesi), con cui ci sono degli attriti.
A interpretare Enzo e Ambra sono Filippo Timi e Carlotta Gamba, bravissimi in due ruoli decisamente difficili, sia dal punto di vista fisico che emotivo. Nella nostra intervista vanno in profondità: come nella serie, anche loro, nella vita, si sono sentiti dei "figli sbagliati". E in Dostoevskij, così come nell'intera filmografia dei D'Innocenzo, c'è un'intera "città di figli sbagliati".
Dostoevskij: intervista a Filippo Timi e Carlotta Gamba
In Dostoevskij Filippo Timi e Carlotta Gamba hanno delle scene molto complesse. Una però è più leggera e molto significativa: quando Enzo porta dei bomboloni al cioccolato alla figlia, che è tossicodipendente e non ha mangiato per giorni. Com'è stato girare quel momento?
Carlotta Gamba: "Non ho dovuto mangiarne troppi! Ma li ho mangiati assaporandoli, sporcandomi. È una scena che racconta di una ragazza che non mangia, che non si nutre. Di niente: né di cibo, né di vita, né di felicità. In quel momento ha appena dormito nella stanza di un padre che non conosce, in una casa che non ha mai visto, dopo una serata in cui non sappiamo cosa sia successo, ma che possiamo immaginare. In quella scena c'è una luce diversa: per la prima volta lei si permette di essere bambina. Di mangiare, sporcarsi. E il padre, per la prima volta, le leva le mosche dal cibo. È il primo passo di una figlia e di un padre verso questo rapporto che non ha avuto il suo corso. Secondo me è una scena molto dolce, molto tenera. È la prima carezza".
Raccontare l'oscurità
Pochissimi autori contemporanei in Italia hanno il coraggio di raccontare anche l'aspetto più oscuro, lercio e sgradevole degli esseri umani nel modo esplicito in cui lo fanno i fratelli D'Innocenzo. La cosa più sconvolgente, e realistica, delle loro storie è che i personaggi tremendi che scrivono potrebbero essere i nostri vicini di casa. Potremmo essere noi. Quanto è importante mostrare anche questo aspetto dell'umanità?
Filippo Timi: "Quanto sia importante non lo so. Dare tridimensionalità a un ruolo però vuol dire affrontare anche le ombre, la parte che non ti piace di te. Qui c'è una spinta molto decisa, quasi per umanizzare qualcosa di epico. Questi sono davvero degli antieroi: talmente anti che hanno qualcosa di soprannaturale. È come se fossero dei ponti, caduti in mezzo, che cercano di parlare ad altri ponti, caduti anche loro. È orribile pensare che l'amore tra un padre e una figlia possa trasformarsi in fango. Però alcune volte accade".
La città dei figli sbagliati
In Dostoevskij si parla della "città dei figli sbagliati". Un'idea e un'immagine che fa da filo conduttore a tutta l'opera dei fratelli D'Innocenzo. Quando l'abbiamo chiesto a loro, i registi ci hanno detto di esserne i sindaci. Gli attori invece? Anche loro si sono sentiti degli abitanti di questa comunità?
Timi: "Io mi sento un figlio sbagliato da quando sono nato. Ma credo tutti. A un certo punto, da grande, ho riparlato con il fighetto della classe. Anche lui si sentiva il figlio sbagliato! Ma è ovvio: nasce dal confronto con i genitori. E devi essere sbagliato. Per il figlio il primo specchio è la madre: quindi il figlio diventa lo sguardo della madre sul mondo. E vatti a emancipare dallo sguardo-galera di tua mamma! Ogni madre è galera per un figlio. Perché un figlio deve emanciparsi: per magari riaffermare le stesse cose. Deve staccarsi. Deve sentire che il suo sguardo sul mondo è solo suo. E questo per un genitore è impossibile da accettare. Ma per un figlio è impossibile non pretenderlo. Altrimenti non ti stacchi mai".
Gamba: "Secondo me il punto è anche che non smettiamo mai di sentirci figli. È un rapporto che non scegliamo, succede e non smettiamo mai di essere né figli, né genitori. Quindi siamo anche incastrati in questo rapporto che vogliamo a tutti i costi sia bello, perché ci hanno insegnato che così deve essere, ma, alla fine, dobbiamo anche scontrarci con la realtà. In questo caso Ambra lo fa. E secondo me fa bene, perché poi c'è un futuro davanti a lei".