Può la musica essere una forma artistica in grado di unire ogni essere umano, indipendentemente da età, sesso, lingua e religione? È con questa domanda che iniziamo la recensione di Depeche Mode: Spirits in the Forest, il primo docu film della band che sarà nei nostri cinema il 21 e 22 novembre grazie a Nexo Digital. Con questo lungometraggio, diretto da Anton Corbijn, i fan dei Depeche Mode avranno un'altra occasione per ritrovarsi fianco a fianco e rivivere le ultime due tappe del Global Spirit Tour, dei Depeche Mode realizzato tra il 2017 e il 2018. Un film che promette di essere incentrato non tanto sulla band e i suoi componenti, quanto sulla potenza della loro musica e sui fan che vivono la loro vita all'insegna dei Depeche Mode, band che senza di loro non potrebbe esistere in quanto tale.
I Depeche Mode visti con gli occhi dei fan
Se un docu-film che si rispetti ha la prerogativa di incentrare l'attenzione sull'artista/sugli artisti, Depeche Mode: Spirits in the Forest ha un plus per nulla scontato: raccontare una delle band più famose al mondo dal punto di vista dei fan. Il film di Anton Corbijn racconta le tappe del Global Spirit Tour svoltesi al Waldbunhe di Berlino (chiamato anche Forest Stage) e delle emozioni che questa band, attiva da quasi quarant'anni, continua a suscitare nei propri fan.
Emozioni che vengono raccontate proprio da sei fan speciali, scelti grazie ad un contest, e provenienti da ogni parte del mondo: una ragazza della Mongolia che abita con la nonna, una donna dell'Illinois che ha combattuto contro il cancro, un padre colombiano che ha dato vita ad una cover band con i figli, un fotografo rumeno che ha dovuto procurarsi di contrabbando i dischi musicali all'epoca della dittatura di Ceauşescu, un giovane brasiliano scappato a Berlino alla ricerca di sé stesso e una donna che ha perso la memoria, ricordando soltanto la sua band del cuore.
Storie di fan che raccontano la band che li ha accompagnati per tutta la vita, che gli ha concesso la libertà di essere sé stessi e di viaggiare con la mente, che gli ha regalato momenti di gioia e spensieratezza quando essa non sembrava possibile. Storie di vita alternate alle canzoni previste nella scaletta del concerto berlinese. Perché se i brani dei Depeche Mode raccontano i Depeche Mode stessi, questi hanno il potere di raccontare anche storie altrui, vite di persone che si sono sentite protagoniste, tanto da accogliere queste stesse canzoni, narratrici della loro vita, nel cuore.
Un ritorno di Anton Corbijn alla musica
Anton Corbijn è sempre stato un cultore della musica tanto da intraprendere una carriera da fotografo, ben prima di quella da regista. Solo dopo aver lavorato per numerose riviste immortalando diversi musicisti e attori, verso la metà degli anni '80 ha iniziato a girare i suoi primi videoclip, dando vita ad una carriera decisamente proficua: non a caso, tra i tanti artisti che ha avuto l'occasione di vedere davanti alla sua macchina da presa, ci sono stati proprio i Depeche Mode, con cui ha realizzato diversi videoclip.
È così che dopo Control e Linear (il primo film biografia di Ian Curtis, cantante dei Joy Division, il secondo realizzato a partire dall'album No Line on the Horizon degli U2) - e dopo le parentesi di The American, La Spia - A Most Wanted Man e Life - Corbijn torna alla regia di un film musicale dedicato ad una delle band più conosciute al mondo. Perché ognuno di noi, inconsapevolmente o meno, ha ascoltato almeno una volta nella vita la voce profonda di Dave Gahan, le tastiere di Martin Lee Gore e il basso di Andrew Fletcher (a cui si aggiungono Vince Clarke e Alan Wilder, componenti della formazione originale).
Brani come Enjoy the Silence, Just Can't Get Enough e Personal Jesus, per citarne alcuni, che hanno fatto la storia della musica e dei Depeche Mode, band che Corbijn conosce più che bene, restituendo al pubblico una grande intensità visiva che va dalle storie dei sei fan fino alle performance del gruppo inglese. Una narrazione che dimostra come la musica sia super partes, come condizioni le vite di ognuno di noi e di come sia in grado di andare oltre distinzioni di ogni tipo, creando legami e rapporti unici. Una narrazione che esalterà sicuramente i fan di una band ancora sulla cresta dell'onda dopo quasi quarant'anni e che darà l'opportunità ai non fan di diventarlo, perché di loro we just can't get enough.
Conclusioni
In conclusione alla recensione di Depeche Mode: Spirits in the Forest, è impossibile non evidenziare come questo docu-film s'incentri sul rapporto tra pubblico e band, oltre che sottolineare il potere della musica di unire popoli e nazioni, indipendentemente da età, sesso, lingua, religione e nazionalità.
Perché ci piace
- Grande intensità narrativa in grado di coinvolgere il pubblico, sia per quanto riguarda la performance concertistica, quando le storie dei sei fan.
- Il docu-film riesce a dare l'idea di come la musica sia in grado di unire le persone, indipendentemente dalla loro identità.
Cosa non va
- L'alternanza tra le storie raccontate e le performance sul palco, alla lunga, corre il rischio di assumere forzature.