Recensione Immortal ad vitam (2004)

Il fatto di avere al timone l'unico e assoluto creatore di questo universo immaginifico mette (forse) al sicuro l'opera dal disdegno degli appassionati integralisti ma non è certo garanzia di qualità.

Digitale alla francese

A una settimana dall'uscita di Sky Captain and the World of Tomorrow - targato USA e corredato di un apparato pubblicitario assai più imponente - l'arrivo nelle nostre sale di una pellicola europea che adotta le stesse tecnologie ad un livello inferiore non farà probabilmente sensazione. Ma questo Immortal ad vitam ha pure i suoi motivi d'interesse, quantomeno nella genesi: si tratta infatti dell'adattamento di una serie a fumetti di culto, celebre in Francia e pubblicata a cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90 da Enki Bilal - che è anche sceneggiatore e regista di Immortal. Il fatto di avere al timone l'unico e assoluto creatore di questo universo immaginifico mette (forse) al sicuro l'opera dal disdegno degli appassionati integralisti ma non è certo garanzia di qualità. Infatti Immortal ad vitam non è un film pienamente riuscito - per più di una ragione.
Bilal ha dichiarato che, quando gli fu proposto di realizzare la pellicola con scenari 3D, impose che si raggiungesse il massimo realismo. Ma è evidente anche al profano di animazione in computer graphics che il regista serbo naturalizzato francese deve aver infine ridimensionato le proprie pretese, perché i risultati sono tutt'altro che esaltanti. Alla mancanza di realismo e di tangibilità nella ricostruzione di questa New York del 2095 bisogna infatti aggiungere lo straniamento che deriva dal vedere autentici attori affiancati da personaggi in 3D dalla mimica convincente quanto quella di una sfinge egizia. Passiamo dal volto così reale benché ancora incredibilmente bello di Charlotte Rampling a vacui faccioni artificiali; i tratti più convenzionali e levigati dell'eroina Linda Hardy legano meglio col resto, ma resta l'impressione di trovarci a tratti imprigionati in un pessimo videogame.

Oltre alle evidenti défaillance tecniche, l'altro grosso limite di Immortal risiede nella sceneggiatura. La storia di per sé è davvero poca cosa ma non ci sarebbe nulla di male in questo in un film costruito soprattutto sui personaggi principali (che fortunatamente sono attori in carne ed ossa - almeno la Hardy e Thomas Kretschmann, il terzo è digitale ma in questo caso il danno è minimo in quanto trattasi di una divinità egizia con la testa di falco da cui non si pretende grande espressività), e lo script non manca di idee stuzzicanti e d'ironia: ma quelle che potremmo, anche se impropriamente, definire "sottotrame" appaiono gratuite e confuse, e quindi appesantiscono notevolmente il tessuto narrativo. C'è da dire che per il cultore del fumetto queste vicende accessorie sono probabilmente preziose in quanto fanno riferimento diretto a quanto narrato (e disegnato) negli albi di Bilal; purtroppo per lo spettatore digiuno di Trilogia di Nikopol tali riferimenti sono sterili e la narrazione è troppo disorganica per avvincere e lasciare un senso di soddisfazione e compiutezza.

La pellicola appare sì eccessivamente lunga e confusa, ma non è insostenibile alla visione: come detto, non mancano gli spunti interessanti e divertenti e quel che emerge dell'universo grafico di Bilal è decisamente affascinante. Il punto di forza è, come nel fumetto, nella commistione tra imagery antica, contemporanea e futuristica e nello spirito scanzonato con cui questo singolare connubio viene realizzato: vedere gli dei egizi Bastet e Anubis impegnati in una partita di Monopoli non può non strappare un sorriso.
Inoltre, benché cinematograficamente non troppo riuscito, Immortal ha senz'altro il merito di incuriosire e indurre a scoprire la Trilogia di Nikopol il suo creatore Enki Bilal nel medium che gli è forse più congeniale.

Movieplayer.it

2.0/5