Recensione Sul lago Tahoe (2008)

A sorprendere nel film di Eimbke sono la grazia e la disarmante gentilezza con cui il regista racconta l'elaborazione di un lutto, attraverso una serie di tappe formative semplici ma mai banali, costruite come una serie di confronti con i personaggi.

Diventare adulti

Ancora un racconto di formazione, sulle difficoltà dell'adolescenza e la necessità di diventare adulti prima del tempo, all'ultimo festival di Torino. Già passato da Berlino, Sul lago Tahoe, l'opera seconda di Fernando Eimbke - il cui esordio Temporada de Patos non era passato inosservato a Pesaro nel 2004 - è una sincera e appassionata istantanea della vita di Juan, sedicenne sperduto in un villaggio dormente del Messico alla ricerca di un ricambio per la sua automobile, dopo un banale incidente. L'improvvisa morte del padre ha lasciato un vuoto incolmabile e a casa la mamma si è chiusa in bagno disperata, mentre il fratellino è abbandonato a sé stesso dentro una tenda, intento a ritagliare foto da incollare sulla sua agenda.

Mentre Juan peregrina sommessamente da un'autofficina all'altra, incapace di venire a capo del suo problema,viene a contatto con un'umanità stramba e variegata, intenta a scappare dal quotidiano coltivando sogni e passioni di ogni tipo; dalla disillusa malinconia di un vecchio meccanico che ha solo il suo cane ma è pronto a abbandonarlo per la sua felicità, alle ambizioni da star del pop di una giovane ragazza madre con cui Juan farà l'amore, fino alla divertente ossessione per le arti marziali di un suo coetaneo che gli risolverà la questione della macchina.

Sembra un film fatto di nulla Lake Tahoe. E se la sobrietà e la calda umanità che trasuda, ricordano molto cinema indipendente americano, a sorprendere nel film di Eimbke sono la grazia e la disarmante gentilezza con cui il regista racconta l'elaborazione di un lutto, attraverso una serie di tappe formative semplici ma mai banali, costruite come una serie di confronti con i personaggi, intervallati da frequenti dissolvenze a nero. Il minimalismo della messa in scena, non è mai un pedante esercizio di stile ultrarealistico, quanto un sistema di produzione di significato, generato attraverso sequenze di progressiva pregnanza, a riempire un quadro che sembra dipingersi da solo, tanto è delicata la scrittura e poco invasiva la macchina da presa. E anche le parole, che vengono dissiminate con parsimonia e giudizio da interpreti esemplari, a riaffermare ancora la centralità dell'assunto, che penetra lo spettatore con lodabile discrezione. Chi sa se Juan vedrà mai il lago di Tahoe?